Anno d’uscita: 1975
Regia: Stanley Kubrick
“Barry Lyndon” è un film storico, tratto dal romanzo “Le memorie di Barry Lyndon” scritto da William Makepeace Thackeray nel 1844 e pubblicato a puntate su una rivista inglese. Il lungometraggio racconta le vicende di Redmond Barry (interpretato da Ryan O’Neal), un giovane e ambizioso cialtrone, la sua irresistibile scalata sociale e la sua ingloriosa caduta.
Cito le parole di Stanley Kubrick, che così si esprimeva sul romanzo di Thackeray: «[…] offriva l’opportunità di fare una delle cose che il cinema può realizzare meglio di qualunque altra forma d’arte: presentare cioè una vicenda a sfondo storico. La descrizione non è una delle cose nelle quali i romanzi riescono meglio, però è qualcosa in cui i film riescono senza sforzo, almeno rispetto allo sforzo che viene richiesto al pubblico.»
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Kubrick_on_the_set_of_Barry_Lyndon_(1975_publicity_photo).jpg
Il regista era divenuto celebre per la cura maniacale con cui dirigeva i suoi film, per le pretese nei confronti degli attori, costretti a girare la medesima scena fino allo sfinimento, per l’uso mirabile che faceva della fotografia. Nella sua variegata produzione, “Barry Lyndon” rappresenta senza dubbio un apogeo, per la precisione e l’eleganza con cui egli tracciò un autentico affresco storico sul Settecento, ma confezionando allo stesso tempo un film talmente perfetto da risultare a tratti algido.
Un’avventura picaresca
In un villaggio irlandese, arriva un reggimento militare della Gran Bretagna, che sta reclutando truppe per la Guerra dei Sette Anni. Quest’ultima si svolse tra il 1756 e il 1763 e coinvolse le principali potenze dell’epoca divise in opposti schieramenti; fu uno dei molti conflitti che contrassegnò la Storia Moderna, un periodo ad altissima intensità bellica.
La cugina di Redmond, di cui egli è innamorato, avvia una relazione con un capitano inglese del reggimento e il giovane, durante il pranzo di fidanzamento, gli getta in faccia un bicchiere di vino. Furibondo, il capitano inglese lo sfida a duello per lavare l’onta ed è con questa scena che si apre il film. Detto per inciso, i duelli erano molto frequenti all’epoca, in quanto mantenere la reputazione era un vero e proprio “must”; ci si sfidava a duello per motivi che a noi oggi sembrano ridicoli, come per questioni di precedenza in strada, sia che si andasse a piedi o a cavallo, o che si procedesse in carrozza.
Redmond, convinto di avere ucciso il rivale, fugge per poi arruolarsi nell’esercito, possibilità molto spesso offerta a giovani poveri o di dubbia reputazione per poter sottrarsi alla giustizia.
La gerarchia di “antico regime”
È solo l’inizio di una serie di frenetiche avventure. Da quel momento in poi, l’ambizioso giovane adotterà differenti, camaleontici “travestimenti”, tra cui il disertore, il giocatore d’azzardo, il libertino e soprattutto l’arrampicatore sociale. Grazie alla sua spregiudicatezza e alla sua avvenenza, riuscirà a sposare Lady Lyndon (Marisa Berenson), moglie bella e infelice di Sir Charles Reginald Lyndon (Frank Middlemass), un aristocratico ricchissimo e molto malato e che morirà d’infarto dopo aver scoperto la tresca coniugale.
Con il nuovo nome e titolo di Lord Lyndon, il protagonista sembra ormai saldamente ancorato alla sua posizione, ma non ha fatto i conti con il figliastro, che, pur bambino, lo odia e lo sfida apertamente. Soprattutto incapperà in una delle leggi non scritte più ferree del suo tempo: ogni essere umano occupa un posto nella scala sociale, voluto da Dio sin dalla nascita, dentro una salda gerarchia verticistica di origine antica e medievale (La Grande Catena dell’Essere, the Great Chain of Being). Chiunque tenti di cambiare la propria posizione, nel caso di Redmond con un’ascesa di tipo verticale, verrà severamente punito o, nel migliore dei casi, sarà sempre considerato con disprezzo ed emarginato dal ceto cui non appartiene per diritto.
Illustrazione della Grande Catena dell’Essere (da Diego Valades, “Rhetorica Christiana”, 1579).
Di conseguenza Redmond avrà un bell’atteggiarsi ad aristocratico, indossando vaporose parrucche incipriate e marsine dai preziosi ricami, o partecipando ai più ambiti eventi mondani: agli occhi altrui rimarrà sempre il rozzo campagnolo appartenente a un infimo ordine sociale, e la nobiltà tenterà sempre di espellerlo dall’ordine dove ha avuto la sfrontatezza d’introdursi, proprio come un organismo espelle un corpo nocivo.
L’affresco di un secolo
Le scene e i costumi di “Barry Lyndon” vennero ricavati dall’osservazione di quadri, stampe e disegni d’epoca, come le tele di William Hogarth o Thomas Gainsborough. Allo scopo di ottenere un’ambientazione che fosse il più possibile fedele al reale, le riprese diurne vennero girate con la luce naturale e, per le scene in notturna, come quelle al tavolo del gioco d’azzardo, usando candele o lampade a olio e ottenendo un’atmosfera calda e intima.
Ecco due opere molto significative, cui Stanley Kubrick sicuramente si ispirò.
L’artista inglese William Hogarth dipinse una serie di quadri satirici intitolati “Il matrimonio alla moda” (1743-45) dove puntava il dito sui matrimoni contratti per soldi anziché per amore. In questa tela viene raffigurato il tête-à-tête tra i due sposi, già annoiati dalla reciproca presenza. Il ciclo di tele si trova alla National Gallery di Londra.
Le opere di Thomas Gainsborough sono spesso incentrate sulla raffigurazione della piccola nobiltà di campagna inglese (la cosiddetta “gentry”), e costituiscono testimonianze preziose della moda di un’epoca. Qui il pittore dipinge i coniugi Mr e Mrs William Hallett intenti a compiere “La passeggiata mattutina” con il loro cane (1785).
Per i motivi sopra menzionati, il film ottenne il premio Oscar per la migliore fotografia (John Alcott), la migliore scenografia (Ken Adam) e i migliori costumi (Milena Canonero e Ulla-Britt Soderlund). Anche la colonna sonora contribuì a far immergere lo spettatore nel clima dell’epoca, poiché il regista utilizzò ampiamente il repertorio della musica classica, come la solenne “Sarabanda” dalla Suite n. 4 in re minore, HWV 437 di Georg Friedrich Händel.
La locandina
Il manifesto di “Barry Lyndon” è una realizzazione grafica in inchiostro nero su fondo bianco, dove l’unica accensione è il rosso della rosa. Nella metà superiore ci sono le gambe di un uomo calzate da pesanti stivaloni; la mano sinistra impugna una pistola, con cui forse ha sparato da poco, o che è pronto a usare. La canna della pistola è puntata contro una rosa che giace per terra e che egli calpesta con un piede. La sagoma dell’uomo si salda alla semplice cornice, ugualmente nera. Il titolo del film e le altre scritte sono in un font graziato dai grandi riccioli, e il tutto esprime grande ordine compositivo e pulizia. È un minimalismo solo apparente, poiché nel poster si celano alcune raffinatezze degne di nota. Scopriamole insieme.
Con grande appropriatezza di linguaggio, i realizzatori del poster di “Barry Lyndon” hanno scelto una “silhouette”, cioè una tecnica di ritratto molto in voga proprio nel Settecento, che riproduce soltanto la sagoma del soggetto colto di profilo.
Pare che la parola derivi dal ministro delle finanze del re Luigi XV di Francia, Étienne de Silhouette; col tempo e attraverso un uso erroneo, finì per indicare il profilo snello di una persona, un’auto o un oggetto. Il ritratto di profilo ha comunque origini antiche, e venne usato soprattutto per le teste degli imperatori romani sulle monete, o quelle dei nobili rinascimentali.
L’opera soprastante s’intitola “Mister Bethany and Patience Wright”. È del XVIII secolo ed è stata realizzata da un artista anonimo, e proveniente da collezione privata. L’opera sembra essere una summa di tutte le figure che si potevano realizzare con la tecnica della silhouette, incluso il cagnolino ai piedi del tavolo.
In realtà del personaggio effigiato nel manifesto di “Barry Lyndon” non abbiamo il volto; e, a voler ben guardare, egli non è collocato nemmeno di profilo, ma frontalmente, come se fosse sul punto di incedere verso di noi per sparare un secondo colpo.
Non siamo in grado di osservare la sua fisionomia, eppure ci parla. Come? Comunica proprio attraverso questa posa incombente, e allo stesso tempo statica, con gli stivaloni, l’arma e la rosa calpestata. Notiamo anche il particolare ineffabile del petalo che si stacca, e ricorda una goccia di sangue umano. La rosa sta morendo e il petalo sembra fare pendant con la foglia nera. L’uomo ha ucciso e calpestato l’amore, la gentilezza, la femminilità, ed è pronto a tutto per raggiungere il suo scopo.
La pistola nel poster di “Barry Lyndon” è, presumibilmente, un’arma da duello, anche in considerazione delle primissime inquadrature del film; il fatto che l’uomo tenga la rosa sotto il suo piede ci suggerisce che l’avversario abbattuto sia proprio il fiore.Coppia di pistole da duello a pietra focaia. Fonte: Wikipedia.
Nell’altra parte del poster gli autori hanno usato un font graziato dove l’occhiello della B si lega alla cornice e la punta dello stivale quasi appoggia sulla Y. Un enorme ricciolo, quasi una protuberanza, s’inarca sulle lettere sottostanti. Lo stesso font viene utilizzato per il nome del regista e gli attori protagonisti, il cui corpo man mano va a diminuire verso il fondo. Nel Settecento la grafia era costellata da riccioli, alcuni dei quali si volgevano all’indietro; da qui, io credo, l’uso di questo carattere.
Il poster di “Barry Lyndon” è dunque misto di violenza e grazia impareggiabili e, nella sua semplicità, ben rappresenta quel secolo che, saldamente organizzato in ordini sociali, fu come un pugno di ferro in un guanto di velluto; secolo che, da lì a poco, si sarebbe concluso con una tempesta rivoluzionaria che avrebbe cambiato il mondo.
Cristina M. Cavaliere
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