Luogo e anno di formazione: Stati Uniti d’America, 1988
Sito web: http://www.travelingwilburys.com
Un po’ per caso, un po’ per gioco, i Traveling Wilburys, straordinaria combo estemporanea composta da George Harrison, Bob Dylan, Jeff Lynne, Tom Petty e Roy Orbison, nacquero nel 1988. L’ex Beatle aveva appena pubblicato l’album “Cloud Nine” con la sapiente produzione di Lynne e doveva registrare un ulteriore brano da utilizzare come lato B del terzo singolo estratto dal disco, “This Is Love”. Dato che in quel periodo tutti e cinque i musicisti, che avevano alle spalle diverse collaborazioni tra loro, frequentavano lo studio di Dylan, decisero di realizzare insieme “Handle With Care”, un pezzo in origine firmato dal solo George. Il risultato fu talmente entusiasmante per la casa discografica che la produzione di un full-length fu il passo successivo.
L’ensemble, nella sua breve durata (Orbison, purtroppo, venne a mancare nel dicembre di quello stesso anno) diede vita a due soli album: “The Traveling Wilburys Vol. 1” fu infatti seguito, nel 1990 da un secondo LP, che Harrison volle ironicamente intitolare “The Traveling Wilburys Vol. 3” e che fu ovviamente prodotto senza l’apporto del cantante texano. È interessante ricordare che il primo disco fu registrato in soli dieci giorni, per via degli impegni pressanti di Dylan, a casa di Dave Stewart degli Eurythmics a Los Angeles.
Insolita è l’origine del moniker della band. George e Jeff, durante le registrazioni di “Cloud Nine”, avevano dato come soprannome agli equalizzatori un po’ difettosi dello studio l’appellativo “wilbury”, partendo dalla scherzosa affermazione “We’ll bury them!”, riferita all’idea di “seppellire”, cioè di far scomparire gli “errori sonori” nel mix finale. Così, inizialmente, decisero di chiamare il quintetto The Trembling (“tremolanti”, “vibranti”) Wilburys. Fu poi proprio Lynne a suggerire l’aggettivo “traveling” (“viaggianti”, scritto con una “l” sola secondo l’ortografia dell’inglese americano). Ciascuno dei membri, poi, adottò uno pseudonimo: essi finsero di essere i figli di un certo Charles Truscott Wilbury Sr. e si ribattezzarono Lucky (Dylan), Otis (Lynne), Charlie T. Jr. (Petty), Nelson (Harrison) e Lefty (Orbison). Con questi nomi essi figurano nei crediti dell’album. Venne anche creata un’etichetta ad hoc per il progetto, la “Wilbury Records”.
Sul sito ufficiale della formazione viene riportato come in ambito accademico alcuni studiosi abbiano avanzato delle ipotesi “aggiuntive” sull’etimologia del loro nome. Un certo professor Robert Sinfield avrebbe fatto riferimento alle Wilbury Fairs, fiere itineranti medievali in cui i cantastorie intrattenevano il pubblico con le loro ballate, e a dei fabbri, anch’essi chiamati “Traveling Wilburys”, che all’epoca delle Crociate avevano l’insolita mansione di sbloccare le cinture di castità inceppate (!). L’accademico cinese Dim Sun avrebbe invece fatto notare la somiglianza del moniker con quello di “The Strolling Tilburys”, i menestrelli preferiti della regina Elisabetta I, e aggiunge che “The Traveling Wilburys” sia, curiosamente, l’anagramma di “V. Burying Will’s Theatre”: in età elisabettiana, infatti, il Globe Theatre, gestito dalla compagnia teatrale di William Shakespeare, era stato chiuso dal “Master of the Revels” Villiers durante un’epidemia di peste. Wilbury Twist, l’ultimo brano del secondo album, potrebbe invece ricordare la “Quadriglia di Wilbury”, una musica da ballo resa famosa a Bath nel 1790 da Beau Diddley, e il “Valzer di Wilbury”, che fu molto popolare a Vienna nel 1890.
Se tutte queste incredibili coincidenze vi hanno lasciato a bocca aperta, ecco svelato l’arcano: colui che riferisce tutto ciò non è altri che Hugh Hampton dell’Università di… Krakatoa, docente di “Applied Jacket” presso la facoltà di “Sleeve Notes”. Siete più confusi di prima? Andiamo con ordine: Hampton è, in realtà, Micheal Palin dei Monty Python, l’ensemble di comici britannici che i cinque adoravano. L’attore era l’autore delle note di copertina (“sleeve notes”) del primo album e si è prestato anche per questo esilarante contributo pubblicato sul sito. Il gioco di parole tra “jacket” (“giacca”) e “sleeve” (“manica”, ma anche “busta interna di un disco in vinile”) è, ovviamente, intraducibile.
Accantonando questi gustosi e fantasiosi “fake”, resta il fatto che il quintetto, pur potendo essere considerato una meteora nel panorama musicale, una spensierata parentesi nella carriera degli stessi componenti, ha lasciato un’autentica perla come “Handle with Care” e altri brani di eccellente fattura. Non poteva essere diversamente, dato l’elevata statura artistica dei cinque. Ma l’unicità dei Traveling Wilburys risiede soprattutto nel fatto che la loro collaborazione fu tanto breve quanto armoniosa: non vi furono dissapori né contese tra “primedonne” e i musicisti seppero cooperare in amicizia, sempre animati dal desiderio di divertirsi. Lo testimoniano sia il fatto che tutti risultavano lead vocalist e compositori dei pezzi in egual misura, sia l’ironia che contraddistingueva tutti i dettagli del progetto, a partire dalla denominazione stessa.