Similitudini.
“Meet the Residents” – The Residents, 1974
“Meet the Beatles” – The Beatles, 1964 (versione U.S.A.)
“With the Beatles”, il secondo full-length del quartetto di Liverpool che uscì a pochi mesi di distanza dal precedente “Please, Please Me” il 22 novembre 1963, appare visivamente molto diverso dal disco d’esordio. Se sulla cover di quest’ultimo, realizzata a partire da uno scatto di Angus McBean, i Quattro, affacciati da una rampa di scale, apparivano sereni e sorridenti, l’artwork dell’album seguente, giocato sul chiaroscuro del b/n, ci mostra quattro volti che Matteo Guarnaccia non esita a definire “amletici”.
L’artista e scrittore milanese recentemente scomparso, nel suo libro “Tutto ciò di cui hai bisogno è amore – Guida ragionata alla visione esoterica dei Beatles” (Shake Edizioni, 2008), a proposito dello scatto di Robert Freeman che campeggia sulla copertina di “With the Beatles” fa notare che i volti di John, George, Paul e Ringo, parzialmente avvolti nell’oscurità, siano come quattro pianeti o altrettante lune che mostrano una sola delle loro facce, veicolando dunque un’atmosfera di mistero.
Esistono, in realtà, delle precise motivazioni dietro alla scelta di una simile immagine: Freeman ricevette direttamente dai Beatles alcune inquadrature in bianco e nero, opera della loro amica Astrid Kirchherr, e fu incaricato di progettare una copertina ispirandosi alle fotografie che gli erano state mostrate. Gli scatti vennero effettuati in un hotel di Bournemouth (o di Weston-super-Mare, secondo quanto ricorda McCartney) ma il risultato finale, decisamente innovativo per l’epoca, fu disapprovato dalla EMI e dal manager Brian Epstein perché considerato “funebre” e pertanto sfavorevole per l’immagine del gruppo. I Beatles però si impuntarono e il grande successo in termini di vendite, nonché il gradimento dimostrato dagli ammiratori per l’immagine in chiaroscuro, diedero loro ragione e chiusero qualsiasi controversia.
A proposito della preponderanza del colore nero, Guarnaccia nella sua analisi dichiara: «Il nero, prima ancora che descrizione fisica, è una metafora e mette l’accento sulla qualità della materia lavorata che è ancora imperfetta, grossolana, impura, greve»: la band, pur essendo già in uno stato di grazia, si evolverà notevolmente, come è risaputo, negli anni successivi. Il riferimento, qui, è all’alchimia e alla “nigredo”, la fase iniziale della Grande Opera, cioè la creazione della pietra filosofale: Lennon, McCartney, Harrison e Starr stavano infatti ancora muovendo i loro primi passi in ambito discografico, inconsapevoli del deflagrante impatto che la loro musica avrebbe avuto sulla Storia. Il critico prosegue: «La tenebra impenetrabile, brulicante di forze invisibili, è però rotta da una pallida luce lunare». In effetti i visi dei componenti della band sono illuminati solo per metà da una fonte luminosa proveniente dalla loro destra (da sinistra per l’osservatore).
Ci si chiede se la scelta della foto di copertina celi davvero significati reconditi o esoterici come suggerisce l’autore. È più probabile che il concept rientri nell’estetica degli Exis, il gruppo amburghese che si rifaceva all’esistenzialismo francese di cui Kirchherr faceva parte: tale qualità visiva è infatti riscontrabile in molti degli scatti realizzati dalla fotografa in quegli anni. La foto, inoltre, mette in particolare risalto la capigliatura dei musicisti, l’iconica acconciatura “moptop” concepita dalla stessa Astrid.
Guarnaccia non manca di evidenziare come Ringo Starr, entrato successivamente nella formazione come sostituto di Pete Best, appaia “isolato” rispetto agli altri, essendo collocato sotto la testa di Paul McCartney.
Lo scrittore, nella sua disamina, conclude affermando che a suo avviso questa copertina sia la più “classica”, dal punto di vista estetico, fra tutte quelle della discografia dei Beatles. Questa sua “classicità” ispirò una band del decennio seguente a compiere un gesto di irriverenza e sfregio, nello stesso spirito di Marcel Duchamp che in un suo “ready-made” del 1919 appose baffi e “pizzetto” a uno dei ritratti più celebri della storia dell’arte, quello della “Monna Lisa” di Leonardo Da Vinci.Stiamo parlando dei Residents, gruppo californiano che nel 1974 deturpò la cover di “With the Beatles” trasformando i volti dei Fab Four in altrettanti zombies, disegnandoci sopra baffi, una linguaccia, denti da vampiro ed aggiungendo altri elementi (un piercing a forma di simbolo della pace su una narice di John Lennon, occhi vacui o strabici, un’aureola sulla testa di Ringo ed altri “pasticci”) che la connotano come un’immagine “horror”. È evidente come, in pieno spirito proto-punk, la formazione statunitense voleva “distruggere” il passato, senza alcun rispetto per la musica ascoltata dalla generazione antecedente; del resto negli anni Settanta, il decennio successivo al loro scioglimento, i Beatles avevano effettivamente subito una flessione della loro popolarità, mentre gli ex componenti si stavano dedicando con impegno ai propri rispettivi progetti solisti. È opportuno precisare come il titolo “Meet the Residents” ricalchi quello di “Meet the Beatles”, il titolo che era stato attribuito a “With the Beatles” nell’edizione americana, pubblicata il 20 gennaio 1964.
Se si confrontano fronte e retro dell’album del quartetto inglese con quello della band di San Francisco (i cui componenti, però, erano originari della Louisiana) si riscontra il fatto che si tratta, nel suo intento parodistico, di una riproduzione molto fedele all’originale, a partire dal sottotitolo “The First Album by North Lousiana’s Phenomenal Pop Combo”. Di grande impatto è anche il retrocopertina, dove i quattro di Liverpool sono ritratti con gamberi e stelle marine al posto della testa e chele come arti, e vengono rinominati John Crawfish, Paul McCrawfish, George Crowfish e Ringo Starfish.
Il disco del collettivo statunitense (non è stata mai resa nota l’identità dei suoi componenti e solo uno di essi, Hardy Fox, è uscito allo scoperto poco prima di morire, nel 2018) fu da loro autoprodotto e quando uscì vendette pochissime copie, mentre oggi è ritenuto un lavoro unico, peculiare e seminale. Potrebbe essere definita un’operazione “proto-punk” che travolge nella sua furia iconoclasta non solo l’immagine dei Beatles, ma anche tutta la musica precedente. Nell’album, infatti, sono contenuti frammenti e citazioni che attingono a tutto lo scibile sonoro esistente, dal jazz al rock e dalla classica alla musica etnica, in una sorta di dadaismo musicale che scompone e ricompone la tradizione per dare vita ad una caleidoscopica cacofonia.
L’artwork della release dei Residents è comunque soltanto una delle innumerevoli dimostrazioni del fatto che i Fab Four abbiano esercitato un’influenza straordinaria, non solo a livello musicale ma anche dal punto di vista estetico e visuale, nell’arte e nella cultura dei decenni a loro successivi.
Maria Macchia