Anno d’uscita: 1982
Regia: Ridley Scott
Il film “Blade Runner” (traducibile come: “il corridore della lama”) è liberamente ispirato al romanzo distopico del 1968 “Il Cacciatore di Androidi” (“Do Androids Dream of Electric Sheep?”) del visionario scrittore americano Philip K. Dick. Fu seguito da alcune versioni rimaneggiate, tra cui “Director’s Cut” (1992) e “Final Cut” (2007), entrambe approvate dal regista, senza la voce fuori campo e con scene cambiate. Sin dal suo primo apparire nelle sale cinematografiche la pellicola suscitò molte perplessità; gran parte della critica la giudicò cupa e dal ritmo troppo lento. Nel volgere di pochi anni, però, venne annoverata tra le pietre miliari nella storia del cinema, grazie al favore internazionale del pubblico e ad alcuni ripensamenti della critica stessa.
(Blade_Runner_spinner_flyby.png – Attribuzione autore: By Warner Bros. – Blade Runner: The Final Cut, Fair use, https://en.wikipedia.org/w/index.php?curid=39260231)
La trama
La pellicola è ambientata nella Los Angeles del 2019, dove unità speciali chiamate “blade runner” sono specializzate nella caccia ai replicanti, robot del tutto uguali agli esseri umani nelle loro fattezze. Sei replicanti Nexus 6, appartenenti a una linea di produzione più sofisticata, sono però fuggiti dalle colonie extra-mondo per approdare sulla Terra. Il gruppo è guidato da un replicante da combattimento, Roy Batty (Rutger Hauer), e ha già cercato di infiltrarsi nella Tyrell Corporation che li ha prodotti. Tutti devono essere perciò “ritirati” al più presto e della cosa viene incaricato il più efficiente della squadra, cioè Rick Deckard (Harrison Ford).
Un film abissale
“Blade Runner” è un film che sembra aggiungere sempre nuovi significati a ogni visione. In quanto al genere, è sia una storia di ambientazione fantascientifica sia un poliziesco con molte scene d’azione, inseguimenti, colluttazioni e sparatorie. Vi è inoltre l’aggiunta di alcuni stereotipi del noir esemplificati dai personaggi del duro Deckard e della bellissima Rachael (Sean Young).
(Blade_Runner_(1982)_-_Rick_Deckard – Attribuzione autore: screenshot caricato da Danyele – Screenshot dall'edizione Final Cut in DVD-Video del film., Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=2763960)
Questo lungometraggio è anche una riflessione profonda su che cosa significhi appartenere all’umanità o essere dei replicanti/robot costruiti per svolgere determinate funzioni. Questi ultimi sono schiavi indistinguibili dagli esseri umani («Più umano dell’umano» è lo slogan della Tyrell Corporation con riferimento al modello Nexus 6), vengono dotati di un pacchetto di ricordi creati ad arte e tuttavia cominciano a esprimere emozioni proprie.
La pellicola si traduce perciò in un pellegrinaggio alla ricerca del proprio creatore, nell’insopprimibile bisogno di sapere da dove veniamo e perché viviamo un tempo così limitato (per questi replicanti, soltanto quattro anni), anche se incontrare finalmente “il padre” – in questo caso Eldon Tyrell (Joe Turkel), inventore e capo della Tyrell Corporation – potrebbe deluderci senza ottenere le risposte che vogliamo. Il tempo è infatti un altro grande leitmotiv del film, rappresentato dalla malattia dell’invecchiamento precoce di cui soffre il genetista J.F. Sebastian (William Sanderson) e che si circonda di automi da lui inventati nella solitudine del suo appartamento.
In questa spasmodica ricerca primeggia il replicante Roy Batty, in grado di battersi come un guerriero, giocare a scacchi come un campione e citare un passaggio adattato dal poema di William Blake, “America. A Prophecy”: «Fiery the angels fell; deep thunder rolled around their shores; burning with the fires of Orc.» («Avvampando gli angeli caddero; profondo il tuono riempì le loro rive, bruciando con i roghi dell’Orco.»). O capace di gesti emozionanti, come accarezzare dolcemente una colomba pochi istanti prima di morire, in una scena ormai celeberrima e citatissima.
Nella tavola 8 di “America. A Prophecy”, Orc, lo spirito della rivoluzione citato da Roy Batty, sorge: «The grave is burst, the spices shed, the linen wrapped up».
“Blade Runner” è anche una struggente storia d’amore esaltata dalle musiche di Vangelis, e una rappresentazione dei legami di solidarietà nel gruppo dei replicanti fuggiaschi, a differenza dei cosiddetti esseri umani ormai cinici e indifferenti, orientati alla sopravvivenza o al profitto, catturati dal movimento incessante di folle impersonali
Non da ultimo, si tratta di un film che pone interrogativi ecologici, con il suo sguardo profetico: non c’è futuro su una Terra ormai inquinata e sterile. Los Angeles è una megalopoli immersa nell’oscurità illuminata artificialmente e battuta da un’eterna pioggia, e dove le ciminiere sprigionano fumi tossici, con stabili abbandonati pieni di rifiuti, manichini e oggetti da bric-à-brac. L’unica alternativa in “Blade Runner” è emigrare nelle colonie extra-mondo, come invita insistentemente a fare sugli schermi la gigantesca pubblicità con una geisha ammiccante. Proprio quelle cui sono destinati i replicanti-schiavi, e da cui essi sono scappati.
La locandina
La locandina ha un’impostazione multidirezionale, con un andamento a zig-zag. L’occhio non è attirato subito da un punto “protagonista”, quale può essere un fuoco prospettico o un personaggio più impattante degli altri, ma vaga, sulle prime senza riuscire a trovare un luogo dove fermare l’attenzione. Gli esseri umani e gli edifici paiono avere uguale importanza, e le persone sembrano “sparate” dai grattacieli verso l’alto, nell’oscurità di una metropoli dalle vertiginose profondità.
I due personaggi raffigurati (Rachael e Rick Deckard) sono vestiti di nero, come sono neri i grattacieli. Accanto a lei si snoda la spirale di fumo della sigaretta, ripresa dalla scena dove viene sottoposta a un test per stabilire se riesca a provare o meno emozioni, e quindi se sia un essere umano o un automa. Ha un viso dall’espressione impassibile. Sarà un fake o no? I due personaggi guardano in direzioni diverse: non c’è comunicazione né tra loro né con noi. Il cacciatore di replicanti impugna una pistola, il viso dall’aria corrucciata imperlato di sudore. Viene messo in evidenza dai raggi di luce che arrivano da una fonte artificiale, ma che lo rendono simile a un supereroe dei fumetti sprigionante flash di energia.
I grattacieli si ispirano quasi sicuramente al film “Metropolis” di Fritz Lang, emanano una luce fluorescente, e sono punteggiati dalle luci delle finestre o colpiti dai fari dei veicoli che si alzano e si abbassano, o sfrecciano in tutte le direzioni. Per uscire a «riveder le stelle», come scriverebbe Dante, e cogliere un raggio di sole, bisogna prendere una navetta che voli verso l’alto (la vediamo nel poster, quasi fusa nella manica di Deckard), sulla cima di grattacieli simili a ziggurat, dove vivono le élite, tra cui lo stesso Tyrell.
Un grattacielo di “Metropolis” (1927) del regista Fritz Lang.La locandina di “Metropolis”, che riprende gli stilemi dell’espressionismo tedesco, con la città e il robot.
Altro paragone che viene immediatamente alla memoria è la biblica Torre di Babele, nel capitolo di Genesi 11, 1-9: «Si dissero l’un l’altro: “Venite, facciamoci mattoni e cociamoli al fuoco”. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra”.» È noto che il Signore osservò la costruzione in fieri, e decise di confondere le lingue degli uomini affinché essi non potessero più comunicare tra loro.La Torre di Babele e la confusione delle lingue, in una raffigurazione di Gustave Doré.
Nel manifesto la scritta in alto, molto piccola nel corpo, recita: «Man has made his match…now it’s his problem», con chiaro riferimento ai replicanti sfuggiti ormai al controllo dei loro costruttori. I colori predominanti sono il nero, il giallo e l’ocra. Il nome dell’attore Harrison Ford campeggia come elemento attrattivo, in quanto già conosciuto al grande pubblico per aver interpretato alcuni anni prima il contrabbandiere Han Solo in “Star Wars”, lungometraggio che inaugura la fase postmoderna del cinema e immerge lo spettatore in quel bagno di sensazioni che non verrà meno. Al di sotto, i caratteri del titolo in rosso s’inclinano sulla destra per suggerire velocità, la stessa con la quale i “blade runner” devono mettersi in caccia per stanare i loro alter ego.
Cristina M. Cavaliere
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