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“The Thieving Magpie” (“La gazza ladra”) è un doppio album live, registrato in varie tappe durante il “Clutching at Straws” tour 1987-1988. Il titolo si riferisce all’opera rossiniana, la cui ouverture era usata dal gruppo per l’ingresso sul palco. Ma come abbiamo visto, la gazza ha attinenza diretta anche con i lavori dei Marillion, e con la crescita umana del suo frontman.
Il disco fu pubblicato poco dopo la partenza del cantante Fish dalla band, per cui non dovrebbe essere materia di questo articolo. Lo cito con affetto per la tecnica ad aerografo, qui praticamente fotorealistica, di cui Wilkinson è maestro indiscusso e per un motivo molto romantico, presente nella copertina posteriore dell’album: Immagino abbiate riconosciuto Jester, il tamburino e Torch, fluttuare liberi nello stesso cielo.
Ci sono nuvole all’orizzonte, non sarà facile ricostruirsi una vita ma lui, lo sappiamo, è nato con il cuore di Lothian.
Life Goes On…
Lo strappo di Fish con i Marillion non decreta la fine né dell’artista, né della band. I suoi ex compagni reclutano il cantante e polistrumentista Steve Hogarth, allora componente del duo pop How We Live, con cui aveva prodotto nel 1987 “Dry Land”. Nel 1989 i Marillion pubblicano il primo full-length con il nuovo entrato a cui assegneranno il poco casuale e molto simbolico titolo “Season End”. Da allora Hogart sarà sempre presente nella formazione e, assieme a Steve Rothery, una delle chitarre più belle che abbia mai ascoltato, continua a proporre dischi eleganti ed emozionali.
Perdono i Marillion, con la fuoriuscita di Fish, quella parte di teatralità narrativa che il gigante era in grado di trasmettere, a mio parere una qualità raramente ritrovabile altrove; pochi la possiedono, come Bruce Dickinson degli Iron Maiden ad esempio. Nel contempo Fish si getta a capofitto in quella che è tutt’oggi una lunga carriera solita, costellata di molte collaborazioni, la cui cifra stilistica rimane la sua capacità comunicativa e la facilità nel generare empatia nell’ascoltatore.
Mi ricordo come fosse ora la prima volta che ho sentito “Garden of Remembrance” (2020), un brano delicato e toccante in cui il talento del nostro nel raccontare cantando si fa sentire talmente forte da riuscire a raggiungere profondità impensabili. L’età probabilmente lo ha reso più consapevole, forse gli ha anche permesso di convivere, se non di fare pace, coi suoi antichi demoni.
La fiamma che arde in lui, sicuramente alimentata da sentimenti diversi rispetto al passato, potrà anche aver cambiato il suo colore, ma il calore che diffonde quello no, rimarrà per sempre immutato.
Fabio Vannucci
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