Anno d’uscita: 2001
Regia: Ermanno Olmi

Tra i capolavori del regista Ermanno Olmi c’è il film di ambientazione storica “Il mestiere delle armi”, presentato in concorso al 54° festival di Cannes. Il lungometraggio si concentra sull’ultimo periodo della vita del condottiero Giovanni delle Bande Nere, ovvero Ludovico di Giovanni de’ Medici, nipote del Papa e al servizio dello Stato Pontificio nella prima metà del XVI Secolo. Una figura che verrà ben presto ammantata di leggenda, sia per il suo valore in battaglia sia per la giovane età in cui morì. Di lui si impadronirà il Risorgimento italiano, ansioso di avere simboli ed eroi attorno a cui radunarsi e mantenere vivo il fuoco della lotta per l’indipendenza nazionale.

da sinistra: ritratto di Giovanni delle Bande Nere di Francesco Salviati (1546-1548) e Giovanni delle Bande Nere, impersonato da Hristo Živkov.

Un periodo storico turbolento
La pellicola si svolge pochi decenni dopo l’inizio della cosiddetta Età Moderna, che nella storiografia si apre convenzionalmente con il 1492, data della scoperta dell’America e fine del Medioevo. Il periodo è particolarmente difficile per l’Europa in generale, sia dal punto di vista geopolitico che religioso. Le potenze dell’epoca formano leghe, che vengono continuamente disfatte in nome di ambizioni personali e delle convenienze del momento. La penisola italiana, frantumata in una serie di staterelli che diffidano l’uno dell’altro, e sono pronti ad allearsi con il potente di turno, è un ghiotto boccone su cui ha messo gli occhi Carlo V, re di Spagna e imperatore del Sacro Romano Impero.

Nell’inverno del 1526, anno in cui è ambientato “Il mestiere delle armi”, l’imperatore invia dunque in Italia una sua armata di lanzichenecchi – soldati per lo più di confessione luterana – al comando di Georg von Frundsberg. L’anziano generale ha intenzione di conquistare la penisola e la “novella Babilonia”, la città dei papi ormai sentina di ogni vizio.

Nel tentativo di bloccare l’avanzata dell’esercito invasore verso Roma, e consapevole della propria inferiorità numerica, Giovanni delle Bande Nere e la sua compagnia attaccheranno con brevi cariche di cavalleggeri e archibugieri a cavallo. Ma von Frundsberg riceverà in dono, proprio dal duca Alfonso d’Este di Ferrara, quattro pezzi di artiglieria detti falconetti, uno dei quali si dimostrerà letale per Giovanni.
La rivoluzione militare
Proprio in questo periodo, si assiste infatti a un salto di qualità nel “mestiere della guerra”, principalmente grazie all’uso sempre più massiccio di armi da fuoco di nuova concezione e della polvere da sparo, al declino della cavalleria come compagine d’assalto, oltre a tutta una serie di novità strategiche, logistiche e architettoniche. Peraltro le avvisaglie di questa trasformazione vi erano già state nel 1494, quando il re francese Carlo VIII, nella sua calata in Italia, aveva portato con sé un cannone più leggero e maneggevole, e una fanteria reclutata prevalentemente su basi di mercato.

Si tratta di nuove armi che non soltanto avranno un maggiore impatto bellico, ma determineranno una crisi di valori e avranno dei contraccolpi anche di tipo sociale. A nulla servirà, infatti, la preparazione militare del cavaliere: imbracciato un archibugio, qualsiasi contadino dotato di mira sarà in grado di abbatterlo senza ingaggiare alcun combattimento corpo a corpo. E chi è in possesso di più denaro da spendere sarà in grado di acquistare questi nuovi strumenti di morte.

I colori del film
“Il mestiere delle armi” è un film ambientato in pieno inverno, dalle tinte fredde e con paesaggi immersi nella nebbia, dove i soldati soffrono la fame e il freddo, bruciano i crocifissi delle chiese per scaldarsi, e parlano tra loro con forte accento dialettale. Non vi sono discorsi retorici per fare coraggio ai propri uomini, e combattimenti epici tra eserciti, tutt’al più scaramucce e osservazioni reciproche tra i due comandanti, dove a parlare sono gli sguardi. Le uniche isole di calore sono le sfarzose corti dei ducati italiani, dove però serpeggiano gli intrighi della politica e le manovre del potere.

Il protagonista tradito
In realtà Giovanni delle Bande Nere soccombe non soltanto per la sua cattiva stella, ma viene tradito proprio dalla politica, in primis dai principi italiani: coloro che dovrebbero essere i suoi primi alleati. Un esempio per tutti è il marchese di Mantova Federico Gonzaga che sceglie deliberatamente di lasciare via libera all’esercito dei lanzichenecchi attraverso la porta fortificata, e che poche ore dopo ostacola il passaggio delle truppe di Giovanni da quella stessa porta.

da sinistra: Ritratto di Federico II Gonzaga di Tiziano Vecellio (1529) e Federico II Gonzaga in una scena del film. In braccio tiene l’amato cagnolino, come nel ritratto di Tiziano.

Giovanni sarà ferito da un colpo di falconetto alla gamba, che poi andrà in gangrena e dovrà essergli amputata. La ferita lo porterà alla morte, come testimonia anche Francesco Guicciardini nel suo “Storia d’Italia”, lib. 17 cap. 16: «… Giovanni de’ Medici co’ cavalli leggieri; e accostatosi più arditamente perché non sapeva che avessimo avute artiglierie, avendo essi dato fuoco a uno de’ falconetti, il secondo tiro roppe la gamba alquanto sopra al ginocchio a Giovanni de’ Medici; del quale colpo, essendo stato portato a Mantova, morì pochi dì poi,…»

L’inizio del film e la locandina
La prima scena si apre con un’inquadratura di Giovanni, impersonato dall’attore bulgaro Hristo Živkov, che osserva il nemico. Si tratta di un primo piano con la sua testa chiusa dall’elmo, dove si intravvedono soltanto gli occhi nella feritoia, l’azzurro dell’inverno a fargli da sfondo. La scena successiva mostra una sorta di istrice di lunghissime lance che si dispiega a ventaglio, e una voce fuori campo che dice: «Chi fu il primo che inventò le spaventose armi? | […] | Da quel momento furono stragi, guerre. | Si aprì la via più breve alla crudele morte. | Tuttavia il misero non ne ha colpa. Siamo noi che usiamo malamente | quel che egli ci diede per difenderci dalle feroci belve.” Si tratta di un passaggio di Albio Tibullo, poeta romano del I Secolo a.C.

Gli elementi sopra menzionati costituiranno la locandina del lungometraggio, dove la testa munita di elmo, tagliata e posizionata sulla destra, ci appare come quella di un cyborg in cui ogni fattezza umana è imprigionata nel ferro, e quindi cancellata e irriconoscibile. L’altra macchina da guerra è quella siepe di lance che si intravvede alle sue spalle e che sembra spuntare dall’elmo stesso, irrigidita dal gelo dell’inverno. Un manifesto che esprime appieno la presenza algida della morte.
Cristina M. Cavaliere