Anno d’uscita: 2023
Sito web: https://nicgyalson.com/it/

«Quando le porte della percezione verranno purificate, tutte le cose appariranno come realmente sono: infinite».

Questa celebre frase di William Blake, tratta dal suo “libro profetico” “The Marriage of Heaven and Hell” (1790), è stata fonte di ispirazione per numerosi artisti, letterati e musicisti: da Aldous Huxley, che intitolò “The Doors of Perception” il suo saggio del 1954 dedicato alla possibilità di raggiungere un contatto con il divino tramite l’esperienza psichedelica, a Jim Morrison, che chiamò la sua band “The Doors” proprio in omaggio ad Huxley e allo stesso Blake. Il poeta inglese, con questo aforisma, intendeva esprimere la necessità di trascendere i limiti dei cinque sensi: per raggiungere la vera conoscenza non occorre la razionalità, né l’approccio empirico, bensì l’intuizione, mentre l’immaginazione è la facoltà che consente di creare il mondo e di penetrarne l’essenza e il significato. La “porta”, quindi, diviene simbolo del confine che va necessariamente superato per accedere all’unione con il Sé e con l’Universo.
Nella quotidianità, invece, varcare una porta significa aprirsi all’altrove, sia che si tratti di accedere alla stanza di una casa o di esplorare un luogo sconosciuto; chiuderla, invece, rimanda all’idea di voler proteggere sé stessi e il proprio spazio vitale, o può essere metafora del volersi lasciare il passato alle spalle. Che la si osservi dall’esterno o dall’interno, comunque, la porta è sempre connessa all’idea di “passaggio”, sia in relazione a banali azioni di routine che a situazioni più complesse. Dietro di essa può celarsi un luogo noto e familiare, ma è altrettanto vero che l’immagine di una porta chiusa rimanda spesso al mistero che essa nasconde e a tutte le conseguenze che oltrepassare una soglia, concreta o ideale, può comportare.

Non stupisce, quindi, che un giovane cantautore abbia scelto di raffigurare questo elemento nell’artwork del suo disco, adattandolo alle proprie esigenze artistiche e personali. Sulla copertina di “Yellow House”, l’album di Nic Gyalson in uscita oggi, 5 maggio 2023, campeggiano non una, bensì tre porte, di colore giallo, in coerenza con il titolo del lavoro. Il protagonista dell’immagine, il musicista stesso, è seduto in un angusto pianerottolo, dando le spalle alle tre aperture. All’idea sopra citata di valicare un confine verso uno spazio non conosciuto, quindi, si aggiunge qui la componente della “scelta”: queste porte possono infatti rappresentare tre alternative. Dietro di esse potrebbero esserci, semplicemente, tre diversi locali, ma molto probabilmente non sarà così. È superfluo osservare, infatti, che il 3 è un numero magico, pertanto la decisione di sceglierne una potrebbe avere conseguenze decisive, come accade in molte fiabe, in cui l’eroe o l’eroina si trovano davanti tre strade, tre forzieri o devono superare tre prove, l’ultima delle quali è generalmente quella determinante. Dobbiamo quindi ritenere che soltanto uno degli ingressi condurrà il Nostro nel luogo “giusto”? O, piuttosto, le vie che gli si prospettano davanti (anzi, che si trovano dietro di lui) sono tutte valide chances? Per giungere ad una soluzione dobbiamo avvicinarci e raggiungere, idealmente, Nic nel ristretto, quasi claustrofobico angolo che lo ospita. Vediamo che davanti a sé l’artista ha tre chiavi, che corrispondono ad altrettante serrature ed accessi: ma è davvero così?

Osservando attentamente la prima porta, vediamo che su di essa è stato affisso un cartello di colore blu, indicante l’obbligo di indossare la mascherina. È inevitabile ripensare all’incubo del Covid-19 e alle restrizioni pandemiche, ma potrebbe anche trattarsi di altro. Al di là della chiusura, infatti, potrebbe trovarsi un luogo asettico, quindi è necessario indossare dispositivi di protezione per non contaminarlo. O il contrario: l’ambiente potrebbe essere foriero di contagio, così si raccomanda l’uso di opportune difese. Attenzione, però: non c’è maniglia, quindi è impossibile entrare: in automatico, allora, questa scelta viene esclusa, così come è escluso per chiunque poter fare “marcia indietro” e rivivere il proprio passato.

Lo sguardo viene ora attirato dalla porta centrale, poiché anch’essa reca un cartello con un disegno colorato – un grafico, apparentemente – di non immediata comprensione. Si tratta, in realtà, della rappresentazione di una curva bifasica, ovvero dell’andamento dell’alternarsi di differenti condizioni biologiche secondo le 5 leggi scoperte da Ryke Geerd Hamer (1935 – 2017), medico tedesco radiato dal relativo albo professionale e fondatore della cosiddetta “Nuova Medicina Germanica”.
Secondo lo studioso, ogni sintomo che l’organismo umano manifesta è generato da uno shock biologico chiamato DHS (Dirk Hamer Syndrome). A partire da quell’evento scatenante si attivano nel nostro corpo uno o più programmi biologici speciali e sensati (SBS). Organi e tessuti, pertanto, si modificano con la finalità di fornire all’individuo “strumenti” che gli consentano di uscire dalla situazione difficile o pericolosa che sta attraversando. Nel grafico visibile nell’artwork si descrive il sistema neurovegetativo nelle due funzionalità possibili: ordinaria e speciale. La prima descrive la normale attivazione delle funzioni del corpo durante il giorno (simpaticonia, in blu) e nella fase di riposo notturno (vagotonia). La parte in rosso indica la PCL (post-conflittolisi), cioè la risoluzione dei conflitti messa in atto dall’organismo per “riparare i danni” causati dall’evento traumatico. Il grafico sintetizza le prime due “leggi biologiche”, ma ne esistono altre tre, che indagano, rispettivamente, lo sviluppo dei tessuti cerebrali e nervosi, l’utilizzo da parte del corpo di microrganismi utili a favorire la rigenerazione e la necessità di questi processi per la sopravvivenza del singolo e delle specie. La conclusione di Hamer è che non ha senso parlare di “maligno” o “benigno” in riferimento a fenomeni e sintomi corporei, ma bisogna superare la dicotomia “salute-malattia” sulla quale si basano il sentire comune e la medicina ufficiale. Una prospettiva olistica, dunque, che fornisce una visuale alternativa rispetto ai “normali” concetti di malessere e benessere, e che Nick Gyalson ha voluto fare propria al punto di volerla condividere con il pubblico, dandole spazio sulla copertina del suo full-length.

Alla terza porta, infine, è appoggiata una chitarra. Questa, decisamente, sarà per molti osservatori, inclusa la sottoscritta, la porta più attraente. Oltre a costituire la colonna sonora delle nostre vite, infatti, la musica, come è risaputo, può avere persino effetti terapeutici, aiutando il sistema corpo-mente nei propri processi di guarigione (per dirla in modo tradizionale) o ristrutturazione (usando la terminologia di Hamer). E, per tornare a Jim Morrison e all’allargamento delle “porte della percezione” e degli orizzonti individuali, la musica è indubbiamente la migliore compagna in tutti i frangenti dell’esistenza: «Music is your only friend until the end» cantava il Re Lucertola in “When the Music’s Over”. I simboli accostati alle tre porte potrebbero significare, dunque, un tentativo di rielaborare lo shock individuale e mondiale causato dalla pandemia, considerandone i nefasti effetti come necessari all’evoluzione dell’individuo, con la musica a fungere da coadiuvante dell’equilibrio psicofisico? L’ipotesi sembra verosimile.

Ma conosciamo, ora, più da vicino Nic Gyalson: dietro questo pseudonimo si cela Nicolò Mariani, musicista e produttore di stanza a Lugano. “Yellow House”, realizzato e prodotto con Pietro Foresti, è un album caratterizzato da atmosfere “british” in cui brani di forma cantautorale si rivestono di sonorità alternative rock/indie con qualche scorribanda nel territorio della psichedelia e del blues.
Le canzoni nascono da esperienze di vita vissuta in un periodo denso di avvenimenti dal forte impatto emotivo, tra i quali la fine di una relazione “tossica”, la nascita di un figlio, l’esperienza di isolamento generata del lockdown e la riflessione sugli aspetti del funzionamento biologico dell’organismo, maturata alla luce dell’approccio con le già citate teorie del Dr. Hamer. Riferimenti alla pandemia sottendono i testi: la title track, ad esempio, descrive in modo sarcastico la sensazione di prigionia causata dal confinamento e l’insofferenza all’obbligo vaccinale: «Life is good in the Yellow House/Zero chance of infection… Get a well-being injection/You shall be in subjection»; “Colombian Lady” e “One Second and a Half” alludono alla lontananza dalla donna amata; il processo di una dolorosa, ma necessaria, separazione sentimentale che ha avuto luogo in questa stessa fase viene poi raccontato in “Hanging on to No-One ” e “Dreams”. Altro aspetto da evidenziare è quello della diffidenza dell’artista nei confronti delle logiche dell’industria discografica digitale, che si intuisce in un brano come “Shy Peacock” e che viene ribadita dalla decisione di pubblicare l’LP unicamente in vinile (in versione giallo trasparente) e di non renderlo disponibile su piattaforme mainstream come Spotify, bensì su Bandcamp, l’unica autentica vetrina della musica indipendente.
In questa copertina le tre porte, in definitiva, possono rappresentare tre tappe evolutive: il passato – pandemia, lockdown, relazioni interrotte -, il presente con nuove prospettive, responsabilità da affrontare, nuove visuali sul concetto di benessere e di equilibrio personale, ed il futuro, sinonimo di opportunità di “rigenerazione”, anche grazie alla realizzazione di un lavoro discografico indice di un’auspicata maturità. Tre porte “della percezione” quindi, a voler esprimere la visione della realtà di Nic e il suo tentativo di raggiungere, come nei varchi metaforici evocati dal visionario poeta inglese, la propria “divina essenza”: una si è chiusa definitivamente su sgradevoli trascorsi e non sarà più riaperta, l’altra consente di vivere una vita piena ed appagante, l’ultima prefigura un avvenire all’insegna della creatività artistica e musicale.

L’artwork di “Yellow House” è il coerente corrispettivo visivo del messaggio che l’album di Gyalson intende veicolare: il songwriter sembra infatti avere le idee chiare sulla realtà, avendo fatto i conti con i propri trascorsi e avendo tracciato il proprio percorso a livello personale e professionale. Le tre chiavi sul pavimento, dunque, sono superflue: egli, attraverso questo disco, vuole trovare la vera chiave di lettura dell’esistenza e “purificare”, per dirla con Blake, le porte della propria percezione. O, forse, lo ha già fatto.
Maria Macchia

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