“Wild Waves” – Silverbones
Anno di uscita: 2016
Siti web: https://silverbonesofficial.wixsite.com/silverboneshttps://www.facebook.com/silverbones.heavymetal/?locale=it_IT

“Calico Jack” – Calico Jack
Anno di uscita: 2019
Siti web: http://www.calico-jack.net/https://www.facebook.com/CalicoJackOfficial/

“Skull and Bones – Tales from over the Seas” – Great Master
Anno di uscita: 2019
Siti web: https://www.great-master.com/ – https://www.facebook.com/greatmasterband

Può capitare di imbattersi in testi storici inerenti l’Epoca Classica che inaspettatamente trattano fatti accostabili alla “routine” del Corsaro Nero salgariano.

Troviamo un perfetto esempio di ciò nei dettagliati resoconti scritti lasciati dai nostri antenati romani circa le ciurme di razziatori che infestavano il Mare Nostrum ventun secoli fa. Forse il più memorabile tra questi racconti – anche solo per il rango del protagonista principale – è quello che descrive in che modo perfino un personaggio “insospettabile” come Giulio Cesare (100 a.C. – 44 a.C.) sia finito in balìa di una banda di pirati presso l’isola di Farmaco, non lontano dall’odierna Turchia, restando poi loro prigioniero per 38 giorni.
Va precisato che, al momento del “fattaccio”, il futuro dictator di Roma era ancora solo un giovane, promettente ma squattrinato, e per di più esiliato politico; tuttavia reagì già “alla sua maniera” di fronte ai sequestratori. Per prima cosa rifiutò di pagare l’esorbitante somma di venti talenti di riscatto da loro pretesa, affermando di valerne almeno cinquanta. Poi, durante la sua reclusione in attesa che il denaro estorto fosse raccolto, si dimostrò così poco preoccupato dalle grinte dei suoi carcerieri, da arrivare a minacciarli duramente se facevano chiasso mentre dormiva. Infine, siccome lo ripagavano con poche lodi e molti sbadigli, quando leggeva loro i versi in poesia che componeva di suo pugno, e di cui andava enormemente fiero, li chiamava “barbari” e “manica di bestie” dopo ogni recita.

I pirati, dal canto loro, trattarono con indulgenza le stramberie del recluso, considerandole quasi uno svago comico nelle lunghe settimane in cui dovettero sorvegliarlo. È sicuro però che questa bonarietà costituisse nell’epoca di Cesare un’eccezione più unica che rara, perché la reputazione che i suoi contemporanei affibbiavano normalmente ai predoni dei mari era già allora molto fosca.

Non è un caso, infatti, se nel 2019 la band heavy-metal italiana Great Master ha intitolato con l’espressione latina “Hostis Humani Generis”, cioè “Nemico del Genere Umano”, la traccia di apertura del suo primo album dedicato a racconti pirateschi “Skull and Bones – Tales From Over the Seas”: quella di “nemico pubblico”, era per l’appunto la nomea con cui già il retore Marco Tullio Cicerone (106 a.C. 43 a.C.), contemporaneo di Cesare, bollava i saccheggiatori che infestavano il Mediterraneo, e che poi è stata assegnata nel corso dei secoli anche ai loro successori di ogni mare.
Se i pirati di oltre due millenni fa hanno lasciato un’impressione così marcata da poter ispirare una canzone dopo così tanto tempo, è ragionevole immaginare che i loro “colleghi” dei più recenti Secoli XVII e XVIII abbiano fatto almeno altrettanto, se non di più. Ed effettivamente si può constatare con facilità come il periodo tra la fine del Seicento e i primi decenni del Settecento, noto come “epoca d’oro della pirateria”, offra costantemente temi a profusione agli artisti delle sette note, anche limitandosi al solo ambito dell’heavy-metal.
Una dimostrazione di questo fatto tra le tante che si possono citare è offerta dalla band veneta Silverbones, che ha dedicato una canzone del proprio full-length del 2016 “Wild Waves” al capitano Bartholomew “Black Bart” Roberts: un pittoresco manigoldo col piglio del legislatore, che, tra un abbordaggio e l’altro, compilò intorno al 1720 una sorta di regolamento societario della sua ciurma in cui erano previsti anche gli indennizzi per invalidità e i turni di riposo dei musicanti.

Ai “quadri in musica” dedicati ai protagonisti dell’epoca d’oro della pirateria e alle loro imprese possono non corrispondere quadri e immagini veri e propri sulle copertine dei dischi che racchiudono questa musica? Evidentemente no. Dedichiamoci allora ad esaminare un simbolo immediatamente riconoscibile della fase storica in cui la pirateria raggiunse i suoi massimi successi: lo ritroveremo puntualmente sulle copertine degli album e nelle composizioni dei già citati Great Master e Silverbones, nonché di una terza formazione italiana, i milanesi Calico Jack, anch’essa lanciata all’arrembaggio sulle onde (sonore) dell’heavy-metal. Cominciamo senz’altro…

Qual è il simbolo per definizione che richiama subito alla mente l’immaginario legato ai razziatori dei mari? … Molti di noi l’hanno incontrato per la prima volta leggendo queste righe del romanzo “L’isola del tesoro” di Robert Louis Stevenson (18501894): «… L’Hispaniola era sempre ancorata al medesimo posto; ma alla cima dell’albero maestro sventolava il Jolly Roger.». Già, proprio il Jolly Roger: il «vessillo nero dei pirati», come lo definisce lo stesso Stevenson.
Provate infatti a immaginare un’avventura di corsari, bucanieri, filibustieri, e/o altri scampaforca marinari a cavallo tra il XVII e il XVIII Secolo; e ditemi se alla vostra fantasia non sorge spontaneo porre sul pennone più alto della loro nave questa famigerata bandiera. O meglio: una sua versione, perché, quella delle insegne piratesche, è una categoria molto più numerosa e variegata di quanto ci si possa aspettare. In effetti, il Jolly Roger non si identifica solo con la tipica immagine del teschio umano posto sopra due tibie incrociate in campo nero, ma anche con soggetti più elaborati in cui un teschio o uno scheletro umani compaiono insieme ad altri simboli.
Questa multiformità è dovuta in primo luogo al fatto che con ogni probabilità non è mai esistito un “prototipo convenzionale” di Jolly Roger cui riferirsi: al contrario, le caratteristiche del vessillo furono ideate, modificate, (mal-) interpretate, e mescolate di volta in volta, basandosi su dicerie e su “modelli” di bandiere storicamente precedenti. Ad esempio, drappi neri e rossi furono già utilizzati in marina almeno fino al 1680 come annuncio di sfida, o di lotta senza quartiere; e il Jolly Roger è di fatto “erede” di questi segnali. Ne è una prova la rilevazione di un vessillo piratesco avvistato nel 1687 recante già il teschio umano e le ossa incrociate, ma in campo rosso. Fu solo nel secolo successivo che la variante costituita dal cranio umano ghignante sopra le ossa incrociate su fondo nero si diffuse fino a diventare il modello di Jolly Roger per antonomasia, tutt’oggi arcinoto: ne riconosciamo infatti immediatamente una rappresentazione moderna del tutto simile alle originali sulla copertina dell’album “Wild Waves” che abbiamo incontrato qualche paragrafo fa; e in questo caso la sensazione di minaccia spontaneamente ispirata dalla bandiera posta sul cassero di poppa della nave pirata è ovviamente acuita dall’aspetto soprannaturale della nave stessa.
Non c’è invece una vera e propria raffigurazione specifica del Jolly Roger sul cover-artwork di “Skull and Bones – Tales From Over the Seas” dei Great Master, però avrete già intuito che il vessillo pirata più classico “sventola” nel titolo del disco, e, aggiungo, anche nella title-track posta in chiusura all’album (e guardate bene anche tra le onde, che non si sa mai…).
Infine, spostando l’attenzione sui Calico Jack, vediamo che il Jolly Roger torna prepotentemente sulla copertina del disco omonimo pubblicato da questa formazione nel 2019, però con una caratteristica singolare che può di primo acchito stupire: il “canonico” cranio umano su fondo nero è infatti accompagnato da due sciabole incrociate al posto delle “consuete” ossa.
Se si fa però mente locale sul nome d’arte scelto dalla band meneghina e sul testo della sua canzone “Under the flag of Calico Jack”, questa particolarità trova subito una spiegazione convincente: il capitano John “Calico Jack” Rackam fu per l’appunto un noto fuorilegge dei mari attivo tra il 1718 e il 1720, cui è tradizionalmente attribuita proprio la prima adozione della variante del Jolly Roger con le sciabole incrociate sotto il teschio umano.
E a questo “pirata innovatore” si dovrebbe riconoscere anche un altro “primato”: quello di aver ispirato alla fine degli Anni‘80, se non la prima in ordine temporale, certamente una delle più colorite tra le canzoni heavy-metal dedicate specificamente ad un singolo avventuriero dei mari. Infatti, nel 1988 la formazione tedesca Running Wild pubblicò nel proprio album “Port Royal” una canzone basata interamente sulle vicende di “Calico Jack”, inserendovi addirittura una ricostruzione recitata della conclusione del processo con cui nel 1720 questo pirata fu condannato a morte. Ed è proprio l’interpretazione della fase finale del giudizio di Rackam che impressiona in modo particolare per la sua vivacità, perché la pronuncia del verdetto come immaginata dalla band è senz’altro memorabile in termini di solennità e verosimiglianza, però è ancora più memorabile la risposta dell’imputato, per nulla spaventato, che sbraita al giudice di riprendersi le pompose parole che ha appena pronunciato, e di cacciarsele nel… vabbè, avete capito.

Le cose andarono effettivamente così al processo di “Calico Jack”? Non lo si saprà probabilmente mai… Ma, se ci fu anche un Jolly Roger ad assistere a quella scena, è davvero difficile che non abbia ghignato più del solito.
Paolo Crugnola