Anno d’uscita: 1972
Regia: John Boorman

Nel 1972 esce negli USA il film “Deliverance” basato sul romanzo dello scrittore americano James Dickey di cui porta lo stesso titolo, e che in Italia sarà reso come “Un tranquillo weekend di paura”. La storia prende avvio da una motivazione semplice, quasi banale: quattro amici di Atlanta, Ed Gentry (interpretato da Jon Voight), Lewis Medlock (Burt Reynolds), Bobby Trippe (Ned Beatty) e Drew Ballinger (Ronny Cox) organizzano un fine settimana nei boschi dei monti Appalachi per discendere il fiume Cahulawassee in un paio di canoe. La zona presto verrà inondata d’acqua per la costruzione di una diga, e quindi vogliono vederla prima che tutto scompaia nell’allagamento.
La motivazione sottesa, però, è la voglia di vivere un’esperienza diversa dal consueto tran-tran cittadino, soprattutto da parte del muscoloso Lewis Medlock, che intende calarsi appieno nella natura; per farlo si è esercitato a lungo nel tiro con l’arco per cacciare di frodo, e ha irrobustito il suo fisico con palestra e ginnastica. Parrebbe dunque lui il deus ex machina, poiché trascina con sé gli amici in questa avventura, secondo lui imperdibile e pressoché priva di rischi. Ma il contatto con la comunità dei montanari, che considerano gli escursionisti come intrusi, dei veri corpi estranei da attaccare ed espellere dal “loro” territorio, darà luogo a un brutale episodio di aggressione a sfondo sessuale che si conclude con la morte di uno degli assalitori.
Da quel momento in poi la discesa agli inferi dei quattro amici è assicurata: il cadavere va nascosto in una delle tranquille anse del fiume – e l’inondazione ne costituirà la tomba definitiva – l’altro assalitore li segue armato di fucile per fare vendetta, il percorso sul fiume si fa pericolosissimo per via delle violente rapide, dei sassi affioranti e degli agguati dalla sommità delle rocce o dal folto delle foreste.
Il film suscitò scalpore per i temi trattati, tra cui la brutale scena di violenza omosessuale tra i boschi e il linguaggio crudo, cui il pubblico dell’epoca non era per nulla abituato. Una curiosità: lo scrittore e il regista ebbero un litigio sul set, e si presero a pugni. Boorman uscì col naso e quattro denti rotti, mentre Dickey fu cacciato dal set, senza però subire alcuna querela. Boorman fece infatti interpretare a Dickey il ruolo dello sceriffo alla fine del film.

Il vero protagonista del film è il fiume, una sorta di divinità che offre a seconda dei momenti la sua faccia splendida e impassibile. I suoi adepti sono le persone della montagna, e lo diventano anche i quattro amici un tempo “civilizzati”, che ingaggiano una disperata lotta per la sopravvivenza per percorrere l’intero tratto fino a valle e uscire indenni da quel vero e proprio luogo dantesco, irto di foreste e nascondigli propizi agli agguati. La predominanza e la furia del Cahulawassee è stata sapientemente rappresentata nel poster. L’acqua occupa tutta la scena e non lascia scampo all’osservatore per possibili distrazioni. A questo proposito è interessante mettere a confronto le locandine statunitense e italiana per osservare come la storia sia stata resa visivamente nei manifesti.

Nella locandina americana, si è optato per un’immagine simbolica con colori sbiaditi, quasi scolorita dall’acqua del fiume – in pratica un’illustrazione. C’è una mano armata di fucile che emerge dal fiume, in posizione centrale e assolutamente dominante, con le vene tese nello sforzo. Sta puntando verso l’alto, alla linea del fiume e nello specifico sull’uomo seduto in mezzo alla canoa e che, insieme con gli amici e ignaro del pericolo, è serenamente intento a pagaiare. Non si scorgono i loro lineamenti, poiché sono ridotti a bersagli da abbattere, quasi dei moscerini. Ci si chiederà come mai nella locandina vi siano tre uomini e non quattro, e la risposta potrebbe risiedere nel fatto che un gitante sia già stato ucciso da una fucilata, o è comunque precipitato dalla canoa in corsa sulle rapide, in una scena che anche nel romanzo è volutamente ambigua.

Il contrasto tra la proporzione dell’enorme mano armata e i minuscoli uomini è assoluto. La parte razionale dell’osservatore è indotta a chiedersi: «Come fa colui che è nascosto nel fiume a prendere bene la mira?» ma è evidente che questa immagine intende incarnare il totem della violenza di cui è pervasa l’intera vicenda. La cosa interessante è che il fiume sembra avere già allagato anche la locandina: la linea dell’orizzonte è molto alta.
In basso a sinistra ci sono le due foto in bianco nero di Jon Voight e Burt Reynolds accanto al titolo che è diviso nei due colori azzurro e nero; essi erano attori già molto noti al grande pubblico e quindi costituivano senz’altro un motivo di appeal per invitare le persone a recarsi al cinema. In alto c’è una domanda per lo spettatore: «What did happen on the Cahulawassee river?» tutto spostato a destra come se il movimento della canoa lo stesse trascinando con sé. Quest’ultima sicuramente è un’altra trovata pubblicitaria per dare risonanza all’aura di mistero e di suspence che caratterizzano il lungometraggio.
In una versione orizzontale molto simile, la domanda cambia e diventa: «Where does the camping trip end… and the nightmare begin…?», con una prima parte sul cielo e l’altra sul fiume. Le due fotografie degli attori sono le medesime, ma sono state virate sull’arancione. Gli stessi colori della locandina sono stati accentuati, resi più sapidi.
C’è però una terza locandina a disposizione, molto diversa dalle precedenti e su cui vale la pena di soffermarci. La domanda soprastante è la medesima: «What did happen on the Cahulawassee river?» mentre, da un enorme occhio sbarrato, sbuca la canoa su cui pagaiano ancora una volta gli attori John Voight e Burt Reynolds, ben riconoscibili. L’occhio ci fa pensare immediatamente a una simbologia religiosa, come l’occhio divino che tutto vede, ma lo associamo anche al liquido lacrimale da cui è costantemente lubrificato (equivalente all’acqua del fiume). Potrebbe essere l’occhio di chi sta dando loro la caccia, ma anche quello di un uomo colpito a morte.
Cristina M. Cavaliere