Anno d’uscita: 2023
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Obscurum Malum nasce negli Anni 2000, ed è una one man band che inizia la sua carriera con uno stile black metal dalle tonalità fortemente oscure, legandosi a tematiche introspettive e autoctone. Dopo 15 anni riprende la produzione, cercando di inserire nel proprio sound elementi personali e culturali che facessero parte del proprio vissuto. Decide quindi di utilizzare esclusivamente lo shaman drum come sezione ritmica per creare un mix totalmente tribale che fondesse elementi sciamanici uniti a tematiche pagane. Il titolo dell’album riprende il brano “Phantasma”, una figura autoctona della strega, per il nuovo concept basato sulla stregoneria locale attribuita alla popolazione nel paese di Ariano Irpino, forse più comunemente conosciuta come Janara nel Benevento/Sannio. Ma chi era questo personaggio?
Dobbiamo tornare indietro nei tempi passati, quando la donna era vista come un medico, ma solo esclusivamente per determinate operazioni. Il parto, per esempio, era un argomento tabù per gli uomini e quindi non era di certo trattato da loro. Ecco quindi che la donna partoriva in casa (non contiamo ovviamente le complicanze e le morti dovute al parto, senza la tecnologia e gli studi approfonditi che abbiamo ora ai nostri giorni). Le popolazioni più povere non avevano chiaramente modo di accedere alla medicina e il loro medico principale era quello della loro campagna o più spesso la sedicente strega del paese, vista però sempre con sospetto ed emarginata. In realtà non erano megere, ma solo donne che conoscevano l’arte di curarsi con le erbe e custodi di rimedi tradizionali tramandati da mamma a figlia, talvolta in punto di morte. Le cure venivano di tanto in tanto, a seconda del problema, seguite da rituali ed invocazioni delle forze della natura, affinché intercedessero per il processo di guarigione. Purtroppo, a lungo andare, queste figure non furono più tollerate, soprattutto dalla Chiesa che le accusò di legami col demonio; ebbe così ahimè inizio la caccia alle streghe. Ma non fu solo questa la causa scatenante, bensì i Longobardi, che poi avrebbero regnato su Benevento, erano originariamente pagani e solo successivamente si convertirono al cristianesimo. Alcuni di loro tuttavia non rinunciarono all’adorazione dei propri déi e continuarono così a tramandare i loro antichi rituali. Parte della popolazione, timorosa verso questi culti sempre più lontani dalla loro fede, iniziò a collegarli alle malattie e alle carestie e, successivamente, alla stregoneria.
Si diceva inoltre che la strega Janara fosse anche la diretta responsabile della sparizione delle giumente dalle stalle. Sempre secondo i racconti, le rubava per farle correre nella notte, spesso fino allo sfinimento. Come traccia del suo passaggio, ella lasciava intrecciata la criniera della cavalla.
Nella tradizione folkloristica campana, le streghe venivano quindi chiamate Janare; c’erano quelle buone e quelle cattive, mentre nel Benevento la leggenda di queste donne si fuse col culto della dea egiziana Iside. Il nome potrebbe derivare da Dianara, nome con cui si chiamavano le sacerdotesse di Diana, dea della caccia e della Luna.
Altra opzione è che derivi dal latino ianua, (porta): era infatti davanti alla porta che, secondo le credenze, era necessario collocare una scopa, oppure un sacchetto con grani di sale. La fattucchiera, costretta a contare i fili della scopa, o i grani di sale, avrebbe indugiato fino al sorgere del sole, la cui luce pare fosse sua mortale nemica. Da questa storia popolare è nato anche un film di Roberto Bontà Polito, intitolato proprio “Janara”, uscito nel 2014, ambientato a San Lupo, un paesino proprio del Benevento.
L’artwork è stato realizzato da Valeria Campagnale della Heavy Metal webzine Rockers And Other Animals, prendendo spunto sì da un contesto fantasy, ma riportato alla realtà. A tale scopo l’artista ha inserito due mani che sembrano benedire o maledire, amplificando il concetto di solitudine. Oltre alle mani della strega munite di grossi e lunghi artigli c’è evidente la figura di un teschio per collegarsi ad una canzone come “Morte” (cantata dalla bravissima cantante dei Thanit, in puro sardo) e pratiche magiche con unguenti delle streghe; tutto questo evidenziando sempre stati disperati, di solitudine che pongono la magia come un atto antropologico destinato a dare forza in un contesto durissimo e senza sconti. L’effige del cranio umano è da sempre simbolo universale che affonda le radici nella storia di ogni cultura. Per antiche civiltà come Egizi ed Aztechi esso rappresentava il ciclo di morte e rinascita.
Non ci sono colori pieni, bensì solo tratti neri non dettagliati e sfumature blu scuro, in alcuni punti addirittura sembra che il colore fosse stato a contatto con l’acqua e quindi risulti sbavato. Inoltriamoci quindi in un passato alquanto misterioso con musiche destinate ad ascolti ad occhi chiusi ed una mente aperta.
Antonella “Aeglos” Astori