Anno d’uscita: 1993
Sito web: https://www.eugeniofinardi.it/

«Da ragazzino, quando mi recavo al Conservatorio di Milano, passavo sempre per via Gabrio Serbelloni e il mio sguardo si soffermava sul citofono del palazzo situato al n. 10, a forma di orecchio». Interpellato durante un firmacopie a seguito della presentazione del suo ultimo album “Euphonia Suite”, Eugenio Finardi così ha raccontato alla sottoscritta la genesi della copertina di “Acustica”, una raccolta di successi in versione “unplugged” uscita nel 1993. L’insolita scultura bronzea, che tutti i milanesi conoscono e che ha dato all’edificio ove si trova, Casa Sola-Busca, il soprannome di “Ca’ dell’Oreggia” (“casa dell’orecchio” in dialetto meneghino) è stata immortalata in uno scatto di Guido Harari ed è così diventata protagonista del memorabile artwork dell’album del cantautore.L’idea di raffigurare quel particolare fu, dunque, dello stesso Finardi, che conosceva il fotografo fin dai suoi primi dischi incisi per l’etichetta Cramps. Così ha commentato Harari al riguardo: «Eugenio è per me, un amico, un fratello, un membro della mia stessa tribù. A cavallo tra gli Anni Novanta e Duemila ho collaborato con lui realizzando alcune copertine, tra cui “La forza dell’amore”, “Millennio”, “Occhi” e, appunto, “Acustica”. Un disco che ho amato e amo tuttora moltissimo, forse una delle prime occasioni in cui Eugenio ha inteso rileggere in chiave intimista i gioielli del suo canzoniere insieme ad alcuni brani di altri. L'”orecchio-citofono” si trovava a pochi metri da quella che era la casa di Milva. Credo che ancora nessuno avesse degnato quella magnifica scultura di grande attenzione. L’album a cui lo scatto era destinato non poteva dirsi propriamente un concept, ma di sicuro quell’opera aveva la forza di un logo potente e inconsueto.»
Ci sono discordanze di attribuzione circa la paternità della scultura: essa è tradizionalmente ritenuta appartenere al genio dello scultore Adolfo Wildt ma, secondo alcune recenti acquisizioni della critica, l’orecchio di bronzo venne in realtà realizzato da Aldo Andreani, progettista della casa milanese e allievo di Wildt a Brera oltre che architetto: egli, pertanto, volle rendere omaggio al proprio maestro “copiando” una delle sue produzioni. Due anni dopo, poi, Andreani realizzò Palazzo Fidia, in via Melegari 2, con l’intento di coniugare art déco ed eclettismo, ma il progetto scandalizzò molti tradizionalisti, che si rifiutarono di andarci ad abitare per il suo aspetto che all’epoca venne ritenuto irregolare e squilibrato; oggi invece, a distanza di quasi un secolo, esso appare sicuramente uno degli edifici più originali e visionari del capoluogo lombardo.Molto attivo nei primi decenni del Novecento, Adolfo Wildt ebbe sempre grande interesse verso i padiglioni auricolari, che raffigurava molto accuratamente, il che gli valse il soprannome di “uregiatt” (“orecchiaio”): ne produsse, probabilmente, più di mille. È del 1918-19 l’“Orecchio “di marmo bianco che costituì in seguito il modello per quello bronzeo di via Serbelloni. L’artista fondò a Milano una “Scuola del marmo”, serale e gratuita, e fu docente di plastica della figura a Brera: tra i suoi allievi più famosi ci furono Lucio Fontana e Fausto Melotti. Il suo stile fu influenzato da quello dalla Secessione e dall’Art Nouveau. Nelle sue opere egli esaltava spesso il senso del silenzio, della malinconia, della sofferenza, talvolta deformando i suoi personaggi in modo simile ai pittori espressionisti. Fu nominato Accademico d’Italia da Mussolini e realizzò una serie di busti di quest’ultimo; la distruzione di quello situato alla Casa del Fascio di Milano a colpi di piccone nell’aprile del 1945 è una delle immagini più significative, ripresa in molti documentari, della caduta del fascismo. Wildt morì nel 1931 ed è sepolto al cimitero Monumentale di Milano: sulla sua tomba si trova un suo autoritratto, copia della sua “Maschera del dolore” del 1909.
Il fatto che l’orecchio di Casa Sola-Busca sia stato ritenuto per molto tempo opera sua non stupisce, poiché a poca distanza dal palazzo ci sono altre due sculture sicuramente da lui realizzate: la “Vittoria Alata” di Palazzo Barri-Meregalli e il “Puro Folle” di Via Necchi Campiglio.
Che sia stata creata dall’artista o dal suo allievo architetto, resta il fatto che l’opera, installata sulla facciata di via Serbelloni nel 1927, fu uno dei primi citofoni della città, tramite il quale i visitatori potevano comunicare a voce con il custode che si trovava in portineria, allo scopo di annunciare la loro visita alle famiglie residenti. Rispetto all’antecedente marmoreo, quello di Casa Baslini (altro nome con cui è conosciuto l’edificio) è incorniciato da riccioli di capelli. Il suo aspetto è voluminoso, carnoso, la conca del padiglione è profonda, le pieghe sono morbide e sinuose.Quanto al contenuto musicale dell’album di Finardi, si tratta come si è detto di una raccolta di pezzi appartenenti al repertorio del songwriter o firmati da altri musicisti, registrati in presa diretta, quasi si trattasse di un live, e proposti in versioni riarrangiate. «Abbiamo ‘sezionato’ le canzoni, le abbiamo ridotte all’ essenziale per arrivare alla radice di ogni brano, per scoprirne la vera natura» affermò il cantautore all’epoca. Guido Harari conserva ricordi indelebili della realizzazione del full-length: «La particolarità di “Acustica” fu innanzitutto la scelta di una formazione a tre insieme a Vittorio Cosma (tastiere) e Francesco Saverio Porcellu (chitarre). E poi il gioco di specchi tra “The Wind Cries Mary” di Hendrix e “Mio cucciolo d’uomo”, “4+20” di Stephen Stills e “Le donne di Atene”, “Machine Gun Kelly” di James Taylor e “Vil Coyote”, “Jamaica Farewell” di Harry Belafonte e “Il treno”, tra l’altro il mio brano preferito dell’album.» Il fotografo realizzò anche altri scatti che riflettevano il mood del disco stesso: «Ci ritrovammo in sala d’incisione a realizzare in mezzo agli strumenti dei ritratti in B/N molto contrastati, forse con un vago sapore di copertine stile Blue Note: Eugenio appoggiato al pianoforte, e gli altri col proprio strumento. Era da un lato la “nigrizia” dell’anima di Finardi che premeva anche sull’aspetto visivo della copertina, e poi c’era già nell’aria quel desiderio di sottrarre, più che di aggiungere, come il suo percorso successivo di ha confermato. Anche l’ultimo suo progetto, “Euphonia”, marcia nella stessa direzione: sintesi e maturità, fuori dagli schemi, sempre.» In effetti “Acustica” fu un’operazione discografica, per quanto differente, accostabile all’ultimo lavoro del songwriter milanese, “Euphonia Suite”, una vera e propria suite di un’oltre un’ora in cui le tracce sono state rivisitate in chiave jazz per condurre l’ascoltatore in un ideale viaggio verso l’assoluto (link all’articolo: https://marynowhere.com/2022/10/29/la-musica-che-conduce-allassoluto/)

Che la scultura raffigurante l’orecchio sia opera di Wildt o di Andreani, indubbiamente lo scatto di Harari l’ha resa protagonista di un artwork iconico, uno dei più interessanti tra quelli degli album del cantautore milanese.
Maria Macchia

Ringraziamo Eugenio Finardi per la disponibilità e Guido Harari per la preziosa collaborazione.