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Devo dire “Grazie” a due persone, e una è proprio Gianni Drudi: il musicista ritratto nell’immagine qui sopra. Però, per rispettare l’ordine dei fatti, devo cominciare dall’altra. Vi chiedo solo un minuto di pazienza…

Era più o meno mezzogiorno del 29 luglio di qualche anno fa nella Riviera di Levante, durante uno di quei “week-end lunghi” un po’ improvvisati che aiutano a rilassarsi. Oltre la finestra del salone dell’albergo si profilavano tutt’intorno le ringhiere dei balconi grattugiate qua e là dalla salsedine; e la brezza agitava le foglie spinose delle agavi come se fossero le ali di qualche drago in miniatura. E intanto io mi ripromettevo di non tenere più accesa l’aria condizionata di notte neppure se fosse diventato obbligatorio per legge, anche se sentivo la spalla destra molto meno indolenzita rispetto al risveglio di quella mattina. I primi due giorni di vacanza, per quanto solitari, erano stati piacevoli. Il mare, da lì a Sestri Levante in lontananza, mi dava una sensazione spensierata. Compagnia femminile “coetanea intono ai trenta”: nisba… però il mare e la spiaggia erano tranquilli e allegri: Salgari non ci avrebbe mai domiciliato i suoi indiavolati corsari.
Inoltre, nella sala da pranzo dell’albergo, siccome i “tavoli singoli” erano stati disposti vicini, avevo fatto conoscenza con una signora torinese in pensione – da qui in avanti “Madama Rita” – molto cordiale e spiritosa, che sedeva al tavolo alla mia destra, e con cui imbastivo conversazioni in una mescolanza di dialetto varesotto e piemontese che attirava la curiosità degli altri ospiti.

Insomma, tutto sommato, non c’era da lamentarsi. Fatto sta però che, appunto intorno al mezzodì del 29 luglio, mentre aspettavo che fosse aperto l’ingresso alla sala da pranzo, vidi una ragazza attraversare lo spazio della reception e accomodarsi a sua volta su una poltrona del salone. Mi colpì subito per la sua figura alta e slanciata, e per i suoi lunghi capelli che dondolavano sull’abito estivo a motivi floreali. Così a spanne indovinai che avesse una trentina d’anni, e da poche parole che aveva pronunciato al cellulare intuii che fosse straniera.

Dieci minuti dopo o poco più, Madama Rita arrivava nella sala da pranzo e mi sussurrava (mettete voi gli accenti piemontesi, che non sono ancora pratico): «Signor Paolo, ma cosa fa qui?»
Il pesto scivolava giù dalla forchetta che impugnavo, mentre rispondevo incuriosito: «Eh, Rita… Cosa devo fare?!… Mangio prima che si freddino le trofie.»
«Ma non ha visto che bella ragazza è seduta al tavolo singolo a destra del mio?»

Lanciai un rapido sguardo con discrezione… Esatto: era precisamente lei.
«Eh, sì, Rita…» replicai allora. «L’ho vista anche prima nel salone. Mi sa che è straniera… Ho provato anche a dirle qualcosa, ma… prima “Good morning”…» e intanto facevo ondeggiare emblematicamente e tristemente la forchetta da sinistra a destra e viceversa… «Ho capito che capiva, ma… “nothing”.»
«Poi “Guten Tag”…» aggiunsi con una smorfia «… e peggio che andar di notte.»
Da ultimo, con un mezzo mugugno, borbottai: «Mi manca solo di provare col linguaggio dei Puffi…»
«Ma lasci fare a me!» ribatté Madama Rita alzandosi dal suo tavolo con una punta di compassione, come lo stregone di Dukas quando constatava lo sfacelo causato dall’apprendista casinista: «Vuol mica stare lì come un gundu (trad.: imbranato)?!…»

E in tre minuti netti Madama Rita mi fece fare la conoscenza di Svitlana, che, per la cronaca, seppure di origine straniera, parla italiano benissimo… solo che a me non era venuto in mente di chiederglielo. Il resto della vacanza sta nei miei ricordi più cari; e per me l’estate di quell’anno si riassume nel profilo di lei sulla spiaggia, tra il mare e le prime ombre violette del tramonto che si mescolavano con i fiori di buganvillea. E quindi ora avete capito perché devo ringraziare Madama Rita.

Passiamo al secondo ringraziamento…
Gianni Drudi. Un musicista romagnolo che trent’anni fa ci cantava la sua mitica canzone “Fiky fiky” sotto il sole che abbronza, e che ancora oggi ci porta in spiaggia a divertirci, spesso insieme ad altri mattatori come Omar Lambertini, i Gem Boy, o Alberto Lagomarsini. L’aggettivo “goliardico” che si trova sulla copertina di uno dei suoi numerosi album calza alla perfezione per descrivere questo artista: una chitarra in spalla, e via alla festa con ironia e autoironia, senza perifrasi.
Infatti, se il suo “collega” medievale Cecco Angiolieri dichiarava in un sonetto che «la donna, la taverna e ’l dado; queste mi fanno ’l cuor lieto sentire», Drudi a sua volta ci ricorda nei testi delle sue canzoni che, ad offrirgli la fonte d’ispirazione, è l’attrazione per la donna in tutte le sue sfaccettature, comprese quelle umoristiche.

E allora… Gianni Drudi “bardo dell’eros litoraneo”? “Celebratore dei bikini incendiari”?…  Sì, e anche oggettivo e attento osservatore dell’invisibile “alchimia” che si instaura nell’attrazione reciproca tra i sessi, descritta con briosa e delicata cura nella canzone “Chimica”. E accanto a questo inedito carattere di – passatemi l’espressione – “poeta ricercatore”, c’è anche un autoritratto spirituale del cantante nella composizione “Peccati non ne ho”, emozionante nella sua schiettezza. Perché è esattamente questo il tratto forse più distintivo di Gianni Drudi: la coerente, cristallina naturalezza.
In tutte le sue canzoni, infatti, il musicista romagnolo “c’è”: quelle più riflessive non “stridono” accanto a  quelle più “terrene” e comiche, perché il denominatore comune è la personalità dell’artista, che si lascia cogliere senza convenevoli. Predomina la componente festaiola, certo; e non si può che essere grati a Drudi del divertimento che ci dà: i colori del cantante sono spontaneamente quelli dell’estate, e vedete subito che sulle copertine dei suoi dischi li potete trovare tutti.
La spontaneità, si sa, è un ingrediente importante del dialogo e dell’immedesimazione. E proprio la rapidità con cui ci si può immedesimare nelle canzoni di Drudi è un’altra caratteristica essenziale di questo artista. Perché, chi non ha mai pensato almeno una volta «Tanta roba!» vedendo una ragazza da sogno uscire dall’acqua marina, proprio come esclama lui in una sua hit?… Diciamolo: quella frase è un coro universale che risuona ad ogni estate su tutte le spiagge patrie. Io per primo l’ho pensata in quella vacanza in Liguria (dopo il “gundu-lunch”), e devo appunto ringraziare Gianni Drudi perché, ogni volta che riascolto i suoi dischi, mi rinfresca i ricordi di quel 29 luglio: grazie di cuore, Gianni! Non hai peccati; e sarebbe davvero un peccato, se non ci fossero le tue canzoni.
Paolo Crugnola