La storia dell’automobilismo è costellata di tanti protagonisti, tanti costruttori che, in un modo o nell’altro, hanno lasciato e tutt’ora continuano a lasciare delle ingombranti e iconiche testimonianze ai posteri, per tecnica, design, risultati sportivi o più semplicemente per essere stati protagonisti nel cinema. Eppure nessun marchio automobilistico sa far innamorare, discutere, arrabbiare, esasperare, entusiasmare ed animare il dibattito come Alfa Romeo, anche da parte di chi ha sempre comprato e preferito modelli di altre case. Un brand che, con auto e imprese straordinarie, ha saputo costruirsi una storia unica, fatta di immensa gloria, che nonostante le infinite difficoltà è riuscita ad arrivare fino ad oggi, forte di una calorosa fanbase che probabilmente neanche certe sue concorrenti più fortunate possono vantare.

Un seguito molto grande, diviso sull’opinione riguardante quale sarebbe “l’ultima vera Alfa”, eppure molto unito, espanso ai quattro angoli del pianeta e tenuto in piedi da una galassia di club di cosiddetti Alfisti. Negli anni sono stati usati i termini e paragoni più disparati per descrivere al meglio questo fenomeno, più unico che raro, che ha colpito anche fuori dai confini del mondo dei motori. Diversi sono gli specialisti della pubblicità, dalla carta stampata alla TV, che hanno cercato di riassumere al meglio tutto questo.

Quella che vi proponiamo in questo articolo è, a mio parere, la reclame più azzeccata che potesse mai essere fatta per Alfa Romeo. Una boccetta di vetro, tipo quelle usate nei laboratori di chimica vecchio stampo, contenente un campione vegetale, con un avviso che sa di pericoloso. Forse mica tanto pericoloso considerato il target di paziente che tale virus, dagli effetti tutt’altro che malefici, andrà a beccare.
Trattasi di una campagna promozionale diffusa su carta stampata in Francia, a fine Anni’60, un periodo d’oro per la casa del Biscione in cui, sotto la direzione del manager Giuseppe Luraghi, l’Alfa Romeo miete ripetuti successi sul mercato, con modelli come Giulia e Duetto, e in pista, con le indimenticabili vittorie della Giulia GT e della 33 preparate dall’Autodelta.
Intrappolate dentro la boccetta si possono trovare delle foglie, di una pianta non ben specificata, ma è facile intuire di quale si tratti: già nel 1923 il Quadrifoglio è stato scelto come segno di buon auspicio e messo sulla rossa carrozzeria della RL, pilotata da Ugo Sivocci e portata trionfalmente al primo posto alla Targa Florio di quello stesso anno. Siccome quel simbolo ha portato bene si è deciso si applicarlo a tutte le Alfa Romeo da corsa, così pure sulle versioni più sportive dei modelli stradali. Una tradizione portata orgogliosamente ancora oggi dalle moderne Giulia e Stelvio del terzo millennio, senza contare i tanti privati che, per puro vezzo personale, lo appiccicano pure su appassite vetture usate per il tragitto casa-lavoro-scuola.Quello che probabilmente questo manifesto vuole fare non è solo quello di spingere banalmente il pubblico a comprare automobili di un marchio piuttosto di un altro, ma esprimere un concetto, una filosofia, un vero stile di vita: quel legame forte e indistruttibile che, resistendo a mille intemperie, continua a tenere insieme l’Alfa Romeo e gli Alfisti, una cosa sola che rimarrà per sempre, e che nonostante tutto anche gli altri costruttori e le relative frange di affezionati possono solo onorevolmente riconoscere.
Augusto Pellucchi