Anno d’uscita: 2022
Sito web: https://socprofile.com/abisso.sonofabyss

“In alto, in basso, ovunque, profondità,
silenzio, spazio che spaventa e attira…
da ogni finestra non vedo altro che infinito,
e il mio spirito, sempre ossessionato di vertigine,
invidia l’insensibilità di questo nulla”.

Questi versi di Charles Baudelaire, tratti dalla poesia “L’Abisso” inclusa nella raccolta “I fiori del male”, costituiscono una delle rappresentazioni liriche più efficaci di questo concetto. Baratro incommensurabile, silenzio assordante, cavità oscura che sembra inghiottire, che affascina e che ispira repulsione al tempo stesso: questo è l’abisso. Nei versi rimanenti, che non abbiamo riportato, il poeta accosta la voragine alla notte, ad un sonno pieno di incubi, e l’atto stesso del dormire incute paura, gli riempie l’animo di orrore. Eppure, come si afferma all’inizio del componimento, “tutto è abisso! Azioni, desideri, sogni, parole”. Questo perché l’essere umano, e a maggior ragione l’artista, ha la facoltà, o quantomeno l’aspirazione, di scendere fino a profondità insondabili.

Quella dell’abisso è un’idea che, in linea con la cosiddetta “estetica del sublime” di cui Edmund Burke fu uno dei maggior teorici (il suo trattato “A Philosophical Enquiry into the Origin of Our Ideas of the Sublime and Beautiful” è del 1757), esercita sull’individuo attrazione, ma anche terrore. Per il saggista inglese, “sublime” è “tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo”; è “l’orrendo che affascina” (“delightful horror”). La natura, nei suoi aspetti più spaventosi, è fonte del sentimento del sublime perché “produce la più forte emozione che l’animo sia capace di sentire”, un’emozione negativa, non prodotta dalla contemplazione del fatto in sé, ma dalla consapevolezza della distanza incolmabile che separa il soggetto dall’oggetto. Il concetto di abisso rispecchia pienamente queste caratteristiche. Esso è il luogo dell’inconoscibile, inteso come spazio fisico irraggiungibile ma anche – metaforicamente – come discesa negli anfratti più profondi e nascosti dell’anima.
•Abisso• è anche il moniker dietro il quale si cela il duo italiano, originario della Sardegna, composto da EryaV & D’avy (pseudonimi di Valeria Ghisu e Debora Caputo). Si tratta di un articolato progetto multimediale che ha dato alla luce, nello scorso mese di maggio, l’album di esordio “Son of Abyss”. Un alone di mistero circonda le componenti. Nulla ci è dato di sapere su ciò che precede la nascita del loro sodalizio artistico, che a detta di loro stesse si qualifica come una vera e propria simbiosi: il duo esiste “da sempre” in quanto frutto di un’unione viscerale e personale.

Le dieci tracce che compongono il disco si basano su sonorità di stampo dark ambient, con atmosfere a tratti inquietanti, a volte aliene, spesso cinematografiche. Suoni distorti e lunghe pause coinvolgono l’ascoltatore, attingendo al bagaglio di emozioni che ciascuno porta con sé e scavando nelle sue inquietudini e paure più ataviche. I timbri utilizzati sono quello del pianoforte, degli archi, della batteria, della voce metafonica ma anche suoni naturali come quelli del respiro, del vento, del mare. La componente musicale si accompagna ad elementi testuali e visuali dalla forte vocazione poetica e mistica. Tutto il materiale (tracce audio, poesie, video e foto) è autoprodotto dal duo, che nel tempo intende realizzare, per ciascuno dei brani di cui l’album si compone, un videoclip, un photoshoot e un corrispettivo letterario. EryaV, inoltre, presta la sua immagine per la parte fotografica del progetto. Per il prossimo inverno, inoltre, è prevista l’uscita di un secondo disco.Di grande fascino è la copertina dell’album, una foto in b/n che rappresenta una figura femminile dai lunghi capelli scuri adagiata sul fianco sinistro. Il suo corpo è circondato dal colore nero. Sul fianco destro della donna sono tatuati (o meglio disegnati) numerosi simboli in fila, tra i quali è riconoscibile quello dell’infinito, mentre gli altri sono ideogrammi che appartengono al personale linguaggio delle artiste, autrici dell’artwork e curatrici di ogni aspetto visuale e comunicativo. Così EryaV & D’avy raccontano la cover e il significato dell’intero lavoro:

“Tra le caverne dell’eternità
il vuoto attende
inseminando nuclei attivi
in cui discende.
Culla un feto
dalle stelle escisso.
Con il gelo
nutre il figlio dell’abisso.”

La persona è leggermente rannicchiata, quasi in posizione fetale, il che può rimandare al fatto che il duo considera il concetto di “abisso” come una sorta di “nido” (“Nizdos” in lingua sarda) e pertanto un tentativo di ritorno alle origini, un grembo in cui rifugiarsi. Ella potrebbe essere semplicemente sdraiata, oppure addormentata. Ma poiché nella parte verbale sono presenti termini legati alla vita e al concepimento (“inseminando”, “feto”, “nutre”, “figlio”), la figura potrebbe essere una creatura appena venuta alla luce, generata dall’abisso stesso. L’immagine evoca inoltre il silenzio del sonno e della notte, alla quale rimanda la tonalità cupa predominante; il corpo, tuttavia, trasmette – con la postura curva, la tensione della pelle, delle ossa, dei muscoli – un’idea di vitalità. L’atto del dormire, dunque, sarà momentaneo; non ci è dato però sapere quali sogni abitino l’inconscio della ragazza, se si tratti di incubi, di immagini rasserenanti, o se il sonno sia talmente profondo da non consentire, al risveglio, di ricordare l’attività onirica. Forse la risposta dimora nelle tracce dell’album, alle quali rimandiamo per chi volesse addentrarsi nei meandri immaginari delle irrazionali avventure della dormiente. Tornando ai simboli sulla schiena della ragazza, che idealmente costituiscono una frase, il loro significato è legato alle radici, idealmente rappresentate dal “Kolovru”, il serpente; il susseguirsi degli elementi dipinti potrebbe ricordare, appunto, una serpe. Le radici stesse sostengono memorie ataviche che prendono forma nel concetto di “Zistherru” = abisso/voragine, coerentemente con il concept.

Di grande impatto è il lettering dell’artwork, che nel titolo dell’album si presenta come speculare. Secondo il grafologo svizzero Max Pulver (1889-1959), la scrittura destrorsa, che va da sinistra verso destra, rappresenta “il movimento verso il Tu, verso l’esterno, l’espandersi, l’irradiare amore o potere” mentre la grafia con direzione sinistrorsa (quella araba, ad esempio) sottolinea la tendenza a ricongiungersi alle proprie origini, a valori passati, ad aspetti meditativi. E questa scelta da parte del duo, consapevole o inconscia che sia, è in linea con i suoi intenti: se l’abisso “è culla, è casa” (come più volte EryaV & D’avy hanno dichiarato nelle loro interviste), se l’io lirico è “figlio dell’abisso” – e non “figlia”, poiché l’androginia è volutamente una connotazione del progetto – anche la denominazione del full-length rimanda al desiderio di rifugiarsi in uno spazio protettivo e nel contempo di annullarsi, di fondersi con l’infinito, sprofondando nell’oscurità.

La ricerca grafica del duo prende forma anche in una serie di immagini, visibili al link https://www.facebook.com/abisso.art/photos/a.135008119178692/135004652512372, raffiguranti parole chiave nella scrittura delle quali è utilizzato lo stesso font dell’artwork del disco, abbinate a liriche sulle medesime tematiche. Ecco un esempio:

“La fonte di vita era l’abisso
quella di oggi non la capisco
Ferita da chi Lei ritenne guardiano
oggi assassino tra sacro e profano
Antichi saperi, nettare cosmico sepolto
Nuove menzogne, il miele tossico accolto”
(da •Tu Sarai i Miei Occhi•)

Il progetto artistico di •Abisso• pone indubbiamente molta attenzione alla componente visiva. Se però le fotografie divulgate in rete e sui social sono assimilabili ad un’estetica di matrice dark/gothic, lo scatto scelto per la cover dell’album potrebbe rimandare a raffigurazioni che, per quanto lontane nel tempo e nei riferimenti visuali e concettuali, presentano affinità con esso. L’immagine della modella vista di schiena, anche se seduta e non sdraiata su di un fianco, ha ad esempio un illustre precedente nella celeberrima foto “Le Violon d’Ingres” realizzata da Man Ray nel 1924. Si tratta di uno degli scatti più noti dell’artista americano, oltre che una delle immagini più iconiche della fotografia surrealista.Essa fu pubblicata per la prima volta sulla rivista Litérature nel giugno 1924 e raffigura Kiki de Montparnasse, amante del fotografo, nuda fino alla vita, con due fori a “effe” sulla schiena per rendere il suo corpo simile ad un violino. Le due “effe” non erano dipinte direttamente sulla pelle, ma vennero aggiunte sull’immagine. La modella indossa un turbante di ispirazione orientale, da odalisca. La forma simile a quella dello strumento musicale è disegnata dalla curvatura delle spalle, dal profilo dei fianchi e da quello dei glutei, sottolineati da un tessuto drappeggiato che richiama quello del turbante. Il viso è girato di tre quarti verso sinistra, lasciando solo intravedere il profilo, una lunga collana e un orecchino pendente. La luce proveniente da destra illumina la schiena della donna in modo quasi uniforme, mettendo in risalto il candore del suo incarnato che si distingue dallo sfondo molto buio. Questo contrasto tra oscurità e chiarore, oltre alla presenza dei simboli sulla schiena, accomuna questo scatto alla cover di •Abisso•. La rappresentazione, come è tipico dell’estetica surrealista e dadaista, vuole essere ironica nei confronti della tradizione: la “deformazione” del corpo femminile coinvolge il concetto di metamorfosi, poiché le fessure aggiunte sull’immagine trasformano Alice Prin (questo il vero nome della donna) in uno strumento musicale. Al tempo stesso, l’immagine trasmette grande femminilità e sensualità: del resto Alice, cabarettista e cantante, era dotata di un carattere impetuoso e passionale. La fotografia, infine, costituisce un omaggio al pittore neoclassico Jean-Auguste-Dominique Ingres, che amava suonare il violino come passatempo (da qui il titolo dell’opera). Man Ray ammirava molto il lavoro di Ingres e per il proprio scatto trasse ispirazione da un dipinto di quest’ultimo, La bagnante di Valpinçon (1808).Quello che il surrealismo ed il concept di • Abisso•  hanno in comune è il valore attribuito all’inconscio. L’arte surrealista, nelle sue varie correnti e manifestazioni, intende liberare le potenzialità immaginative che vanno al di là della razionalità; la musica dark ambient, a sua volta, evoca il mistero, l’oscurità, ha connotazioni malinconiche ed esoteriche e diviene voce del fondo oscuro e caotico dell’esistenza.  E il nudo femminile di schiena, rispetto ad un “classico” ritratto (ed anche rispetto ad altre immagini fotografiche di EryaV) è, probabilmente, più allusivo ed evocativo. Concede all’osservatore solo una visione parziale della figura umana, cela lo sguardo, suscita fantasie ed interrogativi.

“Proveniamo da un tempo
invero assai lontano
certo è che lo ricordo
il mio cuore non è ignaro
È una lacrima di sale
generata in fondo al mare
nell’oblio di quell’abisso
che è l’inconscio universale”.

Questi versi, tratti dalla lirica •Tsuioku• , riassumono e concludono gli intenti del concept del duo sardo. L’abisso è ritorno alle proprie origini, alle fonti dell’esistenza, all’inconscio collettivo, dunque tutti gli aspetti del lavoro illustrano efficacemente questo messaggio. Restiamo in attesa, ora, delle future evoluzioni di questo affascinante progetto.

Maria Macchia