Anno d’uscita: 1932
Regia: Howard Hawks

Nel 1932 si chiude la grande trilogia del cinema gangster con “Scarface”. Grazie alle precedenti opere “Piccolo Cesare” e “Nemico Pubblico”, Hollywood ha sdoganato un nuovo genere che per tutti gli Anni Trenta e Quaranta darà vita a decine di pellicole sul tema, il più delle volte non all’altezza dei tre capolavori che hanno fatto da apripista.

Spesso il terzo capitolo delle trilogie è il più debole. Quella del cinema gangsterismo però non è una trilogia voluta, ma tre opere distinte poi accomunate dagli storici della settima arte, per evidenziare i capisaldi che hanno dato vita al genere. Il terzo episodio vede all’arrivo di mostri sacri del settore.

Uno dei più grandi produttori della storia del cinema e uno dei più completi registi capiscono subito che il pubblico subisce un fascino perverso nei confronti dei gangster.
Parliamo del produttore Howard Hughes, aviatore spericolato e uomo di cinema, un personaggio a cui Hollywood deve molto, tanto da essere celebrato nel 2004 dal film “The Aviator”, diretto da Martin Scorsese e interpretato da Leonardo Di Caprio; e parliamo del regista Howard Hawks, uno dei più eclettici talenti dietro la macchina da presa, capace di realizzare opere eccezionali dei generi più disparati (thriller, commedia, western, bellico e ovviamente gangsterismo).
Hughes finanzia il film e contribuisce alla sceneggiatura, Hawks dà in pasto al pubblico un numero di stragi e un eccesso di violenza su cui si abbatterà la censura dell’epoca. “Scarface” significa “sfregiato”. Il protagonista della pellicola è difatti un uomo con una vistosa cicatrice sul volto. La cicatrice sulla guancia è un tratto che da “Scarface” in poi verrà associato a uomini dalla vita violenta.
L’uomo di violenza è ritratto in affiche proprio mentre mette in atto la sua specialità: picchiare un malcapitato. Lo “Scarface” ritratto con il braccio sinistro tiene ferma la nuca del suo avversario, per sferrargli in faccia un cazzotto ben assestato con il destro. L’avversario guarda impaurito lo sfregiato, consapevole che verrà messo al tappeto. Il protagonista del film, con i capelli scomposti, la cicatrice appena accennata e uno sguardo aggressivo, è deciso a sferrare il suo pugno in faccia. Non sarà certo la sua donna, che con il braccio destro cerca timidamente di placarne la furia, a fermarlo.

La donna nel disegno sembra avversare lo spirito violento del suo partner. Non ne condivide i metodi, ma, come è immaginabile, ne condivide i sentimenti. Hughes e Hawks con “Scarface” creano un modello di cinema che farà proseliti, spesso con lavori mediocri, ma in alcuni casi degni eredi di questo capostipite. È il caso del remake dell’opera, “Scarface” del 1983, diretto da Brian De Palma e magistralmente interpretato da Al Pacino.

 

Anche nell’originale “Scarface” l’attore protagonista non ha nulla da invidiare alla star italoamericana. Si tratta di Paul Muni, scommessa vinta da produttore e regista. Muni, al secolo Frederich Meshilem Meier Weisenfreund, è un attore ebreo ucraino emigrato negli Stati Uniti, dove porta in scena opere teatrali yiddish. Quanto di più distante dai gangster italoamericani. Eppure questo attore yiddish riesce a calarsi perfettamente nella parte del boss della malavita Tony Camonte (ispirato al vero Al Capone).
Il poster promozionale del film è violento ma allo stesso tempo fedele ai canoni degli anni trenta. Sfondo giallo, titolo curvato in rosso e una scena del film in primo piano. L’immagine ritratta rende bene l’idea di ciò che vedremo in sala. Un uomo violento che non si preoccupa di malmenare qualcuno in presenza della sua fidanzata.

Sopra il titolo del film troviamo il nome del produttore. Nel 1932 Hughes è sinonimo di spettacolo e qualità, oltre che di incassi sicuri. Lo stesso di potrà dire qualche anno più tardi di Hawks, regista che proprio grazie a “Scarface” si impone a Hollywood, dove realizzerà negli anni successivi capolavori dei generi più disparati, come “Susanna”, “Il mio corpo ti scalderà”, “Il grande sonno”, “Gli uomini preferiscono le bionde”, “Un dollaro d’onore”. Il nome di Hawks compare sulla camicia bianca di Muni.

Sotto la scritta “Scarface” compaiono i nomi dei principali attori. Il primo nome della lista è Muni, la cui carriera sarà destinata a cambiare; l’ultimo è Boris Karloff, che nella pellicola ha una piccola parte.
L’inquietante attore un anno prima, nel 1931, ha spaventato milioni di spettatori interpretando il mostro di Frankenstein. Sull’onda del successo di quel film horror, l’attore viene ribattezzato “Frankenstein” persino in locandina, anche se in “Scarface” interpreta un malavitoso che non ha nulla a che vedere con il mostro di Mary Shelley. Nel 1932 e oggi ancora, Karloff è per tutti il mostro di Frankenstein.
Nel manifesto viene anche ricordato che il film è tratto da un romanzo dello scrittore Armitage Trail, rivisitato dallo sceneggiatore Ben Hecht, con la partecipazione non accredita dello stesso Hughes. Un capolavoro cinematografico è spesso il risultato di un lavoro corale. Hughes, Hawks, Muni, Hecht lavorano in simbiosi, regalando così ai posteri un film violento, dai toni cupi e pessimisti. Un lungometraggio che a distanza di novant’anni fa ancora male. Come il cazzotto che sta sferrando Muni in locandina.
Leonardo Marzorati

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