Anni d’uscita: 1976 – 1978
Sito web: https://www.blacksabbath.com/
Le copertine dei Black Sabbath si sono sempre contraddistinte per originalità e provocazione. Abbiamo già parlato di questa dimostrazione estetica con gli artwork di “Mob Rules”, “Black Sabbath” e “Heaven and Hell” ma dei prossimi due che tratteremo in questo articolo lasceremo perdere riferimenti dannati… sì perché nel corso della loro carriera hanno saputo stupirci con due immagini totalmente nuove e lontane da simboli divini o demoniaci. La Hipgnosis, il celeberrimo studio grafico di Storm Thorgerson specializzato nella realizzazione di copertine, ha saputo dare un grande tocco di creatività alla band di Ozzy Osbourne, realizzando le cover di “Technical Ecstasy” del 1976 e di “Never Say Die!” del 1978. Come impatto visivo sono due soggetti completamente opposti, gli interrogativi di fronte a queste due immagini non tardano ad arrivare perché insomma… ce li siamo posti anche noi!
Agli artisti veri (ricordiamo che parliamo del grandissimo Thorgerson) bisogna lasciar fare il proprio lavoro senza farsi troppe domande, l’arte figurativa ha un linguaggio unico, spesso incomprensibile ma che tuttavia induce emozioni all’osservatore e, qualunque esse siano, se si percepiscono fortemente, significa che lo scopo di lasciare un segno è stato perfettamente raggiunto.
La Hipgnosis, è giusto ricordarlo, dopo aver iniziato con le copertine dei Pink Floyd ha firmato molti altri veri e propri capolavori per Muse, Dream Theater, Cranberries, Helloween e Anthrax, per citarne alcuni. Se volete saperne di più potete ammirarli tutti ad alta risoluzione sul sito ufficiale: http://www.hipgnosiscovers.com/. La metafisica e il simbolismo sono sicuramente il leitmotiv che fa da denominatore comune.
Ma torniamo ai Black Sabbath. Nel 1976 venne ingaggiato come collaboratore l’illustratore Kipper Williams sotto la supervisione di George Hardie e dello stesso Thorgerson. Williams realizzò un’opera rappresentante due strani robot che sembrano sputarsi addosso a vicenda su una scala mobile.
Curiosa e molto esaustiva è la dichiarazione dello stesso Hardie che rilasciò alla rivista Zoom riguardo all’immagine: «Ci piace molto quella copertina. Dal titolo del pezzo, “Technical Ecstasy”, ho idealizzato qualcosa di estàtico piuttosto che tecnico, e ho subito pensato all’estasi in termini sessuali: una sorta di copulazione meccanica, che sarebbe stata difficile da fare. Ho poi pensato all’estasi come all’innamoramento, magari durante un breve incontro su una scala mobile – e, dato che era “tecnico”, ho pensato a due robot… il disegno è abbastanza semplice: sono state fatte appena delle curve per la femmina e linee dure e spigolose per il maschio. È anche piuttosto sessista, in realtà, e stereotipato. Ad ogni modo, è un amore a prima vista, ma sentivo che i robot non l’avrebbero fatto come farebbero gli umani, quindi si stanno spruzzando fluido lubrificante l’un l’altro». In effetti sembra proprio un flirt, il classico colpo di fulmine che possono avere due persone che si incontrano per caso su una scala mobile, i loro sguardi si incrociano per pochi attimi che sembrano lunghissimi; nel frattempo i gradini non cessano la loro marcia e fanno allontanare i due soggetti inevitabilmente, creando una distanza sempre più ampia, rendendoli sempre più irraggiungibili… trasformando i loro sguardi immediatamente in proiezioni della mente che però non sono ancora diventate ricordi, lo stordimento è ancora vivido e i fluidi sono ancora in circolazione, come si vede nella quarta di copertina. A sfondo molto più ironico è invece la vignetta presente nel booklet in cui sono presenti altre tre alternative chiavi interpretative.
Nel 1978 invece venne creata la copertina di “Never Say Die!” ma quella che è stata pubblicata non fu la prima scelta, bensì la seconda; la Hipgnosis inizialmente aveva proposto un soggetto nettamente diverso che è quello che vedete qui sotto.
Sì, so che l’avrete riconosciuto, questo artwork verrà utilizzato due anni dopo dai Rainbow per l’album “Difficult to Cure”, per fortuna un lavoro non andato sprecato ma che anzi, ha contribuito a rendere ulteriormente memorabile un disco.
In “Never Say Die!” vediamo due piloti di aerei posare davanti a un North American T-6 Texan. Si intravede stampata dietro la cabina la stella della US Air Force. Il T-6 Texan venne utilizzato nell’esercito e dalla marina americana dal 1935 (anno cui iniziò a volare). Progettato inizialmente a scopo addestrativo, venne impiegato in seguito nel secondo conflitto mondiale. Tra i maggiori utilizzatori dell’aereo ricordiamo anche la RAF e l’Italia che lo tenne nell’esercito negli Anni’50-‘60 e ‘70 come aereo addestrativo per i piloti che uscivano dall’accademia di aeronautica.
La foto che vediamo è stata scattata in tutta probabilità tra il 1940-1950. Non è del tutto chiara la databilità della foto, potrebbe essere uno scatto antico che poi è stato colorato in post-produzione oppure un photoset fatto appositamente con un modello da collezionismo.
I due piloti hanno una tuta da volo standard. Le tute da volo sono progettate così principalmente per uno scopo di comodità, con una lunga cerniera per evitare qualsiasi tipo di fuoriuscita di oggetti che potrebbero danneggiare le prestazioni del pilota e dell’aereo. Le tute aeree sono anche termoregolabili per proteggere il pilota dalle basse temperature dovute all’elevata altitudine che viene raggiunta durante il volo; l’abbassamento di ossigeno e la depressurizzazione vengono compensate con l’inalazione artificiale di ossigeno nella maschera del pilota.
Quale potrebbe essere il senso di un artwork del genere? È un disco che fa volare? Le canzoni sono quindi piuttosto leggere? Ci sono riferimenti bellici o militari? Quest’ultimo quesito potrebbe trovare una risposta plausibile se osserviamo una nota scritta sotto l’immagine pubblicata su un vecchio giornale americano per sponsorizzare l’uscita del full-length.
Indubbiamente una metafora rock dall’alto valore patriottico che recita così: «Ci scusi Sir Winston Churchill, ma il rock britannico deve molto ai Black Sabbath. Nello spirito del classico valore britannico e del coraggio sotto tiri nemici, Ozzie, Geezer, Bill e Tony erano lì per primi, combattendo con onore battaglia ovunque. Bombardando le difese nemiche con una potenza infuocata con le canzoni “Paranoid”, “Iron Man”, “Master of Reality” e “Black Sabbath”. Nel 1978, i Sabbath hanno promesso di portare il loro attacco al mondo, combatteranno per le strade, nelle sale da concerto. Combatteranno sulla terra e nell’aria. Non diranno mai di morire».
Sara “Shifter” Pellucchi
…un ringraziamento speciale a Jurij Aiello
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