Anno d’uscita: 2022
Sito web: https://asasmezzanine.com/

Siete in cerca di un viaggio sonoro astrale, quasi claustrofobico? Necessitate di perdervi in un mondo straniero e distaccarvi dalla solita routine per potervi sentire finalmente liberi?

Allora segnatevi “When She Met Herself”: lalbum auto prodotto dalla band Sienese (e provincia) Asa’s Mezzanine. Si tratta di un progetto che mescola musica industrial e metal, progressiva e psichedelica, con una ricerca assoluta di sound elettronico e suoni organici, ambient con una piccola aggiunta di jazz.

Il disco è una sorta di racconto sonoro strumentale con un tema alquanto particolare: il doppio, la scissione della personalità e il sogno lucido con tinte gotiche, ispirazioni prog-metal e numerosi riferimenti alla letteratura, alla cinematografia e all’arte di primo Novecento. (Non a caso sarà poi pubblicato un breve romanzo scritto dall’autore Paolo Sirio, che andrà quindi a completare il progetto così da generare un’opera transmediale, connessa a doppio filo tra musica, arte e parole.)
Ci troviamo quindi anche ad avere un artwork all’altezza del suo significato, che è stato disegnato in collaborazione con lo street artist Alienz Art (https://www.facebook.com/AlienzArt.ae). Il gruppo ha esposto l’idea cromatica e lo stile illustrativo, lasciando però molto spazio creativo al disegnatore e successivamente implementando vari fondi grafici e texture in post produzione.

Le interpretazioni di questa cover potrebbero essere davvero molteplici, chiunque la guardi potrebbe avanzare vari significati, ma alla base di tutto c’è comunque un concetto di base: la raffigurazione astratta della femminilità e della coscienza che apre decine di porte ed interpretazioni. L’album, intitolato “When She Met Herself”, fa riferimento ad una ricerca di qualcosa, in questo caso possiamo dire quando “lei”, intesa come coscienza, incontrò se stessa.

Alla base del concept c’è il tema del viaggio, della discesa all’interno di noi stessi che scava nel più profondo dell’animo umano e dilata la percezione delle nostre emozioni in maniera spesso inaspettata, violenta ed incontrollata. C’è sempre quella parte di terrore nel sapere che potremo scoprire una parte personale che pensavamo di non avere fino ad oggi e che ci può fare paura. Ci si può quindi collegare col tema della maschera e della violenza del mostro perpetrata solo attraverso uno schermo, come nel film del 1964 di Kaneto Shindo dal titolo “Onibaba”, basato su un’antica fiaba buddhista, che tra le altre cose la band ha cercato di omaggiare ed interpretare in un loro brano omonimo che dà l’inizio – o meglio la discesa – al full-length.
Può avvenire che durante la vita si abbia quello “scatto” sorprendente dentro di noi che può trasformare la nostra percezione della nostra esistenza da un momento con l’altro e questo risulterebbe essere il momento più creativo della nostra esistenza.

In copertina troviamo quindi una “lei” che filtra lo sguardo con lo spettatore attraverso un magnetismo quasi esoterico. In questo caso non si tratta di una maschera vera e propria, ma bensì la ragazza si copre i capelli con un paio di ali, gli arti principali dell’uccello, “creatura angelica”, intermediaria fra terra e cielo; inoltre si copre con le dita la faccia, quasi a non volersi far riconoscere dagli altri. Spunta solo un occhio, lo specchio della verità. Basta solo quello per interpretare la sua osservazione che risulta essere fredda, distaccata, ma al tempo stesso morbosa e carnale; un occhio quindi che scava e guarda dentro l’anima con estrema violenza. Le mani, nere e rovinate da un tempo astrale, sembrano coprire un volto femminile ma dalle sfaccettature androgine e quasi animalesche, una donna provvista di requisiti di forza fisica, coraggio e risolutezza virili che innalza la sua forma sguardo dopo sguardo.

L’immagine rappresentativa nasce prima come semplice bozzetto schematico disegnato a matita con un tratto fino, per poi essere digitalizzato attraverso penna digitale in Procreate. La paletta cromatica è stata scelta su campioni color carne, terra di Siena e blu notte mescolato al nero, per ottenere un effetto dipinto ad olio con pigmenti seccativi, tipici del filone artistico fiammingo (artisti di esempio possono essere Jan Van Eyck e Jan Vermeer) in cui c’era sempre una ricerca della verosimiglianza figurale.
In aggiunta, si è voluto inserire nuance tipiche del manierismo, del barocco ma anche della corrente surrealista come quella di Leonora Carrington e i suoi viaggi visivi nell’inconscio (un esempio “And Then We Saw the Daughter of the Minotaur”, del 1953).
Un album quindi davvero molto particolare che merita una dedicata attenzione ai dettagli! Immergetevi in queste sonorità ad occhi chiusi e aprite la mente!
Antonella “Aeglos” Astori