Anno d’uscita: 1994
Sito web: https://www.motley.com/
Nel 1992 una notizia sconvolse i fan dei Mötley Crüe e gli amanti del Glam Metal losangelino: Vince Neil lascia la band. «Per divergenze musicali» dirà un malinconico comunicato stampa, tralasciando una scia di malumori e incomprensioni mai del tutto chiarite se non diversi anni dopo, nel libro biografico “The Dirt”. In breve, la band accusò il platinato cantante di non essere coinvolto nella composizione del nuovo album, lui replicò senza mezzi termini che considerava le nuove canzoni semplicemente come “stupide”.
La band partì subito alla ricerca di un sostituto che ricadde nel semi sconosciuto John Corabi, cantante di una band di nome Scream, autore di un’unica release: “Let It Scream”.
Il suo innesto nella band iniziò sotto non proprio buoni auspici, la Elektra Records si lamentò con il management del gruppo dell’eccessivo costo di produzione che stava caratterizzando il disco e, dall’altra parte, i fan (ancora scossi dall’addio di Neil) non potevano non notare come Corabi avesse una diversa voce e un look totalmente differente. Ma questo è il primo passo (voluto) dal gruppo per indicare il nuovo percorso stilistico che intendevano percorrere. E questo stile può essere intravisto nella copertina: una superfice graffiata e logora su sfondo scuro su cui, a grandi caratteri rossi compare la scritta “Mötley Crüe” (gialli nella edizione giapponese) che richiamano, per stile grafico, un aspetto urbano e metropolitano, cupo, un taglio netto rispetto i colori sgargianti e la impostazione grafica delle passate produzioni.
L’artwork dice, senza tanti giri di parole, che i Mötley Crüe che furono in “Girls, Girls, Girls”, gli alfieri del Glam Metal, con quella raccolta di inediti caratterizzata da chitarre taglienti e liriche più “mature” forse non esistevano più o quasi. Con Corabi alla voce questi Mötley Crüe avevano l’ambizione di entrare da protagonisti della nuova scena Metal.
La scelta di intitolare il full-length con il moniker nasconde un retroscena curioso: in origine l’album avrebbe dovuto chiamarsi “Till Death Do Us Part” e la copertina avrebbe previsto Nikki Sixx vestito con una divisa da nazista, con tanto di simbologie in mostra.
«Volevamo che non ci si soffermasse sulle apparenze. E anche per attirare l’attenzione, l’importate era che se ne parlasse», si giustificherà Sixx anni dopo, fatto sta che oltre al costo di produzione sotto la supervisione di Bob Rock, la Elektra Records (giustamente, nda) decide di distruggere un numero mai del tutto chiarito di copie con questo titolo e questa immagine: inutile cercarla nel collezionismo, di questa versione non ne sono sopravvissute copie. Rimane il dubbio di chi fu all’epoca la mente brillante in Elektra che a suo tempo autorizzò questa operazione.
Parlare della sola immagine frontale è riduttivo, l’artwork nella sua interezza è molto curato, ricco di fotografie che sembrano ripercorrere una sorta di “diario” su quel periodo della band, non la classica sessione fotografica “di corredo” alle liriche delle canzoni che lo compongono. Elementi pop-art si fondono alle volte con uno stile cupo e urbano, in altre pagine lasciano lo spazio a scatti istrionici o caotici. Caotico è un termine da me ricercato e che si ripercuote sull’intero lavoro: il cambio di look (in verità neanche poi così marcato: già nel tour di “Decade of Decadence” la band abbandonò cotonature e abiti sgargianti), un diverso cantante, uno stile musicale molto vicino all’alternative dei Pantera (sinonimo di mercato a quei tempi) fecero crollare sia le vendite del disco che dei biglietti dei concerti. Ultima nota di demerito: in alcune delle vecchie canzoni, dal vivo John Corabi non appariva a suo agio nell’interpretazione. Fu lui stesso ad ammettere che «erano i vecchi brani a trascinare ancora il carrozzone dei Crüe, che li avevano resi famosi. E in alcuni di questi facevo del mio meglio, ma non ero Vince Neil. Ma agli altri sembrava non interessare».
Altro aspetto curioso, che denota quanto la band avesse la seria intenzione di avviare un nuovo percorso musicale, è la sleeve della copertina: vicino al resto della loro discografia, la scritta “Mötley Crüe” è rovesciata, orientata cioè verso destra.
Era un disco davvero così terribile da “meritare” il dimenticatoio?. No. Era un disco dei Mötley Crüe a tutti gli effetti, nonostante il cambiamento stilistico, comunque già parzialmente da loro affrontato in uno degli inediti di “Decade of Decadence”, “Primal Scream”. Il vero problema del full-length, come ammetterà candidamente Mick Mars era John Corabi: «avessimo avuto Vince Neil, questo disco avrebbe avuto una sorte differente». Un John Corabi che, nonostante la ottima performance di quei pezzi, raccoglieva una pesante eredità che finì con il ritorcersi contro. Una riabilitazione dell’album ci sarà diversi anni dopo da parte proprio dei fan, in piena reunion con Vince Neil. Lo stesso Corabi autoproducerà dal vivo “One Night in Nashville”, in cui reinterpreta per intero l’album.
Una curiosità sulla copertina distrutta: esiste all’interno del booklet una foto di Nikki Sixx con un cappello e parte di quella che sembra la giacca di una divisa, parzialmente oscurata da altre fotografie. Che sia questa la foto incriminata?
I Mötley Crüe sono attualmente impegnati in un reunion tour e, spesso interpellato a proposito, John Corabi per quanto amareggiato dal suo trascorso con loro e, nonostante alcune frecciate, ha augurato il meglio alla band. C’è una qualche remota possibilità che compaia a sorpresa interpretando qualcuno di quei pezzi? No. C’è possibilità che Vince Neil canti una di quelle canzoni? No. Tommy Lee in tempi recenti ha detto che ci hanno provato, ma semplicemente non ha funzionato, chiudendo di fatto ogni riferimento al periodo “Corabi”, quasi con un mix di rammarico e vergogna, come se non fosse mai esistito. Quasi dello stesso pensiero Nikki Sixx, che scaricherà l’intera colpa del fallimento a John Corabi nella prima reunion con Vince Neil, nel 1996: «John non era un Mötley. Ci abbiamo provato, abbiamo dato al ragazzo una possibilità». Paradossalmente, Vince Neil strinse nel tempo un legame di amicizia e cambiò idea, passando da «erano canzoni stupide» a «ho sentito qualche pezzo qua e là. Mi è parso ok».
Una ultima curiosità emerse in tempi recenti da parte di Sebastian Bach, l’iconico frontman degli Skid Row: «Venne chiesto anche a me una audizione per sostituire Vince Neil. Provammo alcuni pezzi poi Nikki Sixx mi disse che non capitava tutti i giorni che un tuo eroe ti chiedeva di prendere parte della sua band. Ero eccitato alla idea, ma con gli Skid Row i rapporti erano buoni a quei tempi e avevamo in porto alcune idee per un nuovo album, così rifiutai». Tommy Lee e soprattutto Nikki Sixx negano l’accaduto: il primo sostiene che quel giorno stavano solo “cazzieggiando”, il secondo che non è proprio avvenuto. Che tutto fu frutto della fantasia di Bach per attirare l’attenzione.
Anche gli Skid Row, nel 1995, pubblicarono un disco dalle sonorità molto simili a quelle dell’omonimo dei Crüe: “Subhuman Race”. Nonostante una tournè mondiale di successo, trascinata dai vecchi classici della band, “Mötley Crüe” fu un fallimento di critica e vendite e portò la band a sciogliersi poco dopo in un lancio reciproco di accuse che dura ancora oggi.
Francesco I.
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