L’amore per il rock, e più in generale per la musica, è a volte una sorta di folgorazione che colpisce gli individui fin dalla più tenera età. Una melodia in radio, una sequenza di immagini in TV, le note provenienti da un juke-box hanno spesso suscitato un’autentica rivoluzione nelle menti e nei cuori (per citare “Revolution in the Head”, il volume di Ian McDonald dedicato alle canzoni dei Beatles e al loro impatto sul panorama culturale degli anni Sessanta) di personaggi che, in seguito, hanno scelto di lavorare in ambito musicale a diversi livelli. È questo il caso, ad esempio, di Mox Cristadoro, scrittore, musicista, speaker radiofonico, curatore del canale YouTube di Tsunami Edizioni con la sua serie di video “Il Lato Oscuro” ma, soprattutto, grande esperto e fruitore di molteplici generi musicali. Abbiamo avuto la fortuna di poter fare con lui una lunghissima chiacchierata che, per la notevole quantità di interessanti informazioni che sono emerse, pubblicheremo in due puntate.
Ciao Mox, benvenuto in Art Over Covers! La tua attività musicale è davvero poliedrica: batterista, speaker, autore… tu stesso ti definisci “collezionista e divulgatore”… ma, se volessimo partire dalle origini, quale è stato il tuo primo approccio con il mondo della musica?
Dobbiamo fare un balzo temporale alla prima metà degli Anni‘70… ero ancora un “infante” e vivevo nell’industrializzata Sesto San Giovanni, a nord di Milano. Mia madre ascoltava i canali radio della RAI, mentre svolgeva i lavori domestici, da un ingombrante apparecchio monofonico situato in cucina. A questo periodo risalgono i miei primi frammenti di memoria relativi a canzoni pop. In quale momento hai iniziato ad ascoltare la musica in modo consapevole? Cosa ricordi del panorama musicale italiano degli Anni’70?
Correva, credo, il ‘74 quando vidi la PFM esibirsi in un programma televisivo pomeridiano per ragazzi. Nel ‘75 ricordo con chiarezza gli svedesi ABBA (vincitori dell’Eurovision l’anno precedente) con “S.O.S.” e un grande successo mediatico, oltre che di vendite, dell’artista di origini africane Afric Simone, che con “Ramaya” spopolò (conservo ancora copia in cassetta originale dell’album, acquistata nel medesimo anno). Lucio Battisti, Patty Pravo, Mina, Mia Martini, Drupi, Cocciante ma anche i Goblin e le Orme, a fianco di Bottega dell’Arte, Giardino dei Semplici e, naturalmente, i Pooh riempivano i palinsesti più mainstream. Si seguiva assiduamente “Discoring”, ma a un certo punto fece irruzione sugli schermi “L’altra domenica”, programma condotto da Renzo Arbore su RAI 2, che divenne una vera e propria guida per la nostra crescita culturale, attitudinale e soprattutto musicale. Analogamente, nel 1978, in casa mia avvenne un mutamento nella fruizione della musica su carta stampata, quando il settimanale “TV Sorrisi e Canzoni” lasciò il posto a “Ciao 2001”, settimanale ben più approfondito e specialistico.
Siamo parlando di mainstream e di televisione… ma quando hai scoperto il rock?
Il merito di aver favorito il mio approccio con il rock e i suoi vari stili va a mio fratello maggiore che, da preadolescente, mostrava interesse per ogni tendenza musicale. Restai automaticamente intrappolato in una fascinosa realtà, da un lato basata su note e immagini e da un altro, per una mia innata attitudine personale, dai supporti fonografici che univano i due aspetti, cioè le musicassette. Emerse immediatamente in me una propensione alla curiosità e al collezionismo di tutti quegli oggetti magici che, avvolti da copertine colorate, sprigionavano melodie con sonorità sempre nuove e diverse.Quali erano i tuoi musicisti preferiti di allora?
Infatuazioni implacabili furono prima Jean-Michel Jarre con “Oxygéne” e i Kraftwerk con “Radio-Activity”, seguiti da album mitici come “Made in Japan”, “The Dark Side of the Moon”, “Led Zeppelin” e “Black Sabbath”; di lì a pochissimo scoprii Ramones, Sex Pistols, DEVO, Ultravox e l’esordio nel ‘78 dei Decibel di Enrico Ruggeri … mentre la grande discomusic di quelle annate (Chic, Cerrone, Donna Summer, Giorgio Moroder, Boney M. e, ovviamente, i Bee Gees) veniva comunque fruita da me in parallelo, così come il cantautorato italiano d’eccellenza. Nel luglio del ‘79, il mio primo concerto: i francesi Rockets, gruppo da noi idolatrato, colti al vertice del loro splendore creativo. Se dovessi però indicare un altro disco che causò in me una autentica folgorazione, determinando una mia diversa percezione artistica del mondo, direi “Thick as a Brick” dei Jethro Tull, credo all’età di 10 anni, quindi sempre nel 1979.Passiamo ora dai tuoi ascolti giovanili alla tua attività musicale. Tra le tue varie esperienze come musicista, quale ritieni più significativa? C’è un artista, tra quelli con cui hai collaborato, al quale sei rimasto particolarmente legato?
Ripercorrendo una lunga esperienza (parte di una cronologia si trova qui: https://www.discogs.com/it/artist/673671-Mox-Cristadoro) mi rendo conto di quanto io sia stato fortunato, da “non-musicista”, cioè da autodidatta, a realizzare dischi al fianco di personaggi di talento come Marco “Maniglia” Medici, Olly Riva, Joe, Mitzi Dal Santo, Paolo Botta e Fabio Zuffanti, e anche con Incudine, formazione punk in cui suono da un decennio. Ho inoltre avuto il privilegio di aver potuto coinvolgere Franco Mussida (P.F.M.), Garbo e Pilli Cossa (Biglietto per l’Inferno) nel progetto musicale che porta il mio nome, ossia l’album “Christadoro”. Ho poi avuto la fortuna di poter affiancare in alcuni contesti Fabio Treves e Alex “Kid” Gariazzo (Treves Blues Band), Vincenzo Zitello, Massimo Priviero e Michele Gazich, Cristina Donà, Manuel Agnelli, Max Martellotta, e ho persino “invaso” con le mie spazzole dei frammenti di esibizioni di Eugenio Finardi, Vittorio Nocenzi e, addirittura, Joe Bonamassa. La mia militanza in radio è stata prodigiosa anche per avermi consentito queste meravigliose possibilità. Provo infinita riconoscenza per gli innumerevoli musicisti (e non) con cui ho collaborato, a vario titolo, in 40 anni. Dal primo all’ultimo.
Tra le produzioni discografiche a cui hai collaborato, ce n’è una in particolare che vorresti citare?
Il lavoro alla cui realizzazione ho fortemente contribuito, rivelatosi in assoluto il mio best-seller a livello planetario, è “In Absentia Christi”, un album dark a nome MonumentuM, edito nel 1995. Credo rappresenti una sorta di primato: si tratta, infatti, di un caso senza precedenti di LP d’esordio di un progetto rock interamente italiano pubblicato da una label britannica. Prima di quell’anno non si era mai verificato nulla di simile. La line up di quel disco, oltre a me, è costituita da Roberto Mammarella, Francesca Nicoli (Ataraxia) e Andrea Zanetti, con la riuscita produzione di Paolo Mauri (ex Weimar Gesang ed Afterhours). Quest’ultimo è un brillante ingegnere del suono molto apprezzato e prolifico negli Anni‘90, che ricordo con enorme affetto e simpatia.
Hai avuto modo anche di affiancare musicisti internazionali?
Dagli Anni‘80 a oggi ho anche condiviso palchi con gruppi hardcore punk di riferimento come Zero Boys, Shelter, 108, Youth of Today, Raw Power. L’ensemble con cui ho vissuto una condivisione a volte “orgasmica” sul palco fu “The Carnival of Fools”, suonando con gli australiani Beasts of Bourbon, Hugo Race e persino Nick Cave & the Bad Seeds, in un Palalido di Milano gremito, nel 1994, ricevendo anche un cachet in quell’occasione!
Vorrei parlare, ora, della tua attività di divulgatore. Il tuo canale “Il lato oscuro”, che poi è quello di Tsunami Edizioni (https://www.youtube.com/channel/UC7EhkfQ640Odah_ndnWQCew) include video che ripercorrono la carriera di molti artisti, spaziando tra diversi periodi e generi: da Franco Battiato ai Black Sabbath, dagli Area ai Muse. Sei dunque eclettico nei tuoi ascolti così come lo sei in tutte le tue attività?
Qualche volta, con stupore, mi viene chiesto: “Come è possibile adorare il lavoro di Baglioni e Mia Martini allo stesso modo di Converge e Behemoth? O Mahavishnu Orchestra e Council of Nine, e ancora Adele e CindyTalk?” Mi piace chiarire la questione della mia ampia trasversalità con una spiegazione “culinaria”: in una dieta variata e piacevole trovano spazio tanto una pizza marinara (pomodoro, aglio, origano, olio d’oliva), quanto una crostata alle pesche, un risotto alla zucca o una frittata con cipolla di Tropea. Sapori a volte diametralmente opposti, e ovviamente incompatibili, ma tutti necessari. I momenti di luce di una giornata sono come sappiamo variabili, ognuno può essere incantevole a suo modo, e la musica, così come l’arte in genere, rappresenta infiniti luoghi da visitare: vi sono climi desertici e assolati e rigidi panorami innevati, aurore boreali e fulminei tramonti equatoriali, vertiginose cascate e sconfinate pianure. É un privilegio poter concedersi più aspetti possibili della bellezza. Perciò, anche quando mi capita di suonare, tratto con il medesimo grado di rispetto country-blues tradizionali e black-metal sperimentale. L’unico aspetto che conta è che sia di mio gradimento.Hai anche lavorato a lungo in radio. Nel tuo libro “Radio Days”, edito da Tsunami Edizioni, racconti la parabola, durata 18 anni, dell’emittente “Rock FM”, una radio davvero innovativa che venne chiusa a causa delle “consuete” logiche di mercato… vorresti parlarci di questa tua esperienza?
Grazie per aver menzionato questa specie di diario, scritto nel 2010, di cui naturalmente invito alla lettura. Rock FM ha rappresentato un’esperienza unica di radiofonia strettamente relativa alla musica “suonata” nel senso tradizionale del termine. I riferimenti avrebbero potuto essere quei programmi che la RAI divulgava nei ’70, come “Popoff” o “Supersonic”, insieme alle prime radio libere in FM dal ‘75 all’80. Rock FM copriva tutti i generi e le diramazioni del rock con il giusto grado di competenza e ovviamente con grande passione, e grazie alla sua natura l’emittente ottenne un seguito non solo fedele, ma costante e visceralmente connesso. Tutto ciò al punto che la sua chiusura fu vissuta come una tragedia culturale e umana sia da parte nostra che ne eravamo protagonisti, sia da chi ne fruiva quotidianamente.
Che cosa accadde in prossimità della chiusura dell’emittente?
L’aspetto paradossale è che, per qualche attimo, ci sentimmo proiettati nell’Olimpo delle celebrità, proprio a causa di questo “misfatto”, vivendo la medesima situazione rappresentata nel film “I love Radio Rock”, basato sulla vicenda di Radio Caroline nella seconda metà degli Anni’60. Ci fu persino occasione di confezionare un video-messaggio etichettato come “SAVE ROCK FM”, girato in un’affollatissima piazza milanese in cui le persone si univano in coro intonando la celebre “Bohemian Rhapsody”, destinata a Brian May dei Queen, per sollecitarne la sensibilità, chiedendo un suo intervento economico. Ci fu anche una sua risposta! Vale la pena, infine, ricordare il cast in onda nell’ultimo glorioso periodo di questa meravigliosa avventura lavorativa, decisamente irripetibile per tutti noi: Marco Garavelli, Max De Riu, Ariele Frizzante & Roberto “Freak” Antoni, Giulio Caperdoni, Fabio Treves, Maurizio Faulisi, il Metius (voce dei Thee STP), Claudia Tonella, Edo Rossi e il sottoscritto. Per chi non avesse una minima idea di chi siano tali personaggi, consiglio di ricercare informazioni in rete, giusto per fornire un metro di misura sui sopracitati parametri di competenza e passione.
Indubbiamente si tratta di una compagine di personaggi illustri! Un vero peccato che la parabola della radio abbia avuto questa triste conclusione…
Citando l’illustre Freak Antoni, che in proposito è sempre stato lungimirante, “non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti” ! Il massivo declino antropologico che stiamo osservando è al riguardo abbastanza esplicito come segno dei tempi. E il fallimento della gestione editoriale di un’isola preziosa come Rock FM è solo uno tra tanti esempi.Parliamo, ora, di un altro libro di cui sei autore. In “Route 69- Il 1969 a 33 giri”, sempre edito da Tsunami, hai avuto la fortuna di lavorare con Matteo Guarnaccia, artista e illustratore recentemente scomparso che forse, più di chiunque altro in Italia, ha saputo ritrarre l’immaginario psichedelico. Cosa ricordi di questa collaborazione?
Con Matteo Guarnaccia ho condiviso innanzitutto una bella amicizia, sorta nei primi anni Duemila durante il mio periodo a Rock FM. Da fan della sua produzione saggistica sulla psichedelia e, non ultima, artistica come illustratore, lo invitai in radio per condurre insieme trasmissioni su questa cultura e sul suo operato in merito. Da quel momento furono molteplici le occasioni d’incontro pubbliche, lavorative e a volte anche private tra noi. Risultava impossibile non trovarsi in sintonia e armonia con Matteo. Anche nel volume “Radio Days” è presente un suo breve e toccante intervento. Quando con Tsunami Edizioni affrontammo la prodezza di pubblicare la guida agli album del 1969, da me redatta in occasione del cinquantesimo di quell’annata, pensai a due amici “luminosi” che ammiro e soprattutto che avevano vissuto da adolescenti quel magico momento storico. Così mi rivolsi alla penna di Enzo Gentile per una breve introduzione… e a chi? se non a Matteo, padre della grafica psichedelica, per una splendida e soprattutto rappresentativa immagine di copertina. Posso realmente esprimere gioia e soddisfazione anche solo per questo. “Route 69” è senza dubbio il libro più impegnativo e interessante che ho avuto l’onore di scrivere, benché il mio “top seller” rimanga quello sulla scena progressiva italiana (“I 100 migliori dischi del Progressive italiano”, ed. Tsunami).
Con Guarnaccia hai lavorato anche ad altri progetti?
Nel settembre del 2019, alla presentazione del suddetto volume in un importante punto vendita Feltrinelli a Milano, Matteo descrisse, dall’alto della sua esperienza, alcuni sistemi e trucchi grafici adottati per le copertine dei capolavori usciti in quell’anno, oggetti che, appunto, porto sempre con me da mostrare in quegli ambiti. Per una prestigiosa compilation di un’etichetta indipendente in cui lavoravo tra il 2003 e il 2006 gli fu poi commissionata la copertina, uno splendido involucro digipack e in rilievo, apribile in 4 parti. La recente, prematura e inattesa dipartita del Maestro Guarnaccia è stata un dolore lacerante per tutti quelli che hanno vissuto il piacere di conoscerlo.
A questo punto, come è tradizione qui su Art Over Covers, dovremmo entrare nello specifico della tua attività di esperto, collezionista e divulgatore, parlando di copertine di album… ma, siccome ci sarà moltissimo da dire, dobbiamo rimandare questo argomento ad un’altra occasione! Ci risentiamo presto per continuare la nostra chiacchierata nella seconda “puntata” dell’intervista! Intanto grazie, Mox, per il tempo che ci hai dedicato!