Sito web: https://www.lanadelrey.com/
Una bellezza rassicurante, vintage, che fa ricordare il periodo degli Anni’60 con le sue estati, nelle quali si cominciavano a percepire i primi segnali di una rivoluzione giovanile proiettata verso il divertimento e la libertà, ma che negli artwork di Lana del Rey sono associati a un monito tagliente e coercitivo nelle parole del titolo. Elizabeth Woolridge Grant (questo il suo nome all’anagrafe) dieci anni fa esordiva così nella copertina del suo primo disco “Born to Die” del 2012 (lo shooting è opera di Nicole Nodland), in cui si mostra fiera ed impeccabile in una mezza figura che ci osserva, dall’alto verso il basso in modo solenne e distaccato. Con “Ultraviolence”, due anni dopo il filo conduttore sarà lo stesso, spaccato solamente da una diversa scala cromatica (in bianco e nero).
Lana si rivela a noi in modo classico, con una acconciatura ordinata arricchita da un delicato volume ai capelli dei quali vengono esaltate le morbide curve. Il suo dress-code non è per nulla provocatorio: solo una semplice maglietta bianca, senza scopi di ostentata estetica per attirare attenzione da parte del suo pubblico, come se fosse la classica “ragazza della porta accanto” anche se il viso, se pur messo in risalto, sembra cupo ed enigmatico, poiché la sua bocca non appare né imbronciata né sorridente.
Se in “Born To Die” si dava maggiore risalto al nome della cantautrice, nella foto di “Ultraviolence”, la fa da padrone solo la dimensione del titolo che travolge l’intera immagine ed è scomodamente grande. Questo potrebbe suggerire di far evincere l’intento di far riflettere il pubblico leggendo le parole scritte sotto di lei, che indirettamente sono da prendere come una esteriorizzazione della sua triste vita passata.
Il trascorso di Lana durante la propria infanzia infatti è stato caratterizzato da problemi di dipendenza dall’alcool, che riuscirà a superare con successo dopo la frequentazione della Kent School. Un ulteriore traguardo sarà anche il conseguimento di una laurea in metafisica, con la vocazione di riuscire a colmare il divario da sempre esistente tra Dio e scienza. L’artista si è sempre dichiarata credente e di religione cattolica.
La cantante, osservando i suoi primi quattro artwork mostra grande interesse nel farsi ritrarre accanto ad automobili. Sono quattro anche i mezzi scelti.
Per “Born to Die” e “Lust For Life” (2017) posa di fronte a due pick-up apparentemente uguali: un Chevrolet Task Force e un Chevrolet Apache; quest’ultimo è l’evoluzione restyling del primo.
In “Ultraviolence” è appoggiata alla sua Mercedes-Benz SL degli Anni’70 detta “pagoda” e per “Honeymoon” (2015) è seduta su un furgone Ford Econoline di fine Anni ’90/inizio Anni 2000, allestito per i tour turistici nelle zone hollywoodiane.
L’utilizzo delle auto potrebbe essere il significato di un viaggio intrapreso da lei stessa con la sua musica, ci invita a salire o a seguirla, in totale sicurezza perché l’arrivo finale è con lei, che finalmente in “Lust for Life” appare serena e che alla fine del viaggio ci aspetterà su un balcone con due cani affettuosi nella copertina di “Blue Banisters” del 2021 (liberamente ispirata alla cover di “Poor Man’s Paradise” della cantante country/blues Tracy Nelson).
Sara “Shifter” Pellucchi
coedited by Augusto Pellucchi