Anno d’uscita: 2017
Regia:
David Lowery

A Ghost Story è un film del 2017 scritto, diretto e montato da David Lowery, con protagonisti Casey Affleck e Rooney Mara. Presentato in anteprima mondiale al Sundance Film Festival il 22 gennaio 2017, è stato distribuito nei cinema statunitensi a partire dal luglio dello stesso anno, avvolto subito da un’ondata di consensi.

La pellicola inizia con il far conoscere, seppur pochissimo, i due protagonisti, lui e lei che vivono insieme e si vogliono bene. Purtroppo (spoiler) c’è subito un incidente stradale e l’uomo perde la vita; ritorna a casa sua nella forma di un fantasma invisibile agli occhi della sua amata, coperto semplicemente da un lenzuolo bianco, idea che può sembrare ironica, ma tutt’altro che ridicola.
Certo, direte voi tutti, è una storia vista e rivista, tutti poi conoscerete senz’altro il famosissimo lungometraggio “Ghost” con Patrick Swayze e Demi Moore uscito 1990, dove Sam (Swayze) muore e ritorna dalla sua amata Molly (Moore) sottoforma di spettro.
Non lasciatevi però scoraggiare e date una possibilità a questo film perché, vi assicuro, è unico nel suo genere. In questa storia il fantasma non ha nessuna interazione con la persona amata e viene rappresentato solo con questo lenzuolo bianco che ha solo due fori per gli occhi. Insomma, il classico spirito che si può creare come maschera per Halloween. Non vedrete un horror, non aspettatevi mostri, effetti speciali o che altro. È un film che tratta dello scorrere del tempo e di uno spettro che rimane ancorato sulla Terra perché sa di non poter più vivere e si attacca al ricordo di una vita che è stata. Forse vi annoierà all’inizio, troverete tutto molto lento, persino i dialoghi sono quasi inesistenti, ma lo scorrere dei minuti vi farà provare emozioni e compassione per questa persona che ha perduto la vita. Le immagini parlano da sole e vi faranno riflettere su cosa vuol dire per un fantasma il susseguirsi infinito delle ore e dei giorni.
La scelta di rappresentare il fantasma con un lenzuolo risulta geniale, perché ci rimanda alla nostra immagine infantile e stereotipata; nonostante non ci siano espressività del viso e nemmeno del corpo, c’è nel film un’intensità comunicativa che è davvero emozionale. Vorremmo entrare nella pellicola per poter abbracciare e consolare questo spettro, perché vedremo in lui l’impotenza, l’incapacità di non sentirsi visti e pertanto sentire di non vivere.

Il fantasma attende quindi paziente che tutto possa ritornare a ciò che è stato, mentre i segni di ciò che ha vissuto vengono piano piano sepolti senza però scomparire del tutto, rimanendo custoditi nella memoria di un’eternità, come se tutto fosse appunto velato da un sottile lenzuolo.

Tutto questi sentimenti, sensazioni e significati profondi li troviamo nella locandina stessa, molto semplice, ma d’impatto, soprattutto dopo aver visto tutto il film. Da qui saremo in grado di capire che questo spettro vorrebbe parlare, vorrebbe chiedere aiuto per poter lasciare questa vita terrena e trovare finalmente la pace interiore. Lo sfondo grigio è come se intorno a lui ci fosse solo polvere, niente ha importanza, niente deve distogliere il nostro sguardo dal suo. È come se volesse dire: «Io sono qui, guardami, perché non mi vedi? Eppure ci sono, sto soffrendo e non so come fare ad esternare ciò che provo».

Una storia di questo tipo chi dice che deve essere per forza inventata? Voglio dire, per chi crede nel soprannaturale, per chi è certo che la nostra anima continua a vivere anche dopo la nostra morte, è facile credere ad una narrazione davvero incredibile. Nel quartiere di Los Angeles di Glassell Park c’è una casa dove, dal 1992, si verificano strani fenomeni. Un’entità appare nelle Polaroid scattate all’interno dell’abitazione. Non solo: questa presenza è in grado di “scrivere” delle frasi e di rispondere alle domande che le vengono poste, sempre attraverso le foto.
Un caso interessante, studiato ancora oggi con macchine fotografiche diverse da quella usata dal proprietario di casa; eppure lo spettro appare sempre con un alone di luce intorno e sagomato proprio come se fosse un lenzuolo con i buchi per gli occhi e, in questo caso, anche la bocca.
Il panno bianco con gli occhi arriva dalla rappresentazione di fumetti e cartoni animati come nel video della versione di “Biancaneve” con Betty Boop del 1933; probabilmente gli autori di fumetti e cartoni animati prendevano ispirazione dalla tradizionale simbologia teatrale. Ma da dove arriva questa strana usanza di rappresentazione dello spettro?
Il fantasma con il lenzuolo, come quello della regina Maria Stuarda, avvistato in più di un castello scozzese, per esempio, deve molto al fatto che all’epoca i morti erano sepolti in teli e lenzuoli bianchi. Il fatto che nel XIX Secolo gli avvistamenti inglesi ci parlano di fantasmi vestiti di nero è probabilmente legato al fatto che nell’Inghilterra vittoriana il nero era diventato il colore del lutto. Sulla fine del secolo il fantasma diventa ectoplasma come quello prodotto dalle medium Eva C. e Margery, per poi ahimè essere scoperto in realtà con la creazione di garza e cotone. Certo è che ai giorni nostri la nascita delle macchine digitali sembra aver aumentato le immagini con i fantasmi, ma lo studio di quelle precedenti e l’interpretazione delle nuove figure non si è mai fermato. Sicuramente si tratta di una convinzione di fede, che porta ad essere scettici o credenti nei confronti dei fenomeni paranormali.

E poi c’è chi gioca con questo travestimento, come Mr. Boo, il fantasma più famoso su Instagram (n.d.r.: la pagina non è più attiva da ottobre 2020); che faccia abbia nessuno lo sa perché, come da tradizione, si nasconde sotto un lenzuolo bianco con due buchi neri come occhi. Vive in Spagna e vaga nella città durante la notte facendo scherzi ai malcapitati (scherzi innocui, si intende!).
Tanta è l’usanza del fantasma col lenzuolo che si è adoperata anche per rappresentarli all’entrata di un luogo incantevole al centro del Lago di Como, sul promontorio che sovrasta la sponda di Varenna; sto parlando del Castello di Vezio. Li troviamo nei meandri e negli angoli dell’edificio storico, inquietanti e malinconici spettri realizzati col gesso.
Il film è come sussurrato, girato interamente nel formato 4:3, che rimanda allo stato vintage dei filmati di famiglia. Le inquadrature rimangono alle volte fisse per minuti, intrappolate in un aspect ratio 1.33:1 dagli angoli arrotondati (dichiaratamente ispirato dal film Jauja di Lisandro Alondo).
Come in tutti i film di Lowery, la musica ha un ruolo importante nella costruzione del lungometraggio, in particolare proprio in questo la componente sonora diventa essenziale per la storia, collegato anche al fatto che lo stesso protagonista in vita era un musicista; ed è proprio una sua canzone a diventare un modo per l’amata di riconnettersi con lui una volta scomparso. Il meraviglioso brano in questione, “I Get Overwelmed”, è in realtà composto ed eseguito dalla band Dark Rooms.
Ci sarebbe veramente ancora tanto da dire su questo film, ma ahimè andrei sicuramente a fare ulteriori spoiler, quindi non vi resta che andarlo a vedere e ricavare voi stessi, dalle vostre sensazioni ed emozioni, il significato più profondo che ha recepito il vostro cuore.
Antonella “Aeglos” Astori