Anno d’uscita: 1980

Dicono stia tornando il City Pop in Giappone. Sarà per l’inizio di un boom economico dell’isola o solo immane nostalgia? Mi dissero che fossero in crisi da una vita, un po’ sul modello italiano ma a cadenza più lenta. Che poi il City Pop nasce proprio dal lusso, dal benessere e da una fragorosa discesa verso l’occidente: i suoi costumi, la sua musica. Nel romanzo “Sol Levante” di Michael Crichton – a differenza del film di Philip Kaufman, ispirato al libro – c’era tutto un attacco al Giappone e alla loro innata tendenza a “rubare” dall’Occidente, e fare un sacco di quattrini. A dirla tutta, nella musica, ci sono poche invenzioni “out of the blue”, si è sempre ispirati da qualcosa. Però dai, il City Pop era solo Jazz Funk /Disco cantato in giapponese, salvo rare eccezioni come la Yellow Magic Orchestra. Ma ciò non toglie che sull’isola le cose venivano fatte alla “loro maniera”. Quell’inconfondibile maniera. Bellissima. Parlando di cinema, il discorso cambia, in maniera notevole ed è curioso, in effetti, notare come il Chambara, ovvero banalmente i “Samurai Movies”, siano l’equivalente dei “Western Movies” americani.
Gli stessi americani che approdarono nel 1853 sull’isola, cambiando a poco a poco i costumi o meglio fondendosi con essi; non senza spargimenti di sangue. Dopo i Chambara qualcosa cambiò, nell’intrattenimento nipponico, inserendo più contesti urbani e qui, finalmente, arriviamo alla bellissima Yuuko Shibuya. Il grande studioso di cinema Alberto Libera, a cui devo parte dell’articolo, vide nella copertina di “Made in Japan” (King, Japan, 1980), il film “Female Prisoner #701: Scorpion” di Shun’ya Itô del 1972, con la relativa serie di lungometraggi.
In versione decisamente più elegante e sexy, rispetto al personaggio interpretato da Meiko Kaji, Yuuko, con un abito elegante alla “occidentale”, impugna una katana, fondendo culture lontani anni luce ma, stranamente “matchate” alla perfezione. Vediamo perché. Ritornando al cambio di “costume” nel cinema giapponese, non era raro trovare cattivissimi uomini della Yakuza brandire una lama, come nuovi samurai urbani. Poi, Quentin Tarantino ci mise, anni dopo, del suo, con “Kill Bill”, chiaramente ispirato a capolavori come “Sex & Fury” di Norifumi Suzuki del 1973. Anche se qui, la bellissima Reiko Ike, vestiva un classico kimono, affettando nemici tra slasher ed erotismo. Tra parentesi, nel periodo City Pop, che andava dalla fine degli Anni’70 fino a tutti gli Anni’80, le copertine erano piene di riferimenti erotici e, guarda caso, perfettamente in linea con la cinematografia nipponica del periodo.
“Made in Japan”. A pensarci sorrido ancora, cioè, una delle mie tracce preferite del disco di Yuuko, “5AM はバイオレッドピンクで”, ha la stessa identica musica di “Crazy for Ya” di Narada Michael Walden del 1979 ma, in qualche modo, sembra fatta apposta per la voce della nostra bellissima “Yakuza-Samurai”. Che poi la ragazza era uscita tre anni prima come “Pop Lady”, da qui anche il titolo dell’album, tutt’altro che accattivante anzi, più abbottonata che mai. I tempi cambiano. Infatti nel 1982, Takako Mamiya, uscì con uno degli LP più belli del genere, ovvero “Love Trip” (Kitty, Japan, 1982), con la stessa eleganza in copertina e quell’atmosfera “more than romantic” dell’ambiente intorno a lei.
Viva le donne, meglio non armate!
Alberto Massaccesi