Anno d’uscita: 1986
Sito web: https://skinnypuppy.com/
Esiste un’associazione artistica indissolubile, che nel corso dei secoli rimarrà sempre legata a delle illustrazioni: mi riferisco a quella delle della “Divina Commedia”. Il capolavoro indiscusso di Dante Alighieri, scritto tra il 1304 e il 1321 ha mantenuto, nel corso dei 700 anni dalla morte del Poeta, un’immutabile personificazione che rimarrà inalterata per sempre nell’immaginario collettivo. È impossibile pensare a questo immenso poema allegorico senza collegarlo alle illustrazioni di Gustave Dorè; non potremmo mai idealizzare un diverso Lucifero, oppure un dissimile Caronte, che sembra uscire dall’illustrazione con la sua barca e con le sue ineguali sfumature di luce, irradiate dall’incisione dell’Empireo. La “Divina Commedia” È e sarà per sempre Gustave Dorè.
Paul Gustave Louis Christophe Doré è stato un celebre illustratore, pittore e acquerellista francese vissuto nella prima metà del 1800. La sua fama mondiale è, senza dubbio, stata nutrita dalle sue meravigliose incisioni. Nella sua breve vita (morirà a soli 51 anni) è riuscito, con la sua grande capacità rappresentativa, a dare nuovi occhi alle più massime opere letterarie mai pubblicate, come la “Bibbia”, “L’Orlando furioso” e il “Paradiso perduto” di John Milton. La “Divina Commedia” fu la sua terza opera come illustratore (dopo “Gargantua e Pantagruel” di François Rabelai nel 1851) per la quale, a soli vent’anni, riuscirà a trasfigurare un totale di ben 136 xilografie, per la misura 35×24,6 cm cadauna. Con l’ausilio di capacissimi intagliatori e incisori, come Héliodore Pisan e Adolphe Pannemaker, i tratti caratterizzanti di situazioni e personaggi saranno stampati su varie edizioni, con il gusto vibrante e magnifico che tutti conosciamo.
Le sue opere spiccano, tuttora, di una grande drammaticità gotica ed epica, con le sfumature solenni di chi ha sempre creduto nell’estetica e nel bello imprescindibile. La sua influenza artistica ha avuto un impatto, potentissimo, nella cultura contemporanea. Sono molti i registi e i disegnatori che devono a lui il riconoscimento di essere stato l’Apollo per le proprie opere. Tra vari nomi illustri spiccano quelli dei celebri registi come Peter Jackson, Walt Disney e Tim Burton.
Anche la musica, oltre al campo della settima arte, ha subìto il fascino dell’arte di Dorè. Collegandoci al grande maestro, vi parleremo in questo articolo della copertina di “Dig It”, singolo della band industrial canadese degli Skinny Puppy, inserito nell’album “Mind: The Perpetual Intercourse” del 1986.
Le immagini di copertina sono state rielaborate dall’artista Steven R. Gilmore; artefice della maggior parte dei loro artwork (qui un interessante articolo in lingua inglese: https://www.lethalamounts.com/). Il singolo della canzone ha un testo tutto sommato semplice, ma piuttosto incomprensibile: il duo di Vancouver non ha mai fatto mistero di liriche criptiche e implicite, con la volontà di lasciare defluire in totale libertà pensieri e parole.
Il titolo, che letteralmente significa “scavare” o “sotterrare”, è fedelmente riportato in chiave figurativa sul fronte e sul retro della copertina. Gli Skinny Puppy si sono sempre contraddistinti per temi molto impegnati, recitati nei loro testi, che parlano di vivisezione, inquinamento, grettezza, economia perversa e guerra chimica; temi attuali e scottanti che con questo artwork assumono una connotazione mistica. Tutte e due le incisioni, stampate nel fronte e nel retro del disco, rappresentano una scena sepolcrale. La figura pubblicata sul retro è tratta dalla “Bibbia” ed è intitolata “La sepoltura di Sarah”, collocata nel “libro della Genesi” del 1866. Nella religione cristiana, come è noto, uno dei doveri di un fedele è quello di seppellire i morti. Nel racconto si narra che Abramo volesse collocare la defunta consorte (morta a 127 anni!) nella più bella grotta, per darle la più degna sepoltura. Abramo era straniero, residente nella terra degli Ittiti, e con un’ingente somma di denaro riuscì a riscuotere il terreno individuato, di proprietà di Efron, figlio di Zohar, che era intenzionato a concedere gratuitamente. Abramo invece decise di acquistare una più ampia porzione di terreno, per stabilire un diritto di proprietà e quindi simbolicamente avanzare il primo passo verso il possesso della terra promessa
Con una connotazione, meno “beata” rispetto alla precedente, abbiamo invece l’altra immagine che fa da simbolo figurativo al singolo, tratta dal X Canto dell’“Inferno” della “Divina Commedia”, in cui compare Farinata degli Uberti che sta uscendo dalla sua tomba. Farinata degli Uberti (si chiamava così per via del colore dei suoi capelli biondi, il suo vero nome era Manente) è stato un nobile ed agguerrito ghibellino, discendente da una delle famiglie fiorentine più ricche ed importanti. La situazione politica a Firenze, a quel tempo, era assai difficile: le dispute tra guelfi e ghibellini erano sempre infuocate e le due fazioni ricorrevano spesso alla violenza.
Farinata era a capo dei ghibellini che, nel 1260, riuscirono a prendere finalmente il potere sui guelfi, dopo una precedente sconfitta che costò l’esilio. La vendetta dei guelfi si fece attendere, però, solo dopo la sua morte. Lui e sua moglie Adaleta vennero portati sotto processo (postumo) con l’accusa di eresia. I corpi (o quello che ne rimaneva dopo 19 anni di sepoltura) vennero riesumati e i beni degli eredi furono confiscati. Fu un processo sicuramente architettato a scopo vendicativo da parte dei guelfi, in quanto non esistevano prove fondate sull’orientamento religioso del condottiero, ma si sa, il periodo del tempo che trascinava ancora dogmi e superstizioni non era dei più favorevoli, e le dispute politiche andavano a braccetto con quelle religiose. Il termine eretico definisce colui che non crede nell’immortalità dell’anima. Dante, pur essendo stato un guelfo bianco e suo acerrimo avversario, trattò con enorme rispetto il suo incontro, instaurando con lui un forte ed importante dialogo, affermando quanto fosse ingiusto che le colpe dei padri dovessero ricadere sui propri figli (uno dei rimpianti di Dante fu quello infatti di non essere riuscito ad abrogare l’esilio della propria progenie accettando di tornare a Firenze).
Dante e Virgilio si trovano dentro la città di Dite, nel sesto cerchio. Nell’”Inferno” gli eretici scontano la pena giacendo in una tomba infuocata, come un rogo che li arde vivi. In sostanza, chi non ha creduto nella vita ultraterrena ora sconta una sepoltura eterna. Nella figura Dante e Virgilio osservano Farinata dall’alto e lui ricambia in solenne posizione eretta, sollevandosi dal sepolcro. Non è sdraiato all’interno della tomba, la sua postura appare come una sorta di resurrezione che fa trasparire fierezza nonostante la terribile pena che sta scontando («La gente che per li sepolcri giace potrebbesi veder? Già son levati tutt’i coperchi, e nessun guardia face»). Particolare e insolito è l’effetto luminoso generato dal fuoco che fuoriesce dal sepolcro; una luce che non viene dall’alto, ma dalla terra infernale, un messaggio tutt’altro che spirituale che si contrappone all’essenza divina illuminata, dal cielo, che non esisterà più per le anime dannate.
Le figure di Sarah e di Farinata sono entrambe ancora parte della superficie esterna, il loro sepolcro non ancora stato chiuso in via definitiva. La parte che guarda ancora all’esterno, che non è ancora stata chiusa dalla lastra di pietra, è come se metaforicamente rappresentasse una storia non ancora conclusa, un conto in sospeso che non è stato risolto, ma che fa capolino alla nostra coscienza e ci osserva. La morte è per i morti, ai i vivi può portare rimpianti, nostalgia o ricordi angoscianti.
Sara Pellucchi