Glauco Cartocci: per i più questo nome è associato al P.I.D.” (Paul Is Dead), la “teoria complottista” (come si usa dire oggi) secondo la quale il Beatle, nel novembre 1966, perse la vita in un incidente automobilistico e venne sostituito da un sosia. L’autore romano, infatti, è uno dei massimi esperti dell’argomento in Italia. Ma, oltre ad essere un saggista, Cartocci è architetto, grafico, romanziere, musicista e paroliere. Un personaggio multiforme, dunque, con cui abbiamo avuto di recente una lunga chiacchierata che vi proponiamo in questa intervista.
Ciao Glauco, benvenuto su Art Over Covers! Sei noto al grande pubblico per essere l’autore del più completo dossier scritto in italia sul “mistero” della presunta morte di Paul McCartney, “Il caso del doppio Beatle”, giunto ormai alla sesta edizione. Dell’argomento si è ampiamente discusso in altre sedi, perciò vorrei soltanto chiederti quando e perché hai deciso di occuparti di questa tematica.
Innanzitutto grazie di ospitarmi, e doppio grazie per non voler limitare la nostra conversazione a quel tema, che ormai mi sta un po’ stretto; anche se ovviamente è quello che mi ha dato modo di esprimermi come scrittore e mi ha permesso di conoscere tanti appassionati di Beatles e non solo. Sono un fan dei Fab Four da quando ero ragazzino. Vissi “in diretta” la vicenda PID all’epoca, quando se ne parlò per la prima volta, nell’ ottobre 1969, e la cosa mi turbò abbastanza. Andai a cercare in centro a Roma le pochissime riviste straniere che venivano importate in Italia (Time e Life) e lessi tutto avidamente e con trepidazione. Tuttavia, dopo un primo interesse mondiale sulla faccenda, la cosa venne liquidata come “fesseria” o burla. Frettolosamente, troppo frettolosamente, secondo me. Per anni e anni non se ne parlò più, finché (non so come) nel 2004 mi venne la voglia di controllare in Rete se – putacaso – ci fosse qualcosa su quell’antica vicenda. Rimasi sbalordito nel constatare che l’interesse per la “sostituzione” di McCartney aveva avuto un grande ritorno di fiamma, all’incirca nel 2002, e nel vedere come addirittura le ipotesi si fossero moltiplicate. Anche gli indizi si erano affastellati; oltre ai pochi che erano venuti fuori nel 1969 se ne erano aggiunti di nuovi, a bizzeffe. Molti erano stupidi o ridicoli, ma ce ne erano davvero parecchi che facevano gelare il sangue nelle vene. Da quel momento decisi di intraprendere la mia personale indagine, che è raccolta nel libro, continuamente aggiornato.
Sei uno scrittore molto prolifico e la tua produzione comprende romanzi di generi molto diversi tra loro. È corretto dire che essi siano accomunati dalla tua passione per la musica? Ce n’è uno al quale sei particolarmente legato?
Inizialmente il tema musicale era predominante. Oltre al saggio su PID e a un altro saggio sui Beatles, ho scritto il thriller-rock “Come era nero il Vinile”  e “L’uomo dei Rockodrilli” , entrambi per Aereostella di FranzDi Cioccio e Iaia de Capitani. Anche un altro romanzo, “Una Faccia dall’Antica Galleria”, è in ambito rock (con forti riferimenti ai Doors e all’omicidio di Lennon). Ancora di musica si occupa il romanzo/saggio del 2020 “Pensa che mio zio, una sera, ha suonato con Jimi Hendrix” dove però l’argomento centrale è il Web che declina i temi musicali a suo modo, fino a fagocitare la storia del rock e spesso a distorcerla, così come spesso distorce i rapporti umani.
Tuttavia ho trattato anche altri temi, quasi sempre basati su spunti reali o personaggi davvero esistiti, ad esempio in “Piogge fuori posto” e “Solothurn”, quest’ultimo uscito di recente.  Il tema comune a tutte le mie storie, comunque (compresi i libri musicali) è l’interesse per il mistero e per alcuni aspetti inspiegabili della vita e delle vicende personali. Significativo in quest’ottica è “Angelo full-time”, dove un uomo defunto finisce a lavorare per un improbabile “Corpo” dei Guardian Angels, e a combinare grossi casini; l’intento è ironico e, a suo modo, “filosofico”. I miei protagonisti non sono mai “eroi” nel senso tradizionale del termine: hanno grossi pregi e altrettanti difetti. Solitamente sono questi ultimi ad emergere per primi nella trama, mentre i lati positivi devono venire fuori mano a mano, nel percorso narrativo. Non c’è un romanzo cui sono più legato degli altri (…sono “piezz’ e’ core” come i figli) anche se al momento, ritengo che il più centrato e appassionante sia “Appesi a un chiodo, sulla parete” (2020). Ma magari domani cambierò idea! E… ho sempre l’intento di fare del “prossimo” il migliore!Parallelamente all’attività di scrittore, lavori come grafico e hai disegnato le copertine di molti romanzi di fantascienza: vuoi parlarcene?
Risale a quando ero un giovane studente (“capellone”) di Architettura. Mio padre, che era grafico prima di me, fu contattato per la grafica dalla casa editrice Fanucci (poi divenuta importante). Renato Fanucci mi affidò quindi la realizzazione delle copertine di due collane, “Futuro” e “Orizzonti”. Realizzai circa 25 copertine, Asimov, Lovecraft, Anderson, Farmer – autori di pregio – e alcuni disegni interni. Mi sembrava incredibile venire pagato per fare una cosa che mi piaceva da morire! So che oggi quei libri (non certo per mio merito) sono diventati ricercati, un po’ “cult” come si usa dire, da parte degli appassionati. Usavo la tempera e l’aerografo: all’epoca – primi Anni ’70 – non esisteva certo Photoshop. Ricordo che i curatori, DeTurris e Fusco, una volta mi dissero “bellissimo… ma mi puoi spostare questo mostro un po’ più in basso?” cosa che ovviamente era impossibile in un dipinto su cartone! Adesso col digitale sarebbe fattibile, certo. Altra cosa che ricordo con piacere: fui invitato come ospite a una Mostra di illustratori di Fantascienza, a Trieste, nel 1982. Un sogno: tutto spesato, ospite con la mia ragazza, c’erano altri giovani illustratori e il “mito” di tutti noi, il grande Karel Thole che illustrava Urania! Per giunta, una di quelle sere, ci fu la finale dei Mondiali vinti dall’Italia, la ciliegina sulla torta.

Hai disegnato anche le copertine dei tuoi libri?
Ovviamente sì, anche se “disegnare” oggigiorno implica lavorare in Photoshop e pochissimo su carta. Però il disegno dei due “Paul McCartney” l’ho prima fatto a mano, poi digitalizzato. Devo dire che tutte le case editrici che ho avuto (Robin, Aereostella, Erga, David & Matthaus) mi hanno sempre lasciato mano libera sulle copertine, anche se ovviamente per ognuna presentavo diversi bozzetti fra cui scegliere. Pure l’impaginazione interna l’ho sempre eseguita in prima persona, magari seguendo le indicazioni di fondo dei vari editori. Ora che pubblico direttamente su Amazon KDP, poi, è obbligatorio fornire il .pdf completo, esterno e interno.
La musica è indubbiamente la tua più grande passione: oltre ai Beatles, sui quali hai scritto un libro (I Beatles nello spirito nel tempo. Come 4 persone divennero 4 personaggi, ed. David and Matthaus, 2016) chi sono i musicisti che prediligi? Sei tu stesso musicista?
Ho fatto in modo di inserire almeno un riferimento ai Beatles in tutti i libri, anche laddove questi non parlassero di rock o dei Beatles stessi. Beh, i Fab Four sono stati il primo amore musicale, e tuttora per me i più grandi insieme ai Jethro Tull. Le mie band favorite sono per lo più inglesi; oltre a quelle citate potrei indicare la “sacra trimurti” del progressive (King Crimson-Genesis-Yes), poi gli Who, i Pink Floyd, i Family, i Police. Fra gli americani, i Doors su tutti. Ma ce ne ho tanti di amori musicali, anche se sono abbastanza selettivo: ci sono pure molti artisti popolarissimi che non mi piacciono, o mi piacciono poco. Nel privato, ho suonato chitarra (per lo più ritmica) e batteria, conosco le basi della musica anche se non “leggo”, e ho composto molti brani in inglese (testo e musica) – alcuni in coppia con mio fratello – che eseguivamo pure “live” per amici, con la nostra band Imbarco Immediato. Mi sono occupato amatorialmente di programmazione (prima sequencer, MIDI e campionatori, poi software) realizzando arrangiamenti e registrazioni complete. Non è mai diventato un vero lavoro, solo una passione: mi ritengo comunque un dilettante, anche se con un certo talento, soprattutto sul versante compositivo. (Il professionismo musicale in casa Cartocci è compito della generazione successiva, mio figlio).Parlando del binomio musica-grafica, arriviamo ora all’argomento principale di cui il nostro sito si occupa: le copertine dei dischi. Quali sono le tue preferite e quelle che ritieni più significative nella storia della musica? Hai mai disegnato la cover di un album?
Parto dal fondo: solo uno, il CD “Second Awakening” della band “Fragment” di mio figlio. Per la cover abbiamo scelto di recuperare dei disegni B&N di mio fratello (anche per ricordarlo) e modificarli e colorarli. Il risultato è un po’ alla Roger Dean, ma, come diceva Woody Allen, “a qualcuno bisognerà pure ispirarsi, no?” . Di copertine meravigliose nel rock ce ne sono tantissime, le tre che preferisco in assoluto sono ovviamente “Sgt.Pepper’s” (anche per motivi sentimentali), “Ogden’s Nut Gone Flake” degli Small Faces (la famosa “copertina tonda”) e “Bandstand” dei Family, fustellata come una vecchia radio.
Ma ovviamente c’è tutta la produzione di Roger Dean, per gli Yes, Greenslade, Asia e cento altri… i suoi “mondi fittizi” sono affascinanti. Non si può dimenticare la Hipgnosis di Thorgerson, che ha creato un filone vero e proprio, immagini che sembrano digitali prima ancora che esistesse il digitale. E non posso non citare il primo LP in assoluto che comprai, “Revolver” col meraviglioso collage di Klaus Voorman che nel mio libro ho definito “Il Monte Rushmore del Rock” (eh, sì, ben prima dei Deep Purple, sorry Ritchie!) – (link alla recensione: https://www.artovercovers.com/2019/09/05/revolver-il-capolavoro-dei-beatles-tra-grafica-e-psichedelia-secondo-klaus-voormann/)
Domanda immancabile: quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Avendo ormai abbandonato la musica “attiva” (per tanti motivi, fra cui la perdita di mio fratello) mi dedico molto alla scrittura, che in alcuni momenti diventa un vero e proprio baluardo contro le brutture della vita; nel triste periodo del “lockdown”, mi ha aiutato molto, dedicarmi a delle trame di fantasia. Da inizio 2020 ho terminato un romanzo, iniziati da zero e terminati altri due, iniziato un altro ancora (e di idee ne ho a bizzeffe). Come diceva un personaggio cinematografico interpretato da Peter Falk, “quando piove merda, l’arte è l’ombrello migliore!” (ovviamente l’arte può avere la “A” maiuscola o minuscola, è l’atteggiamento creativo che vale). La mia speranza è di condividere questa “arte” con qualcuno, pochi o molti che siano (preferirei molti… ma bisogna accontentarsi di “buoni”!)

Ringraziamo Glauco Cartocci per questa interessantissima chiacchierata. Potete leggere tre recensioni dei suoi romanzi ai seguenti link:
“Una faccia dall’Antica Galleria”:
https://marynowhere.com/2021/09/22/the-doors-of-mystery-are-open/
“Com’era nero il vinile”: https://marynowhere.com/2021/06/24/delitti-a-33-giri/
“Solothurn, il dominio dell’Undici”: https://marynowhere.com/2021/07/07/il-potere-dell11-solothurn-di-glauco-cartocci/

Maria Macchia