Le póleis (sing. polis): antiche città-stato di cultura greca sorte successivamente al 1200 a.C., e poi propagatesi anche in forma di colonie autonome in numerose aree costiere mediterranee. In un elenco che volesse specificare quali tra questi centri fossero particolarmente legati ai miti classici, non potrebbe mancare Tebe di Beozia, cui fu dedicato un poema epico – la “Tebaide” di Antimaco di Colofone – già nel IV sec. a.C.. È poi certamente significativa Delfi per il suo oracolo, posto nel santuario di Apollo e presieduto dalla veggente Pizia; e si può menzionare senz’altro anche Micene, “ricca d’oro”, come la descrisse Omero.

E Cuma in Campania? Certo, anche solo perché la impreziosirono contemporaneamente tutte le straordinarie qualità delle tre città-stato nominate finora. E anche qualcun’altra in aggiunta.
Fu infatti esattamente a Cuma che il poeta latino Publio Virgilio Marone (70 a.C. – 19 a.C.) ambientò uno degli episodi più cruciali del suo poema epico “Eneide”: la discesa, da vivente, dell’eroe troiano Enea nell’Aldilà. Peraltro, il poeta assegnò al condottiero una guida tutt’altro che ordinaria attraverso i portenti dell’Oltretomba: la sibilla Deìfobe, una donna di origine semidivina. Nella fantasia di Virgilio questa figura femminile è di fatto una sacerdotessa divinatrice simile alla Pizia delfica che abbiamo citato in precedenza; e proprio come quest’ultima, anche Deìfobe presiede un santuario dedicato al dio Apollo, in questo caso situato sulla collina dell’acropoli cumana. Proprio questo secondo luogo sacro ci offre, da ultimo, buoni argomenti per supporre che la polis campana non avrebbe sfigurato davanti alla magnificenza di Micene narrata da Omero. Sempre Virgilio difatti descrisse il santuario cumano come un “tempio dorato” (Eneide, Libro VI, 13). Non solo: il poeta rimarcò anche un’ulteriore meraviglia che, come abbiamo anticipato, distinse Cuma dalle altre póleis per la sua unicità. Secondo l’autore dell’Eneide, infatti, il tempio dedicato ad Apollo fu innalzato nientemeno che da Dèdalo (Eneide, Libro VI, 19), leggendario architetto del labirinto di Creta e primo ideatore del volo umano. Genio versatile, questo personaggio avrebbe addirittura raffigurato sui battenti del santuario una serie di fatti mitologici di cui fu in gran parte protagonista.

Con quest’immagine si chiude l’omaggio di Virgilio a Cuma, ma non si tratta dell’unica celebrazione artistica della polis avvenuta nel corso del tempo. A questo riguardo, proprio nell’intervista di oggi avremo l’occasione di scoprire quello che è forse il più recente atto di ossequio creativo verso la città campana: il disco “Historia Cumae” pubblicato nel 2014 dalla one-man band I Miti Eterni. Lascio quindi senz’altro la parola all’autore di questo progetto musicale: Bruno Masulli, polistrumentista, autore di testi, mente e motore di numerose formazioni attive nella scena heavy metal italiana.
Un grande benvenuto su Art Over Covers, Bruno! Sei impegnato in tanti progetti legati all’heavy metal, variegati e multiformi sia da un punto di vista compositivo sia per le tematiche affrontate nei testi delle canzoni. Il tuo “animo artistico” ha quindi molte sfaccettature; ce le vuoi descrivere? Ci sono fonti di ispirazione che innescano in modo ricorrente la tua creatività?
Grazie a voi per l’invito e per questa solenne introduzione. I progetti che sto portando avanti da anni si sono creati da sé, in una moltitudine di idee ed ispirazioni. Col passare del tempo le idee si sono moltiplicate; e alcune tematiche a cui facevo riferimento, come l’introspezione, si sono alternate, con nuovi progetti, nuovi modi per me di comporre, a vicende ispirate dalla letteratura classica e dalla storia rivista in chiave romantica e rievocativa. Le mie fonti di ispirazione, tuttavia, sono molteplici, e spaziano in diversi campi e contesti.

Durante quest’intervista ci concentreremo specialmente sulla tua proposta musicale I Miti Eterni; vorrei però prima chiederti di presentarci tutte le altre band, o progetti solisti, in cui sei attivo…
Quanto tempo mi dai? (Scherzo!). Senza andare davvero troppo indietro nel tempo, le mie radici, riferendomi ai primi anni 90, erano piantate nel thrash metal. Nacquero gli Annihilationmancer e, qualche anno dopo, anche i Power Beyond. Questi erano gli ambiti in cui “bazzicavo”: thrash e power metal di scuola prettamente U.S.. Ma fu la passione per tutto il metal, nei suoi generi e sottogeneri, che mi portò ad ideare e fondare nuove bands, e a creare nuovi progetti. Amavo anche i Candlemass, e da lì venne la scintilla che mi spinse a scrivere dei brani doom. A parte le bands di cui ho fatto parte come session o come semplice membro, molti dei miei progetti sono prettamente da studio o in forma di one-man band, tra cui i Miti Eterni.

Raccontaci della tua peculiarità di adottare frequentemente lingue del passato, come il latino e il greco antico, per i nomi e per i testi di vari tuoi progetti. Una curiosità in particolare a questo proposito: qual è il significato e l’origine dei due titoli in latino “In Aevum Agere” e “Et Signvm Erat”?
Anche se non provengo da studi classici, ho sempre avuto simpatia per le lingue antiche. Si tratta di una cosa che comunque è cresciuta grazie anche alla passione per la letteratura classica e col passare degli anni, con l’esperienza musicale e la creazione di lavori ispirati a poemi come l’Iliade, proponendo i testi in versi, o con riferimenti storici. Come per l’appunto l’opera realizzata e pubblicata per I Miti Eterni. Per quanto riguarda gli In Aevum Agere, invece – un progetto che, ti dirò, era senza nome anche in piena registrazione della prima demo – m’indirizzai istintivamente sul latino. I nomi che proponevo in italiano, me li facevo tradurre da amici che provenivano da studi classici: traducendo, traducendo, In Aevum Agere, che significa “Vivere per sempre”, suonava bene e mi piacque. Et Signvm erat dovrebbe significare, letteralmente, “E fu il segno”. Questo è un progetto che era da anni chiuso in archivio; a suo tempo lo battezzai soltanto “Signum”. Quando lo tirai fuori dal baule, aggiunsi le altre due parole per renderlo più originale, mi accertai dell’esattezza del termine e registrai il primo ep.
Veniamo ora all’argomento principale di questo nostro incontro: la tua one-man band I Miti Eterni e il full-lenght “Historia Cumae” che hai pubblicato nel 2014. Puoi descriverci il percorso che ha portato a questo risultato? Quando e come è nata in te l’idea di omaggiare la polis di Cuma attraverso il tuo estro artistico?
È una lunga storia, e di lunga gestazione. Un periodo in cui varie esperienze musicali, tra cui quella di militare in bands power metal e progressive, fecero da elastico mentale per delle composizioni che mi vennero a getto continuo in seguito. Realizzai un intero lavoro ispirandomi al mito di Parthenope, anche perché ho sempre puntato all’originalità di un’argomentazione, con contenuti proposti in maniera del tutto personale e poco battuti. Molti si ispiravano ad Atlantide, agli dei del Valhalla, e io pensai: “Ma, scusate, abbiamo tanto di quel materiale storico a cui possiamo attingere, e perché dunque non proporre un concept sul mito di Parthenope e sulla storia di Napoli?”. Quando mi emancipai totalmente da queste realtà musicali, ne conservai col tempo le idee, le affinai… Quando ritenni fosse il momento opportuno per investire per un lavoro del genere, mi organizzai e nacquero I Miti Eterni.
Omero ed Esiodo, i primi poeti del mondo greco, risaltano esplicitamente tra le tue fonti di ispirazione. Si può affermare infatti che I Miti Eterni proietti le opere letterarie di questi due autori nella contemporaneità. Quindi, quali contenuti “antichi e moderni”, perciò appunto “eterni”, ti sei proposto di trasmettere per mezzo della tua musica e delle figure dell’antichità classica che attraversano le tue canzoni?
Ma, guarda: la sola cosa che mi proposi di attuare, quando tali idee prendevano sempre più forma, fu quella di internazionalizzare il più possibile e condividere con altre realtà i culti antichi, in assenza totale di sciocchi patriottismi che con la musica hanno poco a che fare. Ecco perché poi, d’istinto, scrissi i testi alternando italiano ed inglese: proprio perché così avrei incuriosito – pensavo – un maggior numero di persone. Ero comunque solo mosso dalla creatività e dall’indole narrativa, realizzando tali lavori solo per una condivisione culturale. Devo dire che, benché l’idea sia stata considerata ambiziosa e non di facile impatto, i riscontri sono stati molto positivi e ne sono contento.

Abbiamo visto i contenuti, il “nucleo” de “I Miti Eterni”; quanto è importante invece l’immagine per la musica della tua one-man band, Bruno? Mi riferisco, ad esempio, alle scenografie e ai costumi che possono essere adottati per i concerti dal vivo… Approfitto dell’occasione per chiederti anche quanto consideri importante l’immagine nella musica in generale oggigiorno.
Beh, essendo una one-man band, e prettamente un progetto da studio, le infinite immaginazioni che mi portano spontaneamente alla realizzazione di spettacoli con tanto di scenografia inclusa rimangono fantasie. In genere, non sono molto amante di scenografie esasperate e dell’allestimento teatrale per forza. Anche perché, di un concerto musicale, e in particolar modo di un evento metal, io bado al sodo e all’essenziale: mi basta essere messo in condizioni di fare un buon concerto dal vivo con le sole mie forze. Ma in questo caso, quando le tematiche affrontate sono di rievocazione storica e legate alla letteratura, trovo sia importante una scenografia folcloristica, sobria e non eccessivamente sontuosa, per arricchire davvero lo spettacolo.

Sempre a proposito di immagini… La figura di copertina di “Historia Cumae” è perfettamente coerente con l’atmosfera legata all’epica classica delle tue composizioni. Nello specifico, mi sembra che l’artwork riprenda lo stile “a figure rosse” adottato nella pittura vascolare ateniese a partire dal 530 a.C.. Spiegaci come è nata l’idea di questa illustrazione, e svelaci il soggetto ritratto…
È la rappresentazione della leggenda di Apollo e della sibilla cumana. La sibilla cumana si concesse ad Apollo, che l’amava, in cambio della longevità. Ma ella si dimenticò di chiedere la giovinezza, e dunque visse a lungo ma invecchiando fino a dissolversi.
La tecnica pittorica “a figure rosse”… Questo argomento mi suggerisce una domanda “di curiosità”: hai un colore preferito, o che pensi sia il più adatto da accostare alla tua interpretazione della musica?
No, non ho un colore preferito in ambito musicale, né ce ne sono di specifici negli artwork dei miei vari progetti e bands, ad eccezione di qualche “mascotte” o concetto, come nei lavori dei Power Beyond. Ma la scelta dei colori nelle copertine dei miei dischi è del tutto casuale, e in base, soprattutto, allo stile dei disegnatori.

Parlando ancora di copertine: ti è mai capitato di acquistare un disco solo perché l’immagine della cover ti avesse particolarmente affascinato? Se sì, quale, o quali?
Francamente no. Ho sempre comperato dischi di bands e di artisti dei quali ero fan in base a quello che suonavano. Se poi capitava che anche la copertina del disco risultasse interessante, od anche oggettivamente bella, tanto di guadagnato. Ma ero attratto comunque dal nome di una band e dalla sua proposta musicale, anche perché, benché possa essere talvolta un valore aggiunto, non è l’artwork che fa il disco bensì la musica.

Quali sono state finora, secondo te, le copertine migliori realizzate nel mondo della musica?
Beh, nel mondo della musica, non so risponderti. Posso dirti che da bambino, per esempio, mi piacevano le copertine dei dischi di Santana. In ambito metal è chiaro che dei capolavori sono stati realizzati per i dischi degli Iron Maiden, oppure che la copertina di “Rust in Peace” o di “Countdown to Extinction” dei Megadeth siano eccezionali. Lo stesso discorso vale del resto per le copertine di “Symbolic” o di “The Sound of Perseverance” dei Death: quello stile, lo trovo eccezionale.
Puoi citare un illustratore, un fotografo, o più in generale un artista particolarmente significativo per te?
Non sono molto ferrato in fotografia e illustratori: non è il mio campo, ripeto. Credo che per quanto concerne le illustrazioni di un disco, Derek Riggs sia uno dei migliori. Per quanto riguarda la pittura, mi piacciono molto gli incisori e i pittori dell’Ottocento; tanto più che per alcune copertine degli In Aevum Agere trovai perfetti e particolarmente significativi i quadri di Antonio Fontanesi.
Per l’ep degli Et Signvm Erat ho utilizzato un quadro di un mio zio da parte di madre, dello stesso stile più o meno: paesaggi e panorami. Si chiamava Antonio Russo. Tra i grandi cesellatori italiani posso addirittura citarti Pietro Masulli: un mio avo (il bisnonno di mio nonno paterno). La sua espressione mi piace molto, alcune sue opere sono “sparse” per Napoli. E non escludo assolutamente di utilizzarne qualcuna per l’artwork di miei lavori.
Una domanda “ipotetica” calata nell’epos che sovrasta la tua musica e i luoghi che la ispirano, Bruno… Capo Miseno, situato a pochi chilometri da Cuma, prende il suo nome, secondo Virgilio, da un guerriero famoso per essere stato il trombettiere dell’esercito troiano. In un certo senso sei un “discendente artistico” di Miseno; se egli potesse rivivere nei giorni nostri, lo accoglieresti ne I Miti Eterni per dare un’identità ancora più unica alla tua musica?
Ma pensa che, all’epoca, in quel periodo intenso di creazioni e di composizioni per questo progetto nascente, Miseno apparve nella lista dei brani da comporre insieme ad altri lavori, che per ora sono archiviati. Idee che sfociarono in un concept proprio sui Campi Flegrei, per ora conservato.

Se tu potessi scegliere, quale tra i protagonisti dei grandi poemi classici vorresti che recitasse un prologos nel prossimo full-lenght de I Miti Eterni? Ulisse, lo spregiudicato indagatore dal multiforme ingegno? Il ligio Enea? L’indomito ma disperato Aiace Telamonio?
Ulisse è senz’altro il personaggio che, tra l’Iliade e l’Odissea, ha suscitato in me molto interesse e curiosità; ed un brano è dedicato a lui proprio in una pre-produzione ispirata all’Iliade. Aiace Telamonio, lo cito nel brano “Ettore Parte I” del disco “Historia Cumae”, sempre riferito all’Iliade. Ma credo che sia Ulisse che Enea siano potenzialmente perfetti per un’invocazione del tipo da te accennato.

Siamo arrivati purtroppo alla conclusione dell’intervista. Ti ringrazio, Bruno, per la tua disponibilità ad accompagnarci in questo viaggio tra Cuma e l’Olimpo! Prego: a te le righe finali con piena libertà di espressione…
Ringrazio voi per l’opportunità e per le bellissime domande. Sperando che tempi sempre migliori possano farci realizzare i nostri sogni e appagare le nostre aspettative, saluto te, la redazione di Art Over Covers  e tutti i vostri lettori.