Anno d’uscita: 2014
Regia: Paolo Virzì
“Il capitale umano” è un film di Paolo Virzì del 2014 che, a riguardarlo oggi, è terribilmente attuale. Come per i precedenti lungometraggi, “Tutta la vita davanti” (2008) – e “Tutti i santi giorni” (2012), entrambi ispirati a romanzi, il regista livornese non si è sottratto alla scelta di trasporre in immagini il romanzo “Human Capital” del giornalista e scrittore americano Stephen Amidon. Rispetto al romanzo, Virzì (che scrive questo film con Francesco Bruni e Francesco Piccolo) sposta la storia dal Connecticut alla Lombardia, e la colloca in Brianza, scegliendo non soltanto un paesaggio inconsueto e invernale, quanto una delle zone più ricche e produttive del Paese, proprio perché il film è incentrato sul lavoro frenetico, sul valore dei soldi e della ricchezza ad ogni costo.
La vicenda in sé non è particolarmente avvincente: nella notte della vigilia di Natale un ciclista, Fabrizio Lupi, padre di famiglia e cameriere, tornando da lavoro in bicicletta, viene investito da un SUV. Avvincente è il modo in cui procede la narrazione: per accumulo. La storia è divisa in quattro capitoli che raccontano la stessa vicenda di volta in volta narrata dal punto di vista di uno dei personaggi chiave.
Una tale struttura a spirale, ad ogni giro aggiunge particolari e mette a fuoco con maggior precisione la psicologia dei personaggi e le dinamiche con cui si è intrecciata la storia. Occorre pertanto attendere la fine per scoprire la verità: nel quarto e ultimo capitolo, il regista tira finalmente le fila delle “diverse storie” e racconta i fatti come sono accaduti, rivelando la verità sull’incidente.
Molto interessante la locandina, e quanto mai attuale, visto il periodo che stiamo vivendo e le numerose discussioni suscitate sul valore delle vite. Colpisce il simbolo grafico del codice a barre: sappiamo che tale codice serve a identificare un prodotto nella sua natura di merce. È un codice che memorizza il prezzo di un prodotto.
Interessante dunque che proprio la scritta “Il capitale umano” sia incorniciata in un codice a barre: vuole forse significare che tutti i personaggi messi in posa vivono sotto il segno delle merci, e che tutti hanno un prezzo e un valore di scambio?
Probabilmente è così. Anche perché pure il titolo del film va nella medesima direzione: “Il capitale umano” è un concetto economico ed equivale essenzialmente al Valore economico di una vita: è una cifra. Quanto valiamo. Quanto produciamo. Quanto potenziale abbiamo.
Nel gergo delle compagnie di assicurazione, il capitale umano è il valore del risarcimento che va riconosciuto ai familiari di una persona deceduta per un incidente, e va calcolato tenendo presente una serie di variabili che vanno dalla prospettiva di vita, alla presunzione del possibile guadagno che il defunto avrebbe potuto accumulare nella sua vita lavorativa, via via fino alla quantità e qualità della rete di relazioni su cui poteva contare.
Tutto questo si traduce in una cifra monetaria. Un calcolo spietato, perché stabilisce quanto vale la vita di una persona. Non a caso l’antefatto del film è un incidente. La vittima è un cameriere che di notte torna dal lavoro in bicicletta. E viene investito da una macchina di grossa cilindrata. Al termine della pellicola viene dimostrato che la vita di quel giovane cameriere investito da un’auto pirata vale 218.976,00 Euro.
Tutti in posa dunque, come merce, il ritratto di famiglia sul manifesto parla chiaro: nessuno si può dire innocente: tutti mentono col ghigno di chi agisce perseguendo il proprio interesse. Tutti fingono di non vedere, si voltano dall’altra parte e ne traggono vantaggi.
Conosciamo meglio i protagonisti in posa: due famiglie contrapposte che si incrociano: quella ricchissima di Giovanni Bernaschi, a destra e la più modesta di Dino Ossola, a sinistra.
Giovanni Bernaschi interpretato da Fabrizio Gifuni è un finanziere ambizioso e senza scrupoli, che mette il denaro in cima alla propria scala di valori. Non ha tempo per il figlio, né per la moglie Carla Bernaschi, (Valeria Bruni Tedeschi) che è una donna sofferente e incapace di stare nella realtà del suo finto mondo dorato. Ha un’aria sempre un po’ tra le nuvole, come se la sua vita non le appartenesse, ci si trovasse dentro per caso, e in effetti è proprio così, Carla è una donna colta, sensibile, idealista e per questo in parte fuori posto nel mondo materialista dominato dalle logiche della finanza e del capitale. A conti fatti però non riesce a rinunciare alla prigione dorata che si è costruita barattando le proprie aspirazioni con la sicurezza di far parte di una classe sociale di successo.
Fabrizio Bentivoglio interpreta Dino Ossola, un ingenuo agente immobiliare, aspirante scalatore sociale ma votato al fallimento. Dino viene in qualche modo contenuto e misurato dalla calma della moglie Roberta, (Valeria Golino), una donna sensibile che si occupa di dipendenze e che è forse il personaggio più “normale” del gruppo, la “psicologa” che però sembra non accorgersi di ciò che le accade intorno, forse presa dall’imminente gravidanza gemellare.
A unire le due famiglie è il fidanzamento, peraltro in crisi, tra Massimiliano Bernaschi (Guglielmo Pinelli), rampollo viziato e immaturo, e Serena Ossola (Matilde Gioli), figlia diciottenne di Dino. Massimiliano è un ragazzo insicuro ed esasperato dal padre, demotivato a conquistarsi la posizione che gli è comunque già riservata per diritto di nascita.
Serena figlia del precedente matrimonio del padre è stanca di frequentare la gioventù “bene” e preferirà a Massimiliano un ragazzo con mille problemi, Luca (Giovanni Anzaldo). Luca è un ragazzo creativo, ha talento artistico ma una vita sfortunata, vittima anche di uno zio tossicodipendente che lo sfrutta. Serena è un personaggio travagliato, che vive due realtà: prima ama Massimiliano (fingendo), per poi rendersi conto di preferire a lui Luca, più semplice, ma vero.
In qualche modo Serena è l’unico personaggio a compiere una vera evoluzione: si mette in discussione e alla fine preferisce la verità dei suoi sentimenti alle apparenze. A ben guardare, Serena è l’unica persona seduta nella Locandina, diversamente dagli altri che stanno in piedi alle sue spalle.
“Il capitale umano” è un film che ti tiene incollato allo schermo, non soltanto per lo stile della narrazione ma per la forte carica emotiva di ogni singolo personaggio. Lo sguardo dello spettatore coglie tra le pieghe della storia una crisi, che è morale, ancor prima che economica. Meritatissimo il David di Donatello come miglior film del 2014.
Una piccola curiosità: gli sceneggiatori (Francesco Bruni e Francesco Piccolo) hanno ammesso di essere stati ispirati nel riadattamento da American Beauty (1999), di Sam Mendes. Le insicurezze, l’apatia e la fragilità dei personaggi centrali è la medesima. La colonna sonora è quasi identica – nello stile e nell’atmosfera – a quella di Thomas Newman. Ricordiamo poi che successivamente all’adattamento del 2013 ad opera di Virzì, il romanzo di Amidon “The Human Capital” ha avuto il suo remake a stelle e strisce nel 2019.
L’adattamento è stato scritto da Oren Movermanper e la regia è ad opera di Marc Meyers. Le riprese hanno avuto luogo in questo caso a New York e i protagonisti sono stati Liev Schreiber, Marisa Tomei e Peter Sarsgaard.
Sara Riccio