Anno d’uscita: 1985
Sito web: https://www.motley.com/
La scalata al successo dei Mötley Crüe, nel 1984, subisce una terribile battuta d’arresto: in un incidente stradale causato da Vince Neil perde la vita Razzle, batterista della band svedese Hanoi Rocks. Tra riabilitazione e un breve periodo di carcere, solo l’intervento dei legali della Elektra Records, capitanati dal loro manager Doc McGhee, salva la band dal fallimento.
Il gruppo era già ai ferri corti, il loro stile di vita dedito ad eccessi stava cominciando a portare i suoi frutti della distruzione, dopo soli due album all’attivo i quattro erano a corto di idee per un nuovo album e l’incidente di Vince Neil fece luce, per la prima volta, a dissapori interni.

Nikki Sixx, molti anni dopo dirà: «Eravamo solo stati più fortunati di lui, quell’incidente sarebbe potuto capitare ad ognuno di noi, eppure eravamo incazzati con lui. Non gli parlavamo ed il nostro silenzio sembrava dare a lui la colpa di tutto».

“La colpa di tutto” è il periodo di crisi creativa che colpì i Crüe alla vigilia del loro ingresso in studio per la registrazione del loro terzo album, “Entertainment or Death”. Vince Neil non era che un pezzo del complicato puzzle che Doc McGhee cercò di ricomporre, più per mere esigenze commerciali che per un fattore umano.
Mick Mars non apprezzava il nuovo materiale, a suo dire scadente, polemizzò sulla produzione per il suono di chitarra ottenuto e parecchi anni dopo dirà: «Preferisco le demo del prodotto finito».

La band si ritrovò costretta a dover pescare dal materiale di scarto del precedente “Shout at the Devil” per completare il nuovo album. “Save Our Souls”, “Louder Than Hell”, “Tonight (We Need a Lover)” nonostante il differente mixaggio suonano a tutti gli effetti come materiale del precedente lavoro. E il resto?. In linea con quanto stava uscendo in quel periodo, quando cioè il Glam Metal uscì definitivamente allo scoperto grazie al fenomeno di massa MTV, distaccandosi non senza dissapori dal resto della scena Metal, con gli alfieri Metallica, Megadeth e Slayer (per citarne alcuni) contrapposti a loro.

Il cambiamento appare evidente soprattutto nella copertina, due maschere contrapposte, una sorridente ed una triste su sfondo a dissolvenza da viola ad arancione, quasi ad indicare lo status della band in quel periodo. Il dover essere cioè nel carrozzone del divertimento Rock ‘n Roll, recitando una spensieratezza che nei fatti non esisteva: Vince Neil aveva un morto sulla coscienza, Nikki Sixx stava cominciando a comprendere di essere dipendente dalle droghe, più o meno lo stesso anche Tommy Lee e Mick Mars, con quest’ultimo alle prese anche con una malattia degenerativa, il tumore alle ossa.

Il simbolo delle maschere nell’arte del teatro ha una storia molto antica e il loro utilizzo risale ai tempi del teatro greco. La loro funzione era quella di evidenziare il carattere del personaggio con la sua emotività scenica fare in modo che potesse essere visibile e riconoscibile anche da lunghe distanze.
La commedia che si contrappone alla tragedia, la maschera gioiosa che simboleggia gli eccessi, la spensieratezza e il menefreghismo degli inizi, in cui l’atteggiamento da Rock Star strafottente la faceva da padrone. La “facciata” che rappresenta l’irresponsabilità, con la sua esagerazione e ostentazione di uno stile di vita lontano, anzi lontanissimo dai canoni regolari, senza pensare al brivido dell’imprevedibile che non fa sconti a nessuno e che torna prima o poi per una resa dei conti. Il pericolo è in agguato e porterà una ventata di sgomento. La maschera della malinconia è lì accanto per disilludere il patinato mondo delle loro certezze. Più avanti Vince Neil sarà di nuovo coinvolto emotivamente per la tristissima morte della propria figlia piccola.

A colpire di più infatti è proprio quella maschera triste, con un pentagramma sulla fronte ed una lacrima di sangue. Curiosando sulle foto del tour di “Shout at the Devil”, inevitabilmente l’occhio trova similitudini con Vince Neil. Sembra proprio che la maschera triste sia stata concepita da David Willardson basandosi su di lui, con la lacrima di sangue che si riferisca alla comprensibile tristezza per l’amico morto in quell’incidente, il povero Razzle (a cui la band dedicherà l’album in sua memoria). Sul retro della copertina la band sfoggia il nuovo look, appariscente, licenziando anche nella immagine la loro venatura Metal, come se non volesse mostrare la sconfitta emotiva, ma anzi volesse comunque far evincere quella sfrontatezza caratteriale mostrata nel loro background degli esordi.
Il disco, ribattezzato all’ultimo come “Theatre of Pain”, vendette milioni di copie, trascinato dal loro primo singolo di successo, la ballad “Home Sweet Home”. Sorte positiva ebbe anche la relativa tourné di supporto al disco, nonostante gli eccessi di droga ed alcol continuassero senza sosta.

Nel 2020 è un disco che consiglieresti?. Sì e no. Sì, perché è un lavoro che riflette appieno il Glam Metal di metà anni’80. No, perché obbiettivamente parlando, nel disco si sente che la band non stesse in buona salute artistica. Il fatto che Mars preferisca le demo al disco finito, che la band stessa dopo il tour non abbia più proposto altro materiale a parte “Home Sweet Home” e “Smoking in the Boys Room” (che tra l’altro è una cover dei Brownsville Station) fa riflettere. È stato un disco fatto in fretta e furia, con poca cura dei dettagli, un ottimo rappresentante della “Los Angeles da Bere” famosa negli anni’80, ma nulla più di questo.

Un disco però che segna il punto di svolta dei Mötley Crüe, dove il connubio “tragedia-commedia” finirà per essere il punto focale della loro successiva produzione.

“Entertainment or Death” è stato comunque riciclato dalla band nel 1999: è il titolo di un doppio disco antologico dal vivo, uscito poco dopo il primo addio da parte di Tommy Lee per dedicarsi al suo progetto Rap-New Metal, i Methods of Mayhem. Ma questa è un’altra storia.
Francesco I.

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