La nostra intervista di oggi ci conduce a Grosseto, nella collezione di David Bardelli. I suoi vinili spaziano dal punk al jazz, con una grande predilezione per il movimento skinhead e la intellettualità “british”: due passioni che sono diventate una vera e propria attività con l’apertura del suo “Rudeness Streetwear” che non è solo un negozio ma un centro nevralgico di stile e tendenze dei generis.
Ciao David, benvenuto su Art Over Covers, quando e perché hai iniziato a collezionare dischi?
Allora, mio padre è da sempre un grande appassionato di jazz, quindi i dischi in casa mia non sono mai mancati. Ma è stato verso i 13/14 anni che ho cominciato a trovare la mia via diciamo, comprando un disco che ha dato poi il via a tutti i miei acquisti futuri: “London Calling” dei Clash, che non è solo un disco punk, ma dentro ci trovi r&b, ska, reggae, rockabilly, jazz… Premesso che i Clash sono il mio gruppo preferito, da lì in poi mi appassionai di punk rock, ma a Grosseto non potevo trovare chissà che. Ebbi occasione di fare molti viaggi a Torino, dove stava un mio cugino, anche lui collezionista, che mi portò da Rock & Folk, negozio stratosferico, dove trovavi di tutto e soprattutto stampe di etichette indipendenti. Nel 1991 comprai “Faccia a Faccia” dei nostrani Klasse Kriminale, gruppo punk/Oi! di Savona, disco che per me è stato fondamentale dato mi ha introdotto allo skinheaddismo, quindi a scoprire anche generi per me nuovi come ska, reggae, soul… Quindi diciamo che da qui viaggi a Torino è iniziata la mia vera passione per il vinile che a quanto pare non accenna a diminuire, anzi…
Quanti dischi possiedi e come è composta la tua collezione?
La mia collezione è composta da circa 6000 pezzi tra lp, cd, 45 giri (senza contare poi tutti i libri, le fanzine, i video o dvd) che chiaramente occupa un’intera stanza della mia casa. Come ogni collezionista ho suddiviso gli lp (ma anche un bel po’ di cd) per generi e ogni genere per ordine alfabetico: da una parte la musica “bianca” per così dire, ovvero punk rock, hardcore/punk, oi!, psychobilly, mod rock, beat e roba ’60s varia, brit pop, wave e post-punk, glam, garage, psichedelia etc. e dall’altra la musica “nera” come ska, reggae, rocksteady, r&b, soul, northern soul, funk, modern jazz. Diciamo che la collezione è pesantemente sbilanciata verso i generi punk e oI! da una parte e roba jamaicana dall’altra, ma anche tanto soul (generi che non possono mai mancare in casa di uno skinhead original).
Qual è il primo disco che hai acquistato?
Comprai due dischi per la verità, insieme: “Love You Live” degli Stones, e uno di Dylan che giuro non ricordo il nome, era un album dei ’70s che non mi piacque però… Ma subito dopo presi “Cut The Crap” dei Clash (non certo il più bello lo so), che era il loro ultimo in studio senza Jones, per poi passare a tutti gli altri che mi aprirono la strada al punk rock.
Hai degli artisti preferiti dei quali possiedi molti dischi?
Sì, ho dei gruppi su cui mi sono soffermato maggiormente, tra tutti i Clash, che oltre alla discografia ufficiale, possiedo molti bootleg di ottima fattura dove ho trovato un sacco di brani inediti. Inoltre se un gruppo mi piace tendo a fare la discografia completa, per citarne alcuni in ordine e generi sparsi: Agnostic Front, Sick Of It All, The Business, Laurel Aitken, Small Faces, The Kinks, Motorhead, 7 Seconds, David Bowie, Desmond Dekker, Klasse Kriminale, The Exploited, Dropkick Murphys, Rancid e la lista credimi sarebbe infinita.
Tra i tuoi dischi c’è una copertina che prediligi artisticamente?
Come sai la copertina è molto importante per gli lp e in certi generi nulla era lasciato al caso, vere e proprie opere d’arte a volte, soprattutto nel punk, ma anche in molti album degli anni ’60. Ci sono moltissime copertine che mi piacciono e sceglierne una è quasi impossibile, ma se proprio devo una a cui sono molto legato (e che mi piace anche chiaramente) è l’omonimo dei Clash. I motivi sono vari e cercando di non essere troppo prolisso ti dico un paio di cose: sul fronte ci sono Mick, Joe e Paul (il batterista era in forse, infatti cambiò subito) che in futuro divennero i miei eroi, ottima la scelta del verde e del nero con il logo in contrasto, minimale ma efficace. Il bello però viene nel retro, dove si vede in primo piano un giovane Don Lettes, jamaicano, rasta punk della prima ora, videomaker e produttore, dj, membro dei futuri Big Audio Dynamite insieme a Mick Jones, profondo conoscitore delle sottoculture inglesi punk e skinhead su tutte, sullo sfondo invece gli scontri tra jamaicani e polizia in occasione del carnevale di Notthing Hill. E proprio questi scontri scaturirono l’idea del pezzo “White Riot”, perchè i Clash ammiravano i jamaicani e cercavano di spronare i giovani della working class a fare come loro, a ribellarsi anche con la forza per i propri diritti. Pensa, alcuni gruppi di destra fraintesero questa cosa, dico io, ma come si fa?
Che importanza ha per te la copertina di un disco? Pensi che sia un elemento fondamentale per un disco avere una immagine accattivante?
La copertina sì, è importante, ma non userei l’aggettivo “accattivante”, semmai una copertina deve essere esplicativa, ovvero riflettere in toto quello che c’è su disco. A volte una copertina può già dire qualcosa, può far riflettere (vedi le copertine dei dischi dei Dead Kennedys compresi i collage interni di Winston Smith, veri e propri attacchi al potere!) o mandare un messaggio. A volte invece sono semplicemente belle (a volte no!), altre ti fanno capire subito di che genere stiamo parlando. Oggi nel pop ad esempio si è perso proprio il gusto nel fare buone copertine, nessuno ci investe più di tanto, mentre una volta era diverso. Non capisco perché, anche nel genere “popular”, non ci debbano essere ottime copertine e grafici pagati per questo, le trovo tutte uguali, insulse e inutili. Nel punk rock ad esempio, di ieri e di oggi, c’è gente che si è sempre sbizzarrita nelle copertine, alcune passate proprio alla storia, mi viene in mente il primo dei Sex Pistols, “GI” dei Germs, “Road To Ruin” e “Rocket To Russia” dei Ramones, tutte quelle dei Dead Kennedys…
Hai anche qualche oggetto memorabilia che completa la tua collezione?
Non sono mai stato dietro alla memorabilia, ho sempre preferito spendere i miei risparmi nei vinili, posso dire che però tra casa e negozio ho diversi manifesti di concerti o raduni a cui ho partecipato, oltre a centinaia di spille dei gruppi che prendevo ai banchetti dai primi ’90 fino ai primi ’00.
C’è un pezzo che stai cercando da tanto che brami ancora di reperire? O se ne hai uno che hai faticato moltissimo a trovare…
Allora, essendo anche dj e mettendo solo vinile in 45 giri alle serate, di brani che cerco ce ne sarebbero diversi. Nei miei dj set metto quasi esclusivamente musica nera e ti dico che nel soul molti prezzi sono a dir poco proibitivi e più il singolo è raro e più costa (“Do I Love You” di Jackie Wilson su Motown prima stampa ha raggiunto in asta più di 20 mila sterline!!!). Un brano che cerco da mettere alle mie serate che non ho è “Skinhead a Bash Them” di Claudette & The Corporation, brano di puro skinhead reggae, ancora troppo proibitivo per le mie tasche e di non facile reperibilità. Ma finché c’è vita… Metto dischi alle serate dal ’94 mi pare, sono circa 25 anni e credimi ogni singolo pezzo nelle mie valigette me lo sono sudato! Aste che finivano alle 3 di notte, quindi mettevo la sveglia sempre mezz’ora prima per essere pronto, oppure aste vinte all’ultimo secondo lottando fino all’ultimo euro con altri utenti (e prezzi arrivati alle stelle!). Quindi ho faticato molto per avere centinaia di singoli che adesso riempiono i miei dj set, anni di ricerche, anni passati ad ascoltare lp a casa per poi cercare il 45 giri da suonare in giro. Ecco perché odio chi fa il dj con mp3, pc o altro, per me il dj è solo quello che mette un disco dietro all’altro, uno che non ha playlist nel pc, ma uno che col tempo si è costruito una sua scaletta con i propri gusti, investendo tempo, denaro e fatica. Ho 45 giri anche da 400 sterline, è brutto vedere qualcuno che si scarica il pezzo magari sentito alla mia serata per poi suonarlo alla sua, è un furto in piena regola! Non so se mi sono spiegato….
Sappiamo che hai un negozio di dischi (e abbigliamento, giusto?), questa attività è nata prima o dopo aver iniziato la tua collezione? Come è organizzato il tuo negozio? Vendi anche vinili e dischi “vintage”?
Sì, ho un negozio a Grosseto, si chiama Rudeness Streetwear & Record Shop. È stato aperto nel 2004, adesso festeggio il 15° anniversario, ma avevo già iniziato da molti anni a comprare dischi, diciamo che il negozio è stata una logica conseguenza (prima lavoravo con mio padre in un bar). Tratto abbigliamento britannico d’importazione e ho un angolo dove vendo dischi, ma l’attività prevalente rimane l’abbigliamento. Diciamo che la musica che vendo è collegata al tipo di vestiti che trovate in negozio, come dico io Clothes & Records For Mods, Skins & Punks! Quindi in quel piccolo angolo trovate lp, cd e 45 giri (a volte anche libri e fanzine) della musica che io ho sempre ascoltato, in prevalenza punk, musica jamaicana e tutto il mondo mod (anche se ultimamente tra crisi, Amazon e centri commerciali mi sono un po’ ridimensionato). Il negozio comunque è stato per anni come una mecca per la scena italiana, venivano skinheads da tutta Italia a comprare da me, sono stato il primo in Italia a unire abbigliamento e dischi, come il primo ad avere un e-commerce dedicato solo a questi generi. Ma oggi la concorrenza con Amazon diciamo che non è molto leale, prima i miei concorrenti erano piccoli negozi come il mio sparsi per lo stivale oggi sono le multinazionali. Ma sono fiero di quello che ho fatto, molti negozi hanno aperto dopo aver visto il mio store, molti ragazzi entravano frikkettoni e dopo un po’ li ritrovavo punk o skinhead. Sò soddisfazioni!
Organizzi anche serate per la diffusione della musica nera e ’60s (ska, reggae, r&b, soul, mod, ’60s british beat, modern jazz, funk, boogaloo, latin etc.) hai un calendario con i prossimi appuntamenti? C’è una pagina social da poter seguire?
Come dicevo nelle domande precedenti sono anche un dj di lunga data e quindi partecipo o organizzo serate. Al momento non ho una pagina dedicata esclusivamente a questa cosa (ne seguo già troppe) ma sul mio profilo Facebook personale metto tutti gli eventi a cui partecipo, che siano concerti, semplici dj set, raduni scooter (Vespa e Lambretta, perché sì, da buon skinhead che si rispetti ho anche una Lambretta!). Quindi seguitemi su Facebook, Bardelli David, e troverete tutte le info.
Mi hai raccontato che hai tenuto lezioni alle scuole superiori sulle sottoculture inglesi. Di cosa si tratta esattamente? Se qualche scuola ti volesse contattare dove potrebbe trovarti?
Ho tenuto ben quattro lezioni alle scuole superiori con indirizzo musicale, grafico pubblicitario e artistico. L’idea venne a me e a due professori che conosco. Dato l’indirizzo scolastico di questi ragazzi ci sembrò bello far conoscere tramite film e dischi la storia delle sottoculture inglesi: nella lezione quindi c’era di tutto, la musica, la grafica dei dischi, film ma anche libri, riviste e fanzine, generi che normalmente non vengono trattati nelle normali lezioni. Io facevo così: un’anteprima dove spiegavo di cosa si trattava la lezione, dopodiché c’era la visione di un film di genere come “This Is England” o “Quadrophenia” e dopo una lezione sulle sottoculture inglesi dalla loro nascita fino ai giorni nostri, il tutto spiegato facendo vedere i dischi e spiegando che tipo di musica ascoltassero, ma anche che tipo di abbigliamento veniva usato e perché. L’ultima lezione che ho fatto, durata circa 4 ore, l’ho tenuta nell’aula magna di questo istituto con circa 130 persone! E credetemi, circa il 90% non sapevano minimamente dell’esistenza di certe cose. Strano? Mica tanto, se la cultura pop in Italia è quella che è sotto l’occhio di tutti, una generazione di giovani non per colpa loro, lobotomizzati da tv e radio, pubblicità e social usati in modo secondo me troppo eccessivo. Ho cercato di far capire loro che esiste altro, che fuori dai social c’è la possibilità di essere qualcuno e di vivere la vita, e la musica, non solo da spettatore, ma da protagonista. Se una cosa il punk me l’ha insegnata è che chi sta sopra al palco è uguale a chi sta sotto. Quindi, suonate, bastano 2 accordi, fatevi i vostri dischi stampatevi le t-shirt, scrivete le vostre fanzine e vedrete che sarete parte di qualcosa di non corruttibile! Dico punk, ma potrei dire anche Mod o Skinhead.
Sei veramente una persona poliedrica e piena di interessi, e non manca anche il campo letterario; puoi raccontarci le tue collaborazioni editoriali? Come quella per il libro di Flavio Frezza sulla scena skinhead antirazzista.
Un mio caro amico, Flavio Frezza, vecchio skinhead del viterbese, mi contattò dicendomi che voleva scrivere un libro intervistando skinhead ed ex-skinhead della scena italiana anti-razzista. L’idea mi piacque subito, anche perché era un modo di mettere dei puntini sulle I, fare chiarezza insomma su un movimento fin troppo bistrattato e frainteso da media, tv e gente comune. Quindi Flavio venne in negozio con un registratore e mi fece molte domande, partendo da esperienze personali, musica, abbigliamento e politica. Il libro, edito da Hellnation Libri, è venuto fuori perfetto oserei dire, le testimonianze sono tutte fondamentali, vi consiglio di leggerlo. Inoltre sono stato uno dei pochi ad essere fotografato, a piena pagina, proprio insieme alla mia collezione di dischi! Dopo questa esperienza c’è un altro libro che vorrei segnalare, un photobook, “Come rondini in gabbia”, sempre su questa scena. Stavolta solo foto, con una piccola didascalia sotto, edito sempre da Hellnation Libri, dove stavolta sono stato fotografato dentro il mio negozio. Inoltre ogni tanto scrivo e faccio interviste per diverse fanzine sparse nello stivale, sia sulla scena punk che skinhead. Cito una delle migliori, “Ieri Come Oggi”, dei Trojan Skinheads Brescia.
Lascio a te la conclusione per poter dire qualcosa che non è ancora stato detto!
Concludo ringraziandoti per la bella intervista, ce ne fossero! Inoltre volevo ribadire, parlando di musica, l’importanza del supporto fisico, che sia esso lp o cd (meglio sempre il vinile comunque!), perché? I motivi sono tanti, a partire dalla qualità audio, alla bellezza e l’importanza delle copertine e dei credits interni, al fatto che se un gruppo o un artista vi piace è importante supportarlo, soprattutto se si parla di musica underground, e ultimo ma non meno importante il fatto che un disco è per sempre! Chi scarica, chi compra file, in mano alla fine non ha nulla! Inoltre quando hai un lp davanti, questo supporto ti “costringe” all’ascolto, metterti seduto e comodo, aspettare per girare lato, nel frattempo puoi leggerti testi e credits, guardare la copertina e eventuali flyers interni. Insomma, in questo modo l’album ti rimane in testa, comprendi bene il periodo in cui è stato registrato, chi ci suona dentro etc. Inoltre spesso io ho scoperto gruppi proprio per i ringraziamenti che facevano i gruppi nei credits e capivo come a volte certe scene erano collegate tra loro. Negli album degli Agnostic Front venivano ringraziati molti gruppi thrash metal e viceversa! Se prendi “Among The Living” degli Anthrax, dentro vengono ringraziati gli Agnostic Front e altri gruppi HC. Questo è solo un esempio ma è divertente e utile guardare i credits interni ai dischi, l’ho sempre fatto. In alcuni dischi ska o punk Italiani spesso vengo ringraziato anche io, o semplicemente salutato, vedi Statuto, Los Fastidios, Klasse Kriminale etc. Ah, un’ultima cosa prima dei saluti, ma questa è una cosa mia che ho sempre un po’ detestato, a torto o a ragione: io diffido sempre delle persone che mi dicono “io ascolto tutto”! Cioè, cosa vuol dire tutto? Dalla samba al black metal? Cosa? Ho notato che chi mi diceva così a casa aveva sempre pochissimi dischi e non ci potevo mai parlare in modo approfondito di musica. Secondo me uno deve avere dei generi preferiti, qualcosa che si sente più suo! Se io ascolto certi generi è perché oltre al fatto di essere uno skinhead, trovo che questa musica mi appartiene, come messaggio anche, riesco ad avere una mia identità che viene fuori proprio all’ascolto di certi dischi. Dentro quei solchi non ci sono solo note, ma tutto uno stile di vita che mi accompagnerà per sempre. Ecco la differenza con le mode, anche musicali, quelle vanno e vengono, lo stile di vita rimane. È bello essere qualcuno, è bello essere skinhead! Grazie mille ancora per il l’intervista e il tuo lavoro, continua così! Grazie anche a chi mi leggerà e mi raccomando, supportate i piccoli negozi specializzati che sono veri e propri punti di incontro tra appassionati e di riferimento! Comprate dischi e frequentate concerti e serate, molti gruppi dipendono da questo e se amate quello che ascoltate non c’è altro da fare!
David “Rudeness” Bardelli