Anno d’uscita: 1931
Regia: Fritz Lang
Un palmo di mano segnato con della vernice rossa. Una delle scene cardine di “M – Il Mostro di Düsseldorf” occupa tutta la locandina originale del film. Lo sfondo è nero, come nera è la trama del lungometraggio. Il capolavoro di Fritz Lang è la prima pellicola capace di portare nelle sale un tema scabroso come quello della pedofilia.  La sua locandina, nella Germania che si appresta a veder crollare la democratica Repubblica di Weimar, sopraffatta dal nazionalsocialismo hitleriano, riporta un marchio, quello dell’infamia.

Il poster tradisce la sceneggiatura nel metodo, ma non nel merito. Nel film, l’assassino di bambini viene identificato con una “M” (dal tedesco “morder”, assassino) disegnata a gesso sulla schiena della giacca. Nella locandina la stessa “M” diventa il titolo, impressa rossa sangue sue una mano giallognola, quasi anemica. È una scena impressionante, che non svela nulla della trama dell’opera.
Oggi sappiamo che “M” è un film tanto violento, quanto delicato, capace di mostrare un lato umano a uno dei peggiori crimini possibili. Una buona fetta del pubblico tedesco che nel 1931 si recò in massa nelle sale cinematografiche probabilmente non si aspettava un’opera simile. E forse non si sarebbe aspettato che pochi anni dopo altri simboli di identificazione sarebbero stati imposti ad alcuni “diversi”. La volontà degli autori non era quella di annunciare un film sulla pedofilia, ma di mostrare una persona marchiata, azione che il regime nazionalsocialista avrebbe deliberato, come lo Hitler aveva già nel suo “Mein Kampf”.

In un’epoca in cui il nazionalsocialismo trova sempre maggiori consensi, Lang vuole lanciare un messaggio chiaro. La sua fuga dalla Germania, dopo la presa del potere di Hitler, prima in Francia e poi negli Stati Uniti, è l’epilogo del suo affronto umano al totalitarismo. Il marchio sul nemico da cinema diviene realtà. Per nemici non si intendono assassini pedofili, come il protagonista del film, ma ebrei, zingari, slavi, testimoni di Geova, omosessuali e oppositori politici.

La locandina di “M – Il Mostro di Düsseldorf” mostra un’inquietante lungimiranza. Sotto la grande mano si legge il nome del regista, affermatosi a livello internazionale grazie al precedente “Metropolis” (di cui avevo recensita la locandina: https://www.artovercovers.com/2016/12/07/metropolis/). In Italia la pellicola venne proibita dal regime fascista. Il film arrivò nelle nostre sale solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, con una copertina molto diversa dall’originale. Qui il tema della pedofilia è centrale, senza alcun riferimento politico. Una bimba indifesa stringe una bambola, mentre la mano dell’assassino la sta per blandire.
L’affiche ci ricorda della censura fascista e dà spazio, oltre al regista tedesco, al protagonista, l’attore ungherese Peter Lorre, all’epoca del film ancora semisconosciuto, ma negli anni quaranta star di livello internazionale, soprattutto nel genere noir. Il manifesto italiano è banale, senza il carico di terrore trasmesso da quella tedesca del 1931.
Leonardo Marzorati