-Introduzione e intervista a cura di Maria Macchia-
È innegabile che i dischi in vinile siano tornati in voga e, tra fiere del disco e negozi specializzati, è ora più che mai possibile dare sfogo alle proprie passioni a 33 giri. Ma c’è anche chi ha fatto del vinile una ragione di vita ed è una fortuna poter incontrare collezionisti che hanno particolari storie da raccontare. Antonio Cossu, classe 1949, di Quartu Sant’Elena (Cagliari), è una di queste persone e abbiamo avuto recentemente il piacere e l’onore di poterlo intervistare.

Ciao Antonio, benvenuto su Art Over Covers; quando e perché hai iniziato a collezionare dischi?
Ho iniziato la mia collezione di dischi all’inizio degli anni ’60 , quando praticamente vivevo di pane e musica. Da tredicenne mi piaceva girare i bar del mio quartiere e dei paesi limitrofi spendendo tutti i miei risparmi nei juke box per ascoltare gli ultimi successi. Erano tempi in cui il rock ‘n roll di Elvis Presley, Billy Haley e Chuck Berry, dalla lontana America, andava alla grande. Ma anche in Europa non si scherzava, con i Beatles, i Rolling Stones, gli Shadows e tanti altri. E l’Italia non stava certo a guardare: Celentano, Gaber, Peppino di Capri – e la lista sarebbe lunga – ci facevano sognare. Il motivo per il quale iniziai a collezionare dischi è semplice: volevo avere sempre con me una grande scelta di canzoni per poter ascoltare la mia musica preferita, non solo dai juke box o dalla radio, ma ogni qualvolta lo desideravo,anche a notte inoltrata.
Quanti dischi possiedi e come è composta la tua collezione?
Premetto che i miei dischi sono originali d’epoca e che non amo molto le ristampe. Ad oggi possiedo oltre 10.000 dischi tra 45 giri, 78 giri, 33 giri e persino 16 giri, che andavano forte alla fini degli anni ’50. In termini di percentuale potrei dire che circa il 20% appartiene agli anni ‘30/’50, la maggior parte (un buon 60%) agli anni ’60 e la parte rimanente della raccolta riguarda dischi usciti dagli anni ‘70 in poi. Devo poi aggiungere che un disco in ottime condizioni che possiedo oggi magari è stato sostituito sei o sette volte. A volte, infatti, ho iniziato la collezione con un disco graffiato e con la copertina in cattive condizioni, poi me ne capitava tra le mani uno in stato migliore e lo ricompravo, e così per diverse volte fino ad arrivare al disco come nuovo.
Qual è il primo disco che hai acquistato e qual è quello a cui tieni di più?
Il primo disco che ho acquistato fu “Please Please Me” dei Beatles nell’autunno del 1963. Ricordo che pioveva ed io, per paura che la pioggia lo potesse bagnare, pensai di metterlo dentro il mio giubbino, stringendolo a me come un bene prezioso. Il primo disco è come il primo amore, non si scorda mai, quindi per me il disco più importante è proprio “Please Please Me” che presto scoprii anche in una bella versione italiana di Fausto Leali. Poi, dovendo nominarne altri, la lista si farebbe lunghissima, ma mi piace ricordare “Con le Mie Lacrime” dei Rolling Stones, “La Tua Immagine” di Mike Liddel e gli Atomi e infine i grandi Shadows con un brano con il quale tanti musicisti hanno incominciato a suonare la chitarra: “Apache”.

Hai degli artisti preferiti dei quali possiedi molti dischi?
Tra gli artisti stranieri i miei preferiti sono sicuramente i Beatles,  Elvis Presley e Bruce Springsteen ma prediligo soprattutto i cantanti italiani, che costituiscono la maggioranza della mia raccolta. Ho tanti dischi di Celentano e del suo Clan,  poi di Adamo, Morandi, Modugno, Peppino di Capri, Mina, Milva, ma la lista diventa molto lunga.
Che importanza ha per te la copertina di un disco?
Sono molto attratto dalle copertine, tanto che amo collezionarle anche in mancanza del vinile, perché prima o poi il vinile senza copertina si può trovare molto più facilmente, anche a prezzi accessibili. Ad una copertina sono rimasto molto legato: quella del 45 giri dei Pooh “Quello che Non Sai” (l’originale in inglese era “Rag Doll”) il cui lato B era “Bikini Beat”. In quegli anni in Italia stava nascendo il periodo beat e queste copertine ritraevano i vari complessi in tenuta tipicamente beat: pantaloni stretti e possibilmente a righe, stivaletti con l’immancabile fibbia e camicie a fiori.  La moda beat veniva ripresa in molte canzoni di quegli anni: Antoine, ad esempio citava quel tipo di abbigliamento nel brano Le divagazioni di Antoine, e poi c’era Gilla con la sua Il mio amore è un capellone. Comunque le copertine in quel periodo erano bellissime, forse le mie preferite in assoluto.

Sappiamo che hai avuto modo di incontrare molti personaggi famosi: puoi raccontarci qualche aneddoto?

Avendo fatto il marinaio a Roma ho avuto modo di conoscere tantissimi personaggi, quasi tutti cantanti, come Massimo Ranieri, Patty Pravo, Marisa Sannia, Little Tony, Rita Pavone e molti altri. Li ho trovati tutti simpaticissimi e alla mano, ma mai potrei dimenticare il carisma e la dolcezza di Marisa Sannia, un angelo nel vero senso della parola: con la sua morte è andata via anche un pezzo della mia vita. Un episodio simpatico mi è capitato con Iva Zanicchi che, entrando al Teatro delle Vittorie per le prove di “Canzonissima” e attorniata da tanti marinai che la osannavano, disse ad alcuni di loro: “Come mai non vedo Antò?” Un mio amico le disse che c’ero ed ero appoggiato ad un muro.  Così Iva,  girandosi verso di me, mi disse: “Antò , che fai li imbronciato, non sei più un mio ammiratore? Guarda, se vedo che poi passa Orietta Berti e tu le salti addosso… mi arrabbio sul serio!” Tutti scoppiarono a ridere: Iva era, ed è, una donna simpaticissima.

Sei anche un appassionato di oggettistica: come si completa la tua collezione ?
Per ascoltare al meglio i dischi d’epoca ci vogliono anche i giusti apparecchi  e quindi amo collezionare anche quelli. Infatti possiedo 50 radio, 50 tra grammofoni e giradischi, 30 mangiadischi e sette mobiletti radio-giradischi. Potrei dire che la mia casa assomigli ad un museo!
Sarebbe bello poterla visitare! Ringraziamo Antonio per la sua testimonianza, che ci riporta ai favolosi anni Sessanta e all’epoca d’oro di Canzonissima, dei juke box e dei 45 giri.