Anno d’uscita: 1968
Regia: George A. Romero
Nel 1968 esce questo capolavoro di George A. Romero “Night Of The Living Dead”: un film horror che riassume anche molte idee politiche. Contemporaneamente nello stesso anno usciva “Rosemary’s Baby” di Roman Polansky, gettando le basi dei film dell’orrore moderni che conosciamo tuttora.
“Night Of The Living Dead” (conosciuto anche come “La Notte Dei Morti Viventi”), racconta il caos vissuto in una piccola città della Pennsylvania, ove ritornano in vita i morti che generano disordine. Tutto comincia con una coppia di fratelli: Ben (Duane Jones) e Barbra (Judith o’Brea ), che si recano presso il cimitero a portare i fiori sulla tomba dei loro genitori.
Parliamo dell’illustrazione della locandina, dove viene mostrato un teschio in primo piano e una mano che esce dal sottosuolo; già qui viene fatta vedere una sorta di scontro ideologico tra la vita e la morte stessa. Il resto dell’uomo simboleggia la società odierna, che vive senza consapevolezza. L’arto umano che fuoriesce è simbolo di rinascita, qui il messaggio è ambivalente e apparentemente controverso perché mostra diverse stratificazioni etiche e sociali.
La notte, in questa fase, non è semplicemente quella serale, ovvero il momento in cui fuoriescono simbolicamente tutti gli orrori e\o calano le maschere stesse. È famosa la citazione di Hegel nella filosofia di Schelling: “la lunga notte delle vacche nere”, che esprime il collasso della decadenza del pensiero comune. La citazione è collegata al film stesso, in tutti i suoi aspetti, attraverso le varie simbologie mostrate attraverso i vari personaggi, insieme a già citati fratelli in precedenza.
La figura della croce nel cimitero che si vede in fondo, rappresenta l’approccio religioso e ipocrita comune: la resa delle singole persone che si affidano ad un dio che creato e gestito dall’uomo, quello a sua immagine e somiglianza. Qui Romero aggredisce in maniera feroce l’identità culturale americana, rappresentata con la bambina zombie che uccide il padre nello scantinato, simboleggiando il nuovo che vuole avanzare prepotentemente, rappresentando idealmente una sorta di lotta di classe e la voglia di abbandonarsi al nuovo.
La figura degli zombie, in prima istanza dovevano essere delle nuove forme di vita sconosciute, ricordiamoci che il lungometraggio è stato girato nel 1968, in piena rivoluzione sociale, che passa dalla ribellione ideologica dei figli dei fiori, dalla guerra del Vietnam. I morti viventi rappresentano tutto questo e molto di più, sono il nuovo che si sostituisce al vecchio, mostrando e mutando lo scollamento sociale, ovvero quando tutti sono contro tutti e non collaborano, denotando il conflitto interno della società.
Le tre figure illustrate sopra, mettono il focus sulla presenza di queste entità, soprattutto grazie alla donna nel centro, vestita di bianco; questo mostra l’idea dell’essere una sorta di presenza o spettro, come verrà mostrato nel lungometraggio in questione.
Ispirato liberamente al romanzo di Richard Matheson , “Io Sono Leggenda” da cui verrà tratto l’omonimo film nel 2007, viene narrata la storia di un uomo che viene circondato da creature simili a vampiri, chiudendosi dentro casa sua per difendersi. La stessa meccanica viene ripresa da Romero: con questo presupposto mette insieme diverse persone, con ceti sociali, razziali differenti, facendo scaturire tra di loro una guerra ideologica interna tra i membri che cercano di sopravvivere. Qui viene descritto e criticato ogni singolo ruolo predefinito, portando il conflitto al suo interno, deflagrando alla base il sistema stesso.
La situazione della donna, la guerra del Vietnam , l’uomo di colore Ben (Duane Jones), con il padre di famiglia. È bellissimo il loro dislivello, basato su due idee contrastanti, che se unite avrebbero potuto portare alla salvezza. Tutt’intorno si cela lo sfondo riproposto del dramma del Vietnam, dove il nuovo incubo o forma di vita, nel tentativo di sopravvivere, si scontra con la violenza e la faciloneria dell’uccidere senza riflettere, quasi con divertimento.
La locandina pubblicata in questa recensione menziona il nome George Kramer. La scelta di utilizzare uno pseudonimo è stata decisa proprio dal regista stesso perché a detta sua suonava più americano per il pubblico italiano, in quanto secondo lui le persone sarebbero accorse con più interesse a vedere il film.
Mirco “Nemo” Quartieri