“Dirty Computer” – Janelle Monáe
Sito web: https://www.jmonae.com/
Quello che la rivista Rolling Stone ha valutato il miglior album del 2018, ha una copertina destinata a restare nella storia. In “Dirty Computer” Janelle Monáe è ritratta come fosse una santa, con tanto di aureola. Non si tratta però di un quadro rinascimentale, ma di una vergine postmoderna. La cantante ha un copricapo di rete metallica che le copre parzialmente il volto. Si tratta di un costume che ricorda certe maschere indossate da Prince, artista nei confronti del quale Janelle Monáe ha sempre mostrato una sua devozione. L’aureola è in realtà una sorta di Sole o pianeta, da cui emergono degli sbuffi di fuoco che potrebbero però anche essere strane piante o protuberanze. I colori caldi non dominano la scena. Pur essendo giallo e rosso, il sole posto dietro la nuca di Janelle Monáe non sembra scaldare il contesto in cui si trova. Il corpo dell’artista è illuminato da una luce violacea e tutta l’immagine trasuda di freddezza, compreso il cielo azzurro che circonda la scena. Lo sguardo della cantante è rivolto verso il basso, quasi rassegnato. Non c’è salvezza in “Dirty Computer”, quasi fossimo alla fine di un’epoca, anche musicale, e il futuro prossimo si faccia avanti carico di incertezze.
“Negative Capability” – Marianne Faithfull
Sito web: http://www.mariannefaithfull.org.uk/
In un’epoca in cui sulle copertine di dischi l’artista si presenta in primo piano a suon di provocazioni, Marianne Faithfull appare candida e primigenia, quasi anacronistica. La copertina del suo “Negative Capability” la vede anziana qual è, seduta mentre fissa l’obiettivo. Indossa una camicia bianca, arricchita da una leggera sciarpa rossa. Con la mano destra tiene un bastone da passeggio. Truccata ma non rifatta, a 72 anni la ex groupie dei Rolling Stones si presenta in una semplicità degna di altre epoche o di altri generi musicali, come la classica. Non è classica, ma classe. La classe di una delle prime signore del rock.
“Different Times” – Giardini di Mirò
Sito web: https://www.facebook.com/giardinidimiro/
In un “campetto sotto casa” dei ragazzi giocano a calcio. Alcuni spettatori a bordo campo seguono l’incontro, disputato su un erba ormai secca. Dietro quell’anonimo campo da calcio sorgono dei palazzoni che richiamano il costruttivismo sovietico. I Giardini di Mirò, con “Different Times”, tornano alla loro Emilia comunista, immergendola in un surreale quartiere popolare che appare lontano, come fossimo tra gli schizzi dell’architetto futurista Antonio Sant’Elia. L’immagine riesce quindi a coniugare la quotidianità del “sotto casa”, all’onirismo di un quartiere dal sapore fantascientifico.
Leonardo Marzorati