Anno d’uscita: 1928
Regia: King Vidor
Gli anni ottanta sono stati il decennio simbolo dell’edonismo e dello yuppismo, dell’abbandono delle ideologie e della ricerca ostinata alla scalata sociale. Un crescendo rossiniano proseguito negli anni novanta e terminato con la crisi di inizio terzo millennio. La storia è maestra di vita e gli anni venti dello stesso ventesimo secolo si conclusero con la crisi economica del 1929.

Il decennio in questione, specie dal punto di vista statunitense, è stato un momento di crescita industriale e finanziaria frenetica, nella convinzione positivista che lo sviluppo avrebbe portato sempre maggiori frutti. La crisi economica di fine decennio fece tornare con i piedi per terra una generazione convinta di essere artefice del più grande sviluppo economico fino all’ora avuto sulla Terra. Il successo, dovuto anche allo sfruttamento imperialista degli USA sul resto del continente americano, sarà effimero. “La Folla” di King Vidor, uscito nelle sale un anno prima della crisi, è la pellicola che meglio descrive il ceto impiegatizio americano di quegli anni. Da molti “La Folla” è considerato l’ultimo capolavoro del cinema muto americano.

La locandina è semplice, ma sintomatica delle ambizioni del ceto medio. Un uomo e una donna, abbracciati, guardano a una luce gialla che irrompe in uno sfondo blu. L’uomo col braccio destro e la donna con quello sinistro indicano i raggi emanati dall’alto, come a voler toccare un sole che va conquistato. I due indossano abiti da ufficio in perfetto stile anni venti: camicie chiare, pantaloni di flanella con le bretelle a righe, gonna bordeaux. Sono la coppia protagonista del film, impiegati in una New York molto all’avanguardia, specie se paragonata all’Europa di quegli anni. Vogliono raggiungere il sole, che in sostanza significa un posto da capoufficio o un aumento per potersi permettere un appartamento più spazioso.

Sotto i due protagonisti si vede, in uno scuro verde opaco, quella folla che dà il titolo alla pellicola. La folla è la massa da cui ogni impiegato che lavora nei grattacieli di New York vuole fuggire, per raggiungere quella minoranza privilegiata che può definirsi effettivamente ricca e appagata. Il film, uno dei capolavori più all’avanguardia, sia per temi trattati che per mezzi tecnici utilizzati, della storia del cinema, insegna come basti un dramma famigliare per riportare questi “yuppies” anni venti alla modestia.

In linea con le locandine dell’epoca, il titolo del film è impresso a caratteri cubitali rossi, sotto il quale troviamo il nome del regista. Gli attori principali sono indicati in azzurro sotto l’immagine centrale. James Murray morì giovane, senza diventare una stella di Hollywood. Eleanor Boardman non riuscì ad adeguarsi all’avvento del sonoro, ma visse nell’agio grazie al matrimonio con lo stesso Vidor. Bert Roach, il collega del protagonista che riesce nella scalata sociale, nella realtà finirà a recitare in piccoli ruoli da caratterista.

Curiosamente, a parte il regista, gli attori di questo film non vedranno la luce del successo che appare in locandina. Il rosso è utilizzato anche per la casa cinematografica che investì tante risorse per questa idea atipica di Vidor: la Metro Goldwin Mayer. Fu una scelta coraggiosa, dato che permise di portare per la prima volta nelle sale cinematografiche la vita di ogni giorno, fatta di viaggi in corriera per andare in ufficio, piatti rotti in cucina e picnic in spiaggia. Il neorealismo italiano sarà debitore di questo film, locandina inclusa.
Leonardo Marzorati