Anno di uscita: 2013
Sito web: https://www.great-master.com/
Quando Napoleone Bonaparte cedette all’Austria per motivi politico-strategici i territori della neutrale Repubblica Veneta in seguito al Trattato di Campoformio dell’Ottobre 1797, il poeta e patriota italiano Ugo Foscolo – nato nel 1778 nell’isola ionia di Zacinto, allora colonia veneziana – commentò con queste parole il fatto nelle righe iniziali del suo romanzo “Le Ultime Lettere di Jacopo Ortis”: «Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto».
Il Foscolo sapeva esprimersi anche in modi più diretti (il 3 gennaio 1801 diede pressappoco del vile e del morto di fame all’editore Marsigli sulle pagine della “Gazzetta universale” di Firenze, perché costui aveva pubblicato una versione rimaneggiata e apocrifa proprio de “Le Ultime Lettere di Jacopo Ortis”), ma si trattenne in quest’occasione forse perché sperava ancora che il “sacrificio” potesse servire per un progetto a lungo termine del Bonaparte volto a liberare l’Italia dal dominio austriaco.
Le speranze del Poeta furono deluse, e lui stesso fu costretto a lasciare l’ex-Repubblica per l’avversione del regime reazionario che vi si era insediato dopo il Trattato di Campoformio. A ideale consolazione del Foscolo, possiamo però ricordare che il “tratto di penna” di Napoleone non fu naturalmente sufficiente per cancellare di colpo dodici secoli di storia. Anzi, se osserviamo l’immagine posta in apertura, vedremo un esempio a noi contemporaneo di come il passato di Venezia sia ancora vivo e celebrato artisticamente.
Si tratta di un’opera di fantasia dell’artista Giuseppe de Iure scelta dalla band heavy-metal veneta Great Master per la copertina del proprio album “Serenissima” pubblicato nel 2013. Il titolo del disco è già significativo di quale sarà il contenuto delle composizioni, realizzate nell’ambito del genere power-metal con un risultato che fa dell’atmosfera e del dettaglio storico due caratteristiche costanti dell’album. La band infatti ripercorre nelle canzoni le personalità e gli eventi che hanno impresso svolte fondamentali al percorso della Repubblica Veneta, fino proprio al famigerato “sacrificio” lamentato dal Foscolo e descritto nella composizione conclusiva “The Fall”.
L’arco temporale affrontato inizia con il periodo di fondazione della città tra il Quinto e il Sesto Secolo d.C. come conseguenza del dissolversi delle strutture difensive romane. La canzone “Queen of the Sea” riecheggia infatti le invasioni delle schiere barbariche nelle pianure venete, e quindi il concentrarsi delle popolazioni locali prive di protezione lungo le impervie lagune costiere: proprio dai rifugi sparpagliati di questi fuggiaschi sulla sponda adriatica sorse il primo nucleo di Venezia. Un esempio di queste incursioni fu narrato dallo storico Paolo Diacono (ca 720 d. C. – 799 d. C.) nella sua cronaca “Historia Langobardorum”, in cui si apprende appunto che nell’anno 568 d.C. le fanterie e truppe a cavallo longobarde guidate dal re Alboin dilagarono “senza incontrare resistenza nei territori del Veneto”, e che perfino il patriarca di Aquileia fuggì sull’isola di Grado al loro arrivo.
Il condottiero longobardo ebbe perciò un ruolo essenziale nella storia di Venezia, ma non ne fu ovviamente il solo protagonista. Se infatti esaminiamo la galleria di personaggi ritratti nelle canzoni di “Serenissima”, troviamo non solo vivide figure di mestieri e “cariche” che hanno rappresentato l’essenza stessa della Repubblica di San Marco (le canzoni “The Merchant” e “Doge” ), ma anche minuziose ricostruzioni di molte personalità storiche. È il caso di Marco Polo, rappresentato nella canzone omonima mentre sembra descrivere al compagno di prigionia Rustichello da Pisa “le grandissime maraviglie e gran diversitadi delle genti… di Persia… d’India e di molte altre province” che saranno poi raccolte ne “Il Milione”.
Come anticipato, accanto ai singoli protagonisti, sono descritti nell’album anche eventi epocali per la Repubblica di San Marco nel suo complesso. Nella canzone “Golden Cross” rinveniamo ad esempio la narrazione della parte avuta da Venezia al comando del doge Enrico Dandolo nella Quarta Crociata (1202 d.C. – 1204 d.C.). In “Lepanto’s Call” è descritta invece la battaglia navale del 1571 d.C. al largo del centro greco di Lepanto, combattuta tra la coalizione della Lega Santa comandata da Don Giovanni d’Austria (in cui militava anche Venezia) e la flotta turca. La vittoria della Lega Santa nello scontro fu uno degli ultimi trionfi per la Repubblica di San Marco prima del crepuscolo che coincise, come abbiamo visto, con il Trattato di Campoformio.
Già: il crepuscolo… anche da un punto di vista metaforico, il senso di declino è entrato nell’immaginario collettivo come un elemento immancabile di Venezia, grazie anche ad opere di scrittori come Gabriele D’Annunzio (“Il Fuoco”) e Thomas Mann (“Der Tod in Venedig”). Si potrebbe quindi definire quasi come “atteso” il tramonto che posa la sua malinconia dorata sui monumenti ritratti nella copertina di “Serenissima”: il palpitare soffuso dei colori che dissolve i profili è parte dell’essenza della città almeno quanto la maschera che la sovrasta nell’immagine, e che rimanda al famoso Carnevale.
Addentriamoci in altre peculiarità dell’illustrazione, e per coglierne meglio i particolari lasciamoci accompagnare da un artista veneziano del passato: Giovanni Antonio Canal (1697 d.C. – 1768 d.C.) detto “Canaletto”, “pittor da vedute” per antonomasia dei panorami di Venezia.
Al centro dell’immagine nel culmine della luce riconosciamo il Ponte di Rialto, opera dell’architetto Antonio da Ponte, che a partire dal 1591 sostituì la precedente struttura in legno. Il dipinto omonimo realizzato dal Canaletto nel 1744 ce ne offre una veduta dettagliata, con il Fondaco dei Tedeschi sulla riva destra investito dalla luce proveniente da ovest, e sulla sponda sinistra, in ombra, la Riva del Vin.
Di nuovo nella copertina di “Serenissima”, ai lati del Ponte, vediamo che la chiesa riprodotta con effetto a specchio e con angolature diverse è la Basilica di Santa Maria della Salute, eretta negli anni trenta del Seicento come segno di ringraziamento per la fine della pestilenza. Il Canaletto la ritrasse tra il 1726 e il 1728 nel dipinto “Veduta da San Marco della Dogana da Mar e della Salute”, alle spalle della punta della dogana e dell’imbocco del Canal Grande raggiunti dalla luce mattutina.
Proprio soffermandoci sul tema della luce, si potrebbe giustamente sottolineare che il Canaletto non ricreò nei due dipinti che abbiamo incontrato (e, in effetti, anche nella maggior parte delle altre sue vedute) i toni crepuscolari di cui abbiamo parlato in precedenza. La Venezia del Canaletto è infatti “ideale”, perennemente luminosa, rapita in un unico momento gioioso che non conosce decadenza. Perfino il Rio dei Mendicanti ritratto dall’artista tra il 1723 e il 1724, pur nella sua ovvia tetraggine, è un passo rivolto verso quest’interpretazione.
Si può quindi affermare che in un certo senso il Canaletto “salvò” Venezia, perché ne rese eterno l’aspetto radioso e trionfale che era in gran parte svanito già nei suoi anni. Forse l’Artista non ne fu completamente consapevole e si limitò a dipingere “ciò che sentiva” indipendentemente dal momento storico, sicuro anche che la clientela inglese verso cui era rivolto apprezzasse costantemente il suo stile. Comunque, il risultato raggiunto dal Canaletto fu proprio questo, e i Great Master proseguono idealmente oggi la sua opera in un legame artistico con Venezia che si rinnova nel tempo, proprio come lo sposalizio della città con il mare.
Paolo Crugnola
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