-Introduzione e domande a cura di Sara “Shifter”Pellucchi-
Provocatori, sfacciati, volgari e senza compromessi ma anche intimisti, solenni, cultori e teatrali. I Deviate Damaen scelgono di arder di vita e ne fanno un’arte tramite la propria musica, la quale risulta esser intensa e pregna di sentimento, ma anche appartenente ad un’ideologia personale e ribelle.
Ciao ragazzi, benvenuti su Art Over Covers, parlateci un po’ di come è nato il vostro progetto musicale
G/Ab – (fondatore, leader e voce della band) I Deviate Damaen (già Deviate Ladies) nascono come gothic-rock band nei primissimi anni ’90, per poi diventare ben presto un progetto di musica identitaria, estrema e sperimentale, con il metal, l’elettronica anni ‘80 e il punk più spregiudicato nel sangue. Là dove molte band italiane nostre coeve, negli anni, si sono imbiancate le tempie, accresciute le panze e abbottonati i panciotti col politicamente corretto più laido e melenso, noi Dame Deviate, oltre ad aver mantenuto costante l’età media grazie al continuo afflusso di carne fresca, indispensabile metodo per una sana prosecuzione della specie, abbiamo invece progressivamente indurito i suoni e i toni, sfornando un album più adolescenziale e indigesto dell’altro. Persino autorevoli agenzie di stampa ci additano come il peggio del peggio del panorama musicale nazionale. La realtà è che siamo semplicemente artisti liberi e belli, due qualità che al giorno d’oggi fanno venire la scabbia a molti.
Quant’è importante secondo voi l’immagine per la vostra musica?
G/Ab –I sensi sono cinque; il fatto che la musica ne implichi in forma diretta soltanto uno non esautora affatto gli altri quattro dal collaborare alla vitalità di quello prioritario. La mia voce non potrebbe mai uscire così sexy e potente da un corpo indolente, bolso e poco dedito a quell’atletismo che ha forgiato la Bellezza classica dei miei antenati. Guardateli in faccia questi artistucoli da Festa dell’Unità che fanno musica per immiserire l’anima e mediocrizzare l’individuo: unti, rachitici, barboni e con montature d’occhiali fatte per coprire lineamenti abbrutiti dalla cronica penuria di orgoglio, di docce e di seghe allo specchio. Noi non rinunceremo mai a coltivare la bellezza poiché essa è la prima cosa a cui diamo il buongiorno e l’ultima a cui diamo la buonanotte.
Da cosa nasce questa grande ammirazione per l’epoca romana?
G/Ab –Roma è genos, bellezza, forza, amore e origine di tutto ciò che siamo; si può forse non amare la propria madre? Ah già..viviamo nell’epoca del Genitore1 e Genitore 2… ma noi ce ne fottiamo dell’epoca in cui viviamo. Noi siamo padroni di noi stessi; non siamo come tutti quei tatuati che fanno il dito medio alla polizia e poi votano partiti sovvenzionati dalle multinazionali. Noi siamo Uomini liberi.
Per quale motivo avete scelto proprio la statua in marmo dell’imperatore Ottaviano Augusto? Lui è stato il primo imperatore romano, ma Giulio Cesare è forse considerato maggiormente una sorta di “rock star”
G/Ab –Sì, una “rock star” che per trombarsi un’egiziana stava per svendere la romanità dei Romani all’Egitto. Al contrario, Augusto rappresenta la medesima gens Iulia, ma con un senso dell’onore e del sangue ben più alto. Inoltre è molto più bello, diremmo la perfezione, l’incarnazione del Kalòs Kai Agathòs. E la sua somiglianza col nostro giovane e bel Laerte, che ne bacia le labbra quasi a risvegliarne l’afflato vitale, nonostante i millenni trascorsi fra la nascita dell’uno e quella dell’altro, è la dimostrazione che il mito pangeistico di “mamma Africa” è pura fuffa mondialista. In questa copertina il presente si specchia nel passato per partorire una progenie futura concepita secondo regole di “consecutio naturalis” e similtà. Scriveva Omero: “Il simile attira il simile”; ecco, la pensiamo così anche Noi, e abbiamo istoriato le nostre verità sulla muscolosa pelle dello splendido membro della band, affinché nessuno possa strapparcele di dosso. Aggiungo, sebbene appaia poco inerente al discorso storico, che anche le chiappe istoriate nella retro-copertina sono le sue…insomma..a Cesare quel che è di Cesare e a Laerte quel ch’è di Laerte!
…invece aprendo la vostra home page ci si trova dinanzi a una immagine nettamente diversa, chi sono le due “sciure” come diciamo noi in Brianza?
G/Ab – Sono due attrici ospiti della band, protagoniste dell’ultimo lavoro sfornato dai Deviate Damaen in ordine di tempo, “Nel Limbo D’Un Codice A Barre”, sorta di “atto unico” musical-teatrale nel quale le due “sciure” in questione, addobbate ancor più da megere di quanto non lo siano al naturale, si sono intrufolate all’interno di uno dei tanti templi dell’editoria radical-chic d’eccellenza, con un cd dei Deviate Damaen creato per l’occasione, mai uscito, e che quindi i responsabili degli acquisti mai avrebbero potuto avere in catalogo dove invece risultava il resto della discografia, compresa una penosa compilation a cui partecipammo nel 2003 contenente anche un brano di Franco Battiato (la cui vista del nome accanto al nostro ha fatto luccicare gli occhi all’ignaro inserviente che controllava al computer, schiavo anche lui, come tutti gli schiavi, del “grande nome” che solo può dare credibilità ad una lista di artisti). Così, le due megere, posto furtivamente fra gli scaffali del risicatissimo settore metal del megastore il cd taroccato, fingono poi d’averlo trovato e si recano alla cassa pretendendo di pagarlo. Risultando ovviamente l’involucro privo di codice a barre, la scenetta ha mandato in tilt l’intero meccanismo editoriale della mega-struttura, dimostrando che, in questa società massificata, l’Opera d’Arte esiste solo perché ha un codice a barre, e non perché “vive” e “respira”.
Dopodiché, registrato il tutto a microfoni nascosti, lo abbiamo fatto musicare al nostro talentuoso polistrumentista Ark (le labbra più succulente della band), che lo ha trasformato, appunto, in Opera. Ci piace praticare questa sorta di terrorismo mediatico: possiamo essere ovunque a prendere per il culo chiunque in qualsiasi momento.
Che cosa volete trasmettere attraverso le immagini dell’artwork e con i vostri video?
G/Ab – Guarda, i nostri video sono molto diversi gli uni dagli altri: alcuni, poetici e naturalistici, ospitano i luoghi e le ambientazioni teatro delle composizioni liriche dei brani che mettono in scena; altri sono “live” (come “Schiuma Su Sto Scroto, Progressista”), altri ancora sono composti da un susseguirsi di immagini che ne esplicitano semanticamente i passaggi. Il nudo e la pornografia sono sempre stati presenti nel nostro immaginario non per ragioni scontate, ma poiché il corpo è la casa dell’anima, ne è forma assoluta e del tutto priva di gerarchie borghesi e ipocriti pudori giacobini: un piede vale quanto un pene e un occhio vale quanto un polpaccio. Noi diamo parola ad una corporeità totale che è meccanismo espressivo altrettanto totale, poiché la musica non si forgia con la forza del pensiero, ma attraverso abilità meccaniche che necessitano anzitutto di forza, salute e gagliardia. Anche gli artwork dei vari album sono la trasposizione grafica di musica e testi. Non potrei mai partorire le mie poetiche senza immergermi in quei precipui antri, gole, grotte e boschi che ne hanno alimentato le suggestioni e che sono stati teatro di quelle gesta storico-mitologiche oggetto del nostro cantare. Ecco come prendono forma i nostri lavori grafici. Quest’estate, con la nostra Grafica, la Kummara, ci siamo ritirati a lavorare sulla confezione del nuovo album presso il Promontorio Dannunziano di San Vito Chietino, ove il Vate compose le sue opere di stampo più superomista; ebbene sentivamo il suo soffio vitale consacrare la nostra vitalità creativa esattamente come si sente il vento fra i capelli.
https://www.youtube.com/watch?v=vJmdosJn7q0&t=6s
https://www.youtube.com/watch?v=c-Xgxrurrps
https://www.youtube.com/watch?v=qZGP8vDt-jQ
https://www.youtube.com/watch?v=M-WUNET-EGw&t=7s
https://www.youtube.com/watch?v=ZEf_LJZBVHc
Vi è mai capitato di acquistare un disco solo per l’immagine della cover?
G/Ab – Assolutamente sì, ad esempio: “Only Theatre Of Pain” dei Christian Death, “Phantasmagoria” dei Damned e” The Return” Dei Bathory. Ricordo che da adolescente facevo sega a scuola e mi rintanavo l’intera mattinata da Disfunzioni Musicali, il più storico negozio di dischi romano (ora al suo posto c’è una kebabberia, tanto per darvi un parametro), e un vinile su 4 lo acquistavo solo in base alla copertina; in questo modo ho scoperto tanti gruppi nuovi (all’epoca non c’era internet) e il più delle volte m’è andata bene. Inoltre, grazie a molte copertine di album metal ho scoperto dipinti famosi che mai avrei apprezzato altrimenti, a riprova dello stretto connubio fra metal/musica classica e visualità occidentale. Eredità, “genos”, tradizione, consecutio..insomma..tutto ciò che gli odiatori del Senso d’Appartenenza vorrebbero estirpare. Trovatemi il “genos” in una copertina di merda rap…e vi offro un gelato pistacchio, zabaione e puffo, i miei gusti preferiti.
Il vostro colore preferito e perché
G/Ab – Il verde. Lo trovo maschio senza essere funereo, borghese e conformista quanto il blu o l’azzurro; e poi è fresco, arboreo. Soprattutto il verde militare. E poi il bianco, il colore della neve.
Messor – (voce estrema e death whistles) Il nero, il vero ed unico colore primordiale di quest’universo. L’anti-luce emanante oscurità. Non ch’io disdegni anche gli altri colori, ma li trovo più adatti ad un accostamento piuttosto che presi singolarmente. Il nero è ciò che mi rappresenta, ciò di cui mi nutro e ciò che cerco.
Quali sono secondo voi le copertine migliori finora disegnate di altri artisti?
G/Ab – Per quello che mi riguarda Candlemass e Celtic Frost: tradizione dantesca e mitologia nordica allo stato puro, una perfetta sintesi di estetica occidentalista; e poi quelle dei Dead Or Alive; Pete Burns era bellissimo, non poteva che meritare se stesso in copertina.
Messor – Su livelli diversi dalla canonica concezione di bellezza, ma la copertina che sento vibrare maggiormente dentro è quella di “Apparitions” degli Urfaust. Ce ne sono poi altre che mi toccano profondamente, come quella di “Projekt Nihil” di Stalaggh .
Un artista preferito per le copertine con cui vi piacerebbe lavorare in futuro
G/Ab – Bontà nostra, più che al futuro, posso risponderti al presente, poiché sull’album in uscita vanteremo il privilegio di vederne le illustrazioni impreziosite da un dipinto con dedica di Mario “The Black” Di Donato, autentica icona nazionale del metal di tutti i tempi e pittore di fama internazionale specializzato in arte sacra e agiografica; quindi l’artista ideale per un album incentrato sul concetto di “santità” come il nostro. Si tratterà di un Cristo biondo e con gli occhi azzurri ..dal significato quindi non troppo criptico.
Usiamo seppellire copie dei nostri album, opportunamente bardate in materiali molto tecnologici per durare nel tempo, nei luoghi più reconditi, negli interstizi rocciosi più irraggiungibili, cosicché un giorno, comunque dovessero andare le cose, qualcuno saprà cosa sia stata la bellezza e quali siano stati gli eroi di una resistenza capace di tramandarne le tracce oltre il fattibile.
I vostri artisti preferiti o fotografi
G/Ab – Non sono un esperto di pittura, ma amo molto gli impressionisti e la loro passione per la neve: bianco e purezza sono significati che mi appartengono. Dal punto di vista architettonico, invece, trovo il periodo razionalista il più fulgido mai raggiunto: bellezza per il popolo così come per le centrali del suo governo, bellezza diffusa e declinata in utilità. Confrontato poi col nichilismo molliccio e degenerato degli attuali architetti radical-chic..beh, una passeggiata per Latina o per Segezia mi rimette davvero al mondo.
Messor – Füssli con la sua dimensione oscura; Bosch col suo simbolismo; Goya col suo tormento; Beksiński col suo universo.
Il vostro simbolo del moniker è molto interessante, ce lo potete descrivere?
G/Ab – Lo ha concepito e disegnato Renato “Florindius” Florindi aka Skeletro 379, il nostro grafico di “Retro-Marsch Kiss” nonché mentore della giovanissima succitata Kummara, impegnata sulla grafica del prossimo “In Sanctitate, Benignitatis Non Miseretur!”. Contiene il tipico mix di elementi “deviatici” fisici e simbolici: l’elmo è la protezione garantitaci dai nostri Ancestri spartani, romani e germani. L’occhio stilizzato è realmente il mio occhio sinistro; la spada sgorga da una lingua che si fa essa stessa spada, e qui i riferimenti erotici si intrecciano col simbolismo della nostra poetica usata come arma. Il numero romano XI indica il plusvalore di ogni individuo rispetto ad una collettività di sodali. Tale effige è poi inscritta su una croce greca stilizzata, il Gioiello della Croce di Sparta, che presi nell’omonima città greca andandovi in visita e che reco sempre al collo.
Il modo in cui vi esprimete sulla vostra pagina emula molto l’antica espressione latina con linguaggio forbito, da cosa deriva questa scelta?
G/Ab – “Lingua è baluardo di identità, dobbiamo blindare quel ciò ch’essa è già; subdola via è quella strategia che inculturare vorrebbe la mia!”, cantiamo su “Basta Non Basta”. I poeti si sono sempre espressi nella lingua dei propri ancestri, eredità di un percorso filologico a sua volta espressione di un etnos specifico. Non a caso, uno dei più criminosi propositi del mondialismo è l’omologazione linguistica: cancellando le differenze linguistiche cancelleranno ogni riferimento eziologico al passato di ogni singola civiltà, realizzando una sorta di cosmopolitismo grigio, asfittico e amorfo. E’ una lotta contro il tempo per mostrare alle nuove generazioni cosa “c’era una volta”, ovvero cosa ci fosse prima che questi gaglioffi tentassero di seppellirne definitivamente le tracce. Ma già il fatto che stiate leggendo quest’intervista è la dimostrazione che non ci stanno riuscendo e che glielo stiamo mettendo nel culo.
Cosa volete rispondere a chi vi addita di essere troppo estremi musicalmente, politicamente schierati e diretti?
G/Ab – Di farsi una sega, ovviamente. Va detto che, paradossalmente, i nostri detrattori più segaioli sono proprio fra i “colleghi”: molti metallari, punk, goth, un tempo “ribelli”, ingrugnati e grandguignoleschi, ora si sono convertiti al politicamente corretto, divenendone gli scodinzolatori più diabetici. Li vedi farsi foto con le visiere girate all’indietro come dei rappers da schifo, li senti rilasciare stucchevoli dichiarazioni in favore dell’immigrazionismo, li ascolti abiurare un passato fatto di quelle intemperanze ed eccessi che facevano la differenza fra il rocker e l’impiegato di banca. E tanto più sputano il loro livore proprio addosso ai duri e puri come noi, poiché la coerenza è forza e crea sempre frustrazione in chi è debole. Se l’Artista si mette a pecorina degli umori del suo pubblico, anziché sgrullargli la propria sborra creativa in faccia, non è più un artista, ma un giullare. Ciò detto, abbiamo anche molti artisti amici e band con cui collaboriamo direttamente o attraverso mie ospitate e scambio di musicisti. Band come Stormlord, Zeta Zero Alfa, Ianva, Apolokia, Corazzata Valdemone, Immortadell, Imago Mortis, solo per citarne alcune, coltivano, pur con forme e metodiche differenti, un messaggio identitario di grande valore. E sono certo che una sana riscossa identitaria, dopo decenni di sottomissione al Pensiero unico, sia cominciata: basti pensare a cantanti pop come Povia, ad antropologi come Ida Magli, a giornalisti liberi come Fusaro. Ma anche il semplice andare ad un concerto dei Rammstein e sentire cantare brani dal titolo “Mutter” coincide col fare un meraviglioso bagno di resistenza occidentalista.
Messor – Innanzitutto mi chiedo come possano essere intesi in senso negativo quei termini. Il concetto di estremo è ciò che mantiene viva la fiamma della vita; la fiamma non viene di certo nutrita dall’inettitudine che pervade molte futili anime, indipendentemente dalla loro ideologia o politica. Posso ancora capire la critica al fare musica per scopo unicamente politico, ma non credo sia assolutamente il caso dei Deviate Damaen: noi non siamo vessilli di un’idea politica ma ribellione, vita ed ardore esistenziale. Ciò che non brucia merita di rimanere in silenzio.
Un messaggio che volete comunicare che non avete avuto ancora occasione di dire
G/Ab – Anzitutto un plauso a voi, poche piattaforme hanno il coraggio di ospitare una nostra intervista e di farlo senza censure. Il mio messaggio a chi legge, comunque la pensi, è questo: non rassegnatevi a nessuna presunta “ineluttabilità”; la storia dell’esistenza è fatta da un susseguirsi di azioni e reazioni volte a determinare un destino imprevedibile, mai scontato e sempre in partita aperta; ecco perché vale comunque la pena di lottare per ciò in cui si crede. Fatevi autori e protagonisti di quelle, fra azioni e/o reazioni, che ritenete più giuste e più belle, senza curarvi delle possibilità di successo o delle statistiche di plausibilità e/o plaudibilità delle stesse. Noi Dame Deviate, dal canto nostro, cadremo sempre in piedi: editori o non editori, etichette o non etichette, pubblico o non pubblico, censura o non censura. In ogni caso, ve lo diciamo in greco antico, “nun ce cagate su ergazomai”! La Mia Soavità, G/Ab Svenym Volgar dei Xacrestani
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