“Rome Burns” – Imperivm
Anno d’uscita: 2017
Sito web: http://www.imperivm.eu/
E se la chiave fosse nella frase che sussurrò agonizzando: “Qualis artifex pereo!”… cioè: “Che artista muore con me!”? È possibile che le stravaganze, gli eccessi, e le crudeltà compiute dall’imperatore Nerone siano dipese dal fatto che egli stesso per primo non si sentisse tale; e che quindi la sua mente, costretta in un ruolo oppressivo per se stessa, abbia distorto il concetto di potere imperiale in un ibrido tra comando assoluto e pulsione artistica, senza poterne, o volerne, più distinguere i confini?

L’ipotesi è ammissibile, tanto più considerando che la Storia ricorda almeno altri due casi di regnanti dai comportamenti inspiegabili di cui l’unico decifrabile fosse proprio la ricerca dello straordinario nell’arte. Il primo, l’imperatore Rodolfo II d’Asburgo (1552 – 1612), combatteva la malinconia cronica isolandosi dai crucci della politica nel castello di Praga, ad arricchire di reperti rari, creazioni fantasiose, ed oggetti bislacchi la sua “Wunderkammer” (cioè la “Camera delle Meraviglie). Rodolfo II si distinse nondimeno in opere di mecenatismo significative, come ad esempio la protezione concessa all’astronomo Keplero. Trovò però anche in questo ambito il modo di sfogare la sua passione per la stramberia sostenendo il pittore Giuseppe Arcimboldo (con cui – basta dare un’occhiata anche distratta ai suoi quadri più famosi –  era evidentemente fatto per intendersi). L’artista ricambiò il suo benefattore, che lo nominò anche conte palatino, ritraendolo nel suo stile unico con le fattezze del dio latino dell’abbondanza Vertumnus.
Forse anche più eccentrico di Rodolfo II, il re di Baviera Ludovico II di Wittelsbach (1845 – 1886) estese invece la sua fantasia oltre le pareti della “Wunderkammer”, e non solo metaforicamente. Fece infatti edificare interi castelli fiabeschi, come il Castello di Neuschwanstein ispirato nella decorazione scenografica alle opere del compositore Richard Wagner (di cui il Re fu ammiratore e finanziatore). Proprio come la “Wunderkammer” dell’Asburgo, il Castello di Neuschwanstein fu concepito come rifugio personale del sovrano, “mentale” prima ancora che fisico.
Torniamo ora ad osservare Nerone. Allo stesso modo di Rodolfo II e di Ludovico II, anche l’Imperatore romano protesse le arti; ma a differenza di entrambi volle cimentarvisi in prima persona. Secondo la storiografia sua contemporanea o di poco posteriore – e, va detto,  dichiaratamente ostile – si trovò perfino a baruffare con il talentuoso poeta Lucano per l’attenzione del grande pubblico; e può darsi che anche per questo motivo nel 65 d.C. ne ordinò la condanna a morte come sospettato di far parte di una congiura contro la sua persona.

Un altro particolare che avvicina Nerone ai due sovrani citati è senz’altro la vocazione per le meraviglie architettoniche. La “Domus Aurea” (la “Dimora d’Oro”), fatta innalzare dall’Imperatore romano come sua residenza personale, fu infatti per la sua epoca qualcosa di paragonabile ai castelli di Ludovico II. Tuttavia, anche in questo caso abbiamo una sfumatura tetra che distingue Nerone: l’origine, o per meglio dire “l’occasione” della costruzione.

La villa monumentale fu infatti eretta sul colle Esquilino appena dopo che un incendio aveva distrutto buona parte dei quartieri popolari di Roma nel 64 d.C. . Sebbene non risultassero prove che il disastro fosse stato voluto da Nerone in un eccesso di megalomania per liberare l’area necessaria alla costruzione della sua villa e di una “nuova Roma” costruita secondo la sua volontà, è però certo che il sospetto che fosse stato capace di un gesto simile attecchì in fretta. Ad alimentarlo, oltre al carattere imprevedibile del presunto colpevole, ci fu anche di certo il ricordo dei passati delitti che gli erano stati attribuiti, come il matricidio nel 59 d.C. (come si legge negli Annales XIV, 3 – 10 dello storico Tacito). Anche la sbrigatività con cui Nerone addossò la colpa dell’incendio alla comunità cristiana – all’epoca una delle tante comunità religiose dell’Impero – non dissipò i dubbi sul suo coinvolgimento: al contrario li acuì.

Ma, tra tutte le dicerie che avvolsero l’Imperatore, una in particolare ci riporta alla domanda iniziale sul confuso binomio tra comando ed esasperazione dell’arte: quella di Nerone nel ruolo di cantore intento a celebrare l’incendio. Ne troviamo una raffigurazione moderna nell’illustrazione riprodotta in apertura: si tratta della copertina scelta dalla band heavy-metal “Imperivm” per il proprio album del 2017 “Rome Burns”. La band rappresenta un caso per nulla comune nel panorama power-metal, perché si discosta dalle tematiche di fantasia comuni nel genere, per concentrarsi invece sulla Storia documentata di Roma Antica. Il disco “Rome Burns” in particolare, come si intuisce già dal titolo, dedica – tra i numerosi personaggi ed eventi trattati – profonda attenzione proprio alla vita di Nerone e alla “Domus Aurea”.

L’illustrazione scelta dalla band ritrae infatti il passo seguente dello storico Tacito (Annales XV, 39) che è all’origine dell’ultima diceria su Nerone di cui abbiamo accennato: “… si era diffusa la voce che proprio nel momento in cui Roma era in preda alle fiamme, egli fosse salito sul palcoscenico del suo palazzo a cantare la distruzione di Troia, paragonando il disastro presente alle antiche sventure.”

Anche il testo della canzone che dà il titolo all’album è un’attenta interpretazione raffigurativa – in questo caso “interiore” – del passo: Nerone osserva rapito e segretamente compiaciuto il disastro (… “It was not my fault but I am glad”), già assorto in grandiosi progetti (We’ll rebuild from the Domus Aurea”). È consapevole che il sospetto si punterà su di lui (“Someone we’ll blame me…”), ma la questione è in fondo appena un dettaglio: per l’Imperatore la colpa è della popolazione meschina, mediocre e grossolana, che si affolla in tuguri maleodoranti (“…but the truth is that the fault is only theirs. Herded like animals, in dark and smelly streets”). La città stessa sembra in qualche modo invocare il fuoco della catarsi (“Rome burns to breath fresh air, that will sprout from the last flare…” ).

Come già detto, la veridicità del passo di Tacito è incerta, e l’autore stesso non lo dissimula. Tuttavia, se il fatto fosse accaduto realmente, la narrazione e l’interpretazione svolte dalla band sarebbero perfettamente verosimili: Nerone avrebbe potuto davvero considerare l’incendio di Roma come “il suo capolavoro”. E questo non solo nel caso che ne fosse stato realmente il pianificatore. Anche solo rimanendo naturalmente colpito dalla drammaticità del disastro, l’Imperatore avrebbe infatti potuto esserne “ispirato”, considerandolo un segno: una “chiamata” al ruolo di “artista supremo” che sentiva suo, designato a edificare una “nuova Roma” a partire dalla sua “Domus Aurea”.

Dunque, in conclusione torna una domanda, che in realtà ne racchiude molte: Nerone fu l’imperatore? Fu il tiranno?… il folle? Oppure, l’artista mancato? Il visionario?…

Forse, non lo seppe mai neppure lui stesso.
Paolo Crugnola