Anno d’uscita: 1996
Regia: Peter Jackson
Quando si pensa a Michael J. Fox vengono in mente commedie umoristiche, rassicuranti e divertenti. Un personaggio dotato di genialità ironica e mirata che senza tirarsela troppo, farà della sua semplicità la chiave del suo meritato successo. “Ritorno Al Futuro” e “Caro Zio Joe” sono solo due dei film più famosi in cui ha recitato.
Meno conosciuta come pellicola sullo standard della sua recitazione è “Sospesi Nel Tempo (The Frighteners)” diretto da Peter Jackson, che spazia verso il genere horror in modo piuttosto grottesco e pungente. Si parla di morti violente, inaspettate, omicidi e sul dubbio che è l’afflizione di tutti i viventi: se esiste un altrove dopo la fine della vita terrena. Il tutto in maniera sempre brillante e coinvolgente grazie a degli insoliti fantasmi nel cast. Gli spettri, che specialmente oggi sono entrati a far parte del normale immaginario collettivo, hanno sempre circondato il mistero che si avvolge attorno al culto dei morti e, negli anni ’90 sono stati rappresentati in svariati film come “Ghost”, “Casper”, “Il Sesto Senso” ed “Echi Mortali”.
I fantasmi possono essere anime buone o cattive, e secondo voi che cosa si intravede dietro il bianco nell’immagine del manifesto? Il poster non è nient’altro che un drappo bianco che copre qualcosa. Una locandina diretta e incolore ma che sotto nasconde un terribile viso. Notiamo come il drappo del tessuto aderisca a una superficie in rilievo che evidenzia dettagli appuntiti e malvagi; simile a un involucro sottovuoto che privo dell’aria fa riemergere le forme del contenuto: il viso di un mostro.
Le cavità facciali lasciano davvero poco all’immaginazione, e mostrano un ridente teschio che sogghigna verso il pubblico, come se stesse già immaginando la sorte di qualche povero sventurato. Ecco Johnny Bartlett, travestito da cupo mietitore, che cerca di uscire dietro il confine sottile tra la vita e la morte per scovare la prossima vittima. Egli ride, la sua bocca è spalancata (infatti la forma da pazzo è identica) e il mento aguzzo fuoriesce dal tessuto tirato: il classico ghigno di un giullare maledetto. Il bianco, come quello del sudario per coprire i cadaveri. Il bianco che colore non è e avvolge quello spettro nella nebbia degli ectoplasmi.
La morte che gioisce mentre osserva e spera in qualche catastrofica vicenda. Gli occhi sono assenti e al loro posto ci sono solo due buchi profondi, come quelli dei morti ormai mangiati dalla decomposizione. Le ombre ritraggono il male. Il bianco non è pace ma solo il colore dell’assenza di linfa vitale, del corpo privo di flusso sanguigno. Non si interpreta la morte. Ella è e basta. Non ha bisogno di altre definizioni.
Lo stesso concetto di essenza pura in sé stessa è nell’arte dell’artista scomparso Enrico Castellani. C’è persino una sequenza nel film che sembra presa esattamente da una delle sue opere più celebri: “Superficie Bianca”, per creare l’effetto della parete che fa resistenza per l’uscita del fantasma.
Le sue opere artistiche sono molto somiglianti a questo manifesto. Lui non utilizza tinte e crea le forme geometriche senza usare pennelli o colori, oppure, crea colore sulla superficie ma non se ne serve per rappresentare disegni. Castellani utilizzava la tela stessa come superficie artistica inserendo chiodi e altri materiali fissando e formando rilievi e profondità, trionfando in una geometria spaziale, sintetica, asettica e fine a sé stessa. Una tridimensionalità priva di colore ma formata solamente da ombre. Non ci sono altre chiavi di lettura. L’opera è la chiave, non si pensa ad altro. Ella è e basta. Non necessita di altre definizioni.
Sara “Shifter” Pellucchi