Anno d’uscita: 1922
Regia:
Erich von Stroheim
Nel 1922 si arriva alla prima pellicola costata un milione di dollari. Per l’epoca si tratta di una cifra faraonica. A convincere l’allora già potente casa di produzione Universal è un personaggio tra i più pittoreschi della storia del cinema: Erich von Stroheim. Ebreo austriaco figlio di un cappellaio, emigra nel 1909 negli Stati Uniti spacciandosi per nobile e cadetto militare. A Hollywood inizia a lavorare come stuntman, per poi passare al ruolo di attore, nei panni spesso dell’antagonista o dell’antipatico. Nel 1919 esordisce alla regia e nel 1922 investe tutte le sue risorse nel suo primo grande capolavoro: “Femmine Folli”.

L’idea di cinema per von Stroheim è un’arte grandiosa e colossale, basata sulla messa in scena sfarzosa e accuratissima, con enormi scenografie per lungometraggi di durata titanica. La locandina del film ce lo dice senza ambiguità. L’immagine ci immerge in una delle scene del film. Vediamo il protagonista, interpretato dallo stesso von Stroheim, intento ad infilzare con un arpione una giovane donna. Il protagonista indossa una divisa militare russa bianca con delle fasce gialle. Lo sguardo allucinato ci fa capire che la poveretta verrà uccisa presto, senza alcun ripensamento. L’immagine di misogino e isterico è ben concentrata in questo scatto, che da qui in avanti ritaglierà sul regista-attore l’epiteto “l’uomo che si ama odiare”. La giovane donna ha il petto nudo, solo dal bacino in giù è coperta da una sottile velo bianco. I seni sono gonfi, anche se censurati dei capezzoli. È una donna negli anni d’oro della sua bellezza e fertilità, destinata a un crudele epilogo per opera di un sadico. Il sadico per eccellenza del cinema muto: Erich von Stroheim.
Mentre aspetta la morte, la ragazza si passa la mano destra sul capo, lasciando cadere indietro la folta chioma. È quasi un omaggio alle sculture classiche, in cui si vede il richiamo ad artisti come Canova. La tragica scena è ambientata di notte, su una barca di legno divelta, destinata ad affondare in un mare in burrasca. Le onde non sono però minacciose, capiamo quindi che è la ricostruzione di un ipotetico uragano fatta negli studios. L’immagine, pur essendo statica, cattura l’attenzione e ci spinge a parteggiare per la donna. Alcuni pennellate gialle aggiungono pathos all’azione. Le gocce bagnano i due corpi, ma i protagonisti si disinteressano della pioggia e, teatralmente, pensano solo ai propri destini: quello di carnefice e quello di vittima. Sono loro due i protagonisti del lungometraggio: l’uomo malvagio che uccide la donna, convinto di essere lui la vittima della follia femminile.
Probabilmente la locandina rappresenta il primo importante femminicidio messo in scena nella storia del cinema. Per le scritte vengono scelti i colori primari. Le lettere diventano più intense e contribuiscono ad arricchire la violenza della scena. Il titolo del film è blu, il nome del regista-attore è giallo e quello della casa di produzione è rosso. Il costo dell’opera non viene tralasciato. Pur essendo un’immagine d’epoca, ancora oggi riesce a trasmettere un senso di inquietudine, così come lo stesso film. In basso vediamo uno spazio bianco. Veniva all’epoca lasciato per permettere ad ogni cinema di affiggerci sopra gli orari di proiezione. Un altro tassello che ci permettere di conoscere un cinema che non c’è più, ma che non va dimenticato.
Leonardo Marzorati