Anno di uscita: 2010
Sito Internet: http://www.folkstone.it/
Eh, no: non sono neanche radiografie.  È proprio “lei” che conduce la danza. I personaggi ritratti la seguono rassegnati, mentre lei regge con un ghigno gli oggetti che identificano ciascuno di loro, deridendone l’importanza in una maldestra parodia. Questa è l’immagine pittorica più consueta della “Danza Macabra”, e la si può ritrovare con solo sottili differenze in tutti i Paesi dell’Europa Occidentale che abbiano vissuto i traumi psicologici e spirituali del Medioevo. Anzi, per quanto sembri paradossale, proprio la rappresentazione della morte trionfante, assoluta, fu il segnale di un primo confronto dell’uomo medievale con questi traumi. Attraverso la raffigurazione, infatti, la paura latente e inconscia assume un aspetto preciso, riconoscibile da tutti, e perciò esprimibile, condivisibile: il pericolo è attenuato nella percezione, se si sa che anche gli altri ne sono minacciati allo stesso modo. Ma per estinguerlo definitivamente è poi sufficiente distogliere gli occhi dalla lugubre figura rappresentata? Forse non è così facile… «Un teschio spesso interessa molto di più di una donna nuda.» commentava infatti il pittore di affreschi nel capolavoro cinematografico di Ingmar Bergman “Il Settimo Sigillo”.
In qualche modo si genera una fascinazione che – di nuovo un paradosso – è direttamente proporzionale al livello di orrido e di spavento.
«Se li spaventi, però…» rifletteva subito dopo lo scudiero Jöns osservando proprio la “Danza Macabra” affrescata dal pittore.
«… li fai pensare.»concludeva l’altro.  E aggiungeva poi: «Faccio vedere come stanno le cose: e poi che ognuno decida…»
Questa esortazione non è solo un modo del pittore per “lavarsi le mani” dal problema (anche perché neppure lui può sfuggirne), ma una constatazione fondata che apre almeno un’ipotesi di sollievo. Perché, se il “memento mori” è l’unica cupa certezza, è però anche vero che da esso derivano due domande: «Cosa succederà “dopo”?», e «Cosa fare “prima”?». Evidentemente alla prima domanda è possibile ipotizzare risposte solo di carattere religioso. Alla seconda risponde invece il monito del pittore di affreschi: «Che ognuno decida.». Perché ognuno può decidere. Questa è infatti un’altra costante delle rappresentazioni della “Danza Macabra”: la raffigurazione della morte colpisce gli spettatori indistintamente perché è riconoscibile da tutti loro, ma dopo questo primo momento l’impatto è interiorizzato da ciascuno in modi anche molto diversi. Iniziano perciò l’introspezione e la ricerca di una propria condotta individuale: la supremazia finale della morte non concede automaticamente il permesso all’inerzia. Questo messaggio traspare non solo dagli affreschi medievali della “Danza Macabra”, ma anche dalle letterature religiose e laiche dell’epoca incentrate sugli stessi temi di questi affreschi.
Se ne possono trovare infatti esempi in numerosi laudarii, o addirittura nel “Cantico delle Creature” di San Francesco D’Assisi. E dall’epoca medievale avanti nel tempo fino ai nostri giorni, la domanda «Cosa fare “prima”?» persiste e resta sempre attuale. Osserviamo allora di nuovo un esempio attuale, “moderno” di “Danza Macabra”, cioè quello rappresentato nell’immagine posta in apertura. La band bergamasca Folkstone ha scelto infatti proprio questo tema per illustrare la copertina del suo secondo album “Damnati ad Metalla”, e possiamo notare subito un fatto inaspettato: sono gli stessi musicisti a danzare con la morte. Immedesimandosi a tal punto nel soggetto, la band ha certamente inteso colpire l’attenzione del pubblico, ma implicitamente anche proporsi in prima persona di fronte ai turbamenti delle domande essenziali. E quindi provare a rispondere in prima persona.

Se leggiamo i testi di alcune canzoni dell’album, troviamo infatti più volte lo spinoso tema ricorrente che abbiamo incontrato finora. In “Un’altra volta ancora” il ritornello è emblematico: “… La morte è qua che mi sorvola… Macabra è la danza… Noi balliam!”. In “Senza certezze” abbiamo un vero e proprio riconoscimento della condizione umana, ancora in prima persona: “Figlio del vento al cospetto del tempo sono una nullità. Son cosciente della mia realtà.”. Ancora, in “Vortici Scuri” torna un’ammissione: “Crolla su me. La mente si torce senza perché… Schiavo del limite.”. Però, come detto in precedenza, non incontriamo solo parole che si schiantano contro il confine della mortalità.

La band ci propone nei suoi testi anche delle risposte personali alle domande “di senso”, che ovviamente è giusto lasciare all’interpretazione e al pensiero di ciascun ascoltatore. Vale però la pena aggiungere due ultime curiosità riguardo questa rivisitazione moderna della “Danza Macabra” operata dai Folkstone. La prima riguarda la scelta dei musicisti di inserire nell’album una propria interpretazione della canzone “Vanità di Vanità” di Angelo Branduardi. Il brano originale non ha certo bisogno di presentazioni, e quindi avrete già intuito come questo si adatti perfettamente al tema proposto dalla band. La seconda riguarda di nuovo l’immagine della copertina. In ogni loro album i Folkstone hanno dedicato almeno una canzone a luoghi unici o personaggi storici che hanno segnato l’area bergamasca, che ne hanno tracciato un’identità. Anche nell’album “Damnati ad Metalla” abbiamo infatti degli esempi di ciò nelle due canzoni “Longobardia” e “Frerì”, ma in questo caso mi azzarderei a dire che possiamo rintracciare un’ispirazione locale anche per la grafica di copertina.

Osservate infatti ancora l’immagine e confrontatela con gli affreschi dipinti alla fine del Quindicesimo secolo sulla facciata dell’Oratorio dei Disciplini a Clusone, appunto nella bergamasca Val Seriana… non è lo stesso ghigno?
Paolo Crugnola