Avevate anche voi l’impressione di averlo già visto altre volte?…  Giustissimo. Sono almeno trentacinque anni che il “massiccione barbarico” campeggia sulle illustrazioni in copertina di dischi heavy-metal provenienti dai paesi più disparati del mondo. Ad esempio, la sua versione bionda ritratta per l’album “Battlefield” dei belgi Scavenger risale al 1985, ma si poteva vedere già addirittura nel 1980 un suo “antenato” sulla copertina del disco “Stand Up And Fight” degli inglesi Quartz. Nel nuovo millennio abbiamo ancora numerose apparizioni del campione: i tedeschi Solemnity sceglievano la sua immagine nel 2003 per la copertina dell’album “King Of Dreams”, ma già fin dall’anno prima un altro colosso era pronto a distribuire un bosco di legnate agli avversari sulla copertina di “Sword & Sorcery” dei sempre tedeschi Majesty, che riutilizzarono più volte delle varianti dello stesso soggetto anche per altri dischi successivi. Concludiamo la parabola temporale di questa breve ed appena abbozzata carrellata con un esempio recente: l’album “The Armour Of Ire” degli statunitensi Eternal Champion, pubblicato nel 2016, dove in copertina il protagonista è ancora perfettamente vigoroso come i suoi predecessori, e per di più termo-isolato dal gelo dei picchi.Il campione ritorna puntuale. Ma quali sono state le altre caratteristiche ricorrenti di queste illustrazioni nell’arco degli ultimi quattro decenni? Cominciamo dall’ambientazione. Si sa: il “lavoro” dell’eroe è la battaglia. Ecco allora che nel vicinissimo 2015 dalla Germania arrivano gli Iron Kobra con una truce copertina guerresca per l’album “Might & Magic”. Lo scontro ritratto è il tipico modello del genere: il campione si lancia alla carica in un paesaggio antidiluviano, e i mostracci zannuti, primordiali ma già catenacciari, si preparano a parare il colpo. Una situazione quasi identica è stata rappresentata sulla copertina dell’album coevo “None But The Brave” dei portoghesi Ironsword; e potremmo citare esempi anche da altri continenti, come la copertina dell’album datato 2016 “Glorious Death” dei brasiliani Grey Wolf. Avversari feroci, selvagge ere antiche… c’è però anche un particolare piacevole, che manca raramente nelle illustrazioni di questo genere: la fanciulla belloccia in pericolo. Sì, perché, se osservate di nuovo le copertine dei sopracitati “King Of Dreams”, “Might & Magic”, e “Glorious Death” vi accorgerete subito di una costante: la giovanotta ritratta è perennemente inguaiata, e all’eroe spetta il salvataggio. Niente di nuovo in fondo: già tra il 2 e l’8 d.C. il poeta latino Ovidio narrava nei versi del suo poema “Le Metamorfosi” la liberazione della principessa Andromeda minacciata da un mostro marino; e quattro secoli più tardi la leggenda di San Giorgio impegnato a salvare un’altra “V.I.P.” dalle fauci del drago ricalcò molte caratteristiche di questo episodio, sebbene in una contestualizzazione ovviamente cristiana. Si tratta quindi di uno stereotipo molto antico, che – azzarderei – è diventato un “cliché nel cliché” sulle copertine di cui stiamo parlando.Sarò ovvio, ma penso si possa affermare con sicurezza che questi campioni guerrieri, le ambientazioni, e i nemici puntualmente ospedalizzati derivino tutti dall’archetipo del barbaro più famoso della letteratura fantasy: Conan il Cimmero, nato dalla penna dello scrittore Robert E. Howard. Il segreto della longevità del Barbaro per antonomasia sulle copertine dei dischi heavy-metal si trova certamente nell’immediata parentela tra l’atmosfera delle sue avventure e i temi epici cari alle bands più tradizionaliste di questo genere musicale. Anzi: è addirittura molto comune che negli album di queste ultime sia presente almeno una canzone esplicitamente dedicata ai racconti di Howard. A dimostrare l’affetto “inossidabile” dei metal-fans per le illustrazioni di Conan c’è anche il fatto che la rappresentazione stessa del personaggio abbia subito variazioni trascurabili nel corso degli anni: potete constatare infatti che gli artisti lo hanno interpretato in modo molto simile. Inoltre è evidente che tutte queste illustrazioni siano sostanzialmente identiche alle prime – poi diventate modelli – ideate dall’artista americano Frank Frazetta nella seconda metà degli anni Sessanta proprio per una serie di libri dedicati all’avventuriero cimmero.C’è però un denominatore comune nelle illustrazioni di Frazetta che forse si è perso in parte tra le tante che ne sono derivate. I duelli e gli scontri tribali da lui illustrati esprimono violenza, certo: ma non una violenza repulsiva. L’accanimento della lotta è infatti uno strumento per descrivere minuziosamente la tensione e la torsione dei muscoli con precisione quasi scientifica. I guerrieri di Frazetta sono prima di tutto atleti, di cui l’autore analizza i dettagli con l’occhio di un anatomista; e mi sembra che questo suo proposito potrebbe accostarlo addirittura a certi studi di Michelangelo Buonarroti, con cui condivise senz’altro l’attenzione per il tema della figura umana in movimento (come testimoniano le copie del cartone della “Battaglia di Cascina” eseguito dal maestro toscano). Senza dubbio le opere di Frazetta seguono anche l’obiettivo dell’ideale, oltre che quello del realismo; tuttavia l’impegno dell’autore è meritevole di attenzione per il suo rigore nell’illustrazione della struttura fisica umana, che si accompagna, contemporaneamente e paradossalmente, ad una decisa, riuscita “smaterializzazione” degli ambienti, delle “scene”. I “confini” attorno ai personaggi si perdono, l’atmosfera diventa irreale: l’ideale palcoscenico della fantasia. Tutte queste unicità, questi riusciti contrasti, bastano a spiegare la schiera degli allievi moderni del maestro americano, e i tanti  “eredi di Conan” che torreggiano ancora nell’immaginario heavy-metal.
Paolo Crugnola