Anno d’uscita: 2012
Regia: Paul Thomas Anderson
“The Master” racconta la storia di uomo, Freddie, un diseredato, un anonimo americano che non possiede nulla e non occupa nessun posto nel mondo, che vive esclusivamente delle e nelle sue intimissime, bizzarre e perfino scabrose (agli occhi della morale pubblica) utopie, inseguendole ostinato. È un lupo solitario, una creatura lacerata da un arrabbiato folle dolore, devastata dentro e piegata fuori, un disadattato, diremmo, ai margini di una società che non lo comprende, che lancia su di lui occhiate torve e sospettose. Sarà un altro uomo, un “illuminato”, maestro e guida di anime smarrite, a raccogliere nel proprio gregge Freddie e la sua esistenza in frantumi con l’intenzione di guarirlo, ricondurlo entro i binari di un’esistenza retta e dominata da rigidi, imprescindibili codici uguali per tutti.
Ma la congenita e insieme acquisita inadeguatezza al sistema da parte dell’uomo fragile e malato, la sua condizione di perenne outsider si rivelano essere, invece, la sua più grande forza, quella che lo governa e lo tiene in vita, la sua arma salvifica contro ogni forma di condizionamento esterno, facendo di esso un individuo puro, fondamentalmente libero. Libero dai vincoli di una società impegnata ad imprigionare e stritolare nei suoi infernali ingranaggi l’uomo qualunque, a ridurlo schiavo tra gli schiavi, sottraendogli la propria identità e le proprie distintive peculiarità. Freddie finirà col rifiutare e rifuggire da tutti quei falsi e cattivi maestri che s’imporranno sul suo cammino, che vorranno tracciare per lui le coordinate del suo passaggio su questa terra.
Ed ecco perché l’eloquente locandina ritrae al centro pagina un’immagine, unica e sola, di Freddie in quanto essere singolare, padrone di se stesso che non riconosce per sé alcun padrone, e, come tale, il suo volto (la sua personalità) non contempla riproduzioni in serie, cloni da gregarismo massificante rispondenti alla logica imperante del livellamento, dell’omologazione globale, dell’asservimento. Lui è come se fosse la punta della freccia che traccia il cammino, una sorta di pioniere di sé stesso che trascinerà gli altri. Gli sguardi degli altri componenti nell’immagine sono eloquenti: Gli occhi di Amy Adams e Philip Seymour Hoffman risultano alienati e inespressivi, inebetiti. Dentro i loro occhi c’è la luce opaca di un meccanico personaggio ipnotizzato. Joaquin Phoenix invece trasmette consapevolezza e decisione, la fronte aggrottata fa risaltare l’attenzione a quello che sta osservando. Identificata la meta decide di avanzare deciso e distinto da chi invece rimane dietro la sua scia.
Fa una netta differenza rispetto alle due figure collocate ai lati della cornice (l’uomo del titolo e la sua compagna/collaboratrice/complice del disegno illuminato). I maestri di turno, padroni interscambiabili il cui scopo è creare sudditi, infinite copie di se stessi. All’origine, copie anch’essi, frutto della delirante visione di un qualcun altro maestro, cui sono, semplicemente, naturalmente succeduti.
Antonella Liguori
Molto bella l’interpretazione della locandina, cui non avevo affatto pensato. La follia di Freddie è salvifica, mi sembra di capire, gli permette di sfuggire al meccanismo stritolante della setta. In effetti un uomo come lui, un tempo, sarebbe stato rinchiuso in una casa per malati di mente. Ancora complimenti per l’articolo!
credo che l’autore volesse esprimere questo nel film, alla fine la sua follìa lo rende una persona libera, un ribelle al sistema diremmo oggi e, come tutte le persone veramente, coraggiosamente libere, paga a caro prezzo la sua condizione con la solitudine, il dolore, l’incomprensione e il disamore altrui. Ti ringrazio molto per la tua attenzione, ciao.