Si può dire che per Bob James, pianista jazz originario del Missouri, l’utilizzo dei numeri come fulcro della sue estetica visiva si rivelò il fondamento del suo immaginario spensierato e fanciullesco: l’innocenza del bambino che scandisce a voce i primi numeri. E se “One”, “Two” e “Three”, potevano apparire come semplici titoli comodi e privi di originalità, si rivelarono l’inizio di un percorso concettuale, dove il “numero” assume il ruolo doppio di “catalogatore” e “gemma” o “tesoro”, prezioso e da scoprire. Come se il titolo, ad esempio per “H” del 1980, non fosse quello indicato ma il risolvimento dell’enigma; come in questo caso l’h è l’ottava lettera dell’alfabeto, come H è il suo ottavo disco solista.
“One” e “Two”
Finita l’esperienza con il Bob James Trio, con cui pubblicò due album così detti di avanguardia jazz, James approda alla CTI del leggendario Creed Taylor, produttore e fondatore anche della Impulse!. Incise quindi i primi quattro lavori e, per “One” (1974) e “Two” (1975), inevitabilmente, si vide assumere la direzione artistica del design da Bob Ciano (Life e New York Times). Ciano, che dal 1971 iniziò a lavorare per Taylor sui dischi di Stanley Turrentine, George Benson e Freddie Hubbard insieme a Pete Turner, uno dei fotografi più importanti di sempre, per i dischi di James fece invece coppia con il meno noto Gene Laurents (Vougue). Le copertine dallo spiccato tono glamour tipico di Laurents, con il leone dorato e il battente, sembrano essere due foto prese dal medesimo portone, creando così un forte legame tra loro, quasi un continuum estetico concettuale che vedrà presto spezzarsi; ormai il portone, spalancato, fa spazio ad un continuo cambiamento estetico non sempre coerente; salvo i numeri. Il battente a forma di mano stringe tra le dita una mela: dolce come il jazz fusion che, rispetto alla complessità e ad un approccio “hard” del Bob James Trio, diviene più “easy”-listening. Perché la porta è sinonimo di cambiamento e sembra essere questo il vero inizio di Bob James; appunto l’Uno; Il leone che aggredisce e intimidisce come intimidatore è il cambiamento e il Due batte alla sua porta. La sua musica da quell’inizio degli anni settanta si fa più lineare, matematica.
“Three” come 3D e “BJ4”
Benché ad oggi le copertine ideate da Bob Ciano siano in assoluto le più famose, le più iconiche della discografia di Bob James, per motivi a me ignoti, Ciano venne sostituito da Rene Schumacher, celebre per l’art designing sui lavori della Kudu Records e della stessa CTI, per la grafica di “Three”. La Schumacher, stravolgendo l’attuale percorso estetico di James, a soli tre anni dalla copertina di “Dark Side On The Moon” dei Pink Floyd creata dalla Hipgnosis, ne fa un lavoro pressoché identico ma in 3D. Un lavoro che mal si addice al tono del disco, trascurandone il calore del basso elettrico di Gary King, del sax di Grover Washington Jr. e le atmosfere da periferia ricca americana. Lontana, molto lontana da quello che produsse insieme a Pete Turner (va bè, Pete Turner). “BJ4” chiude l’esperienza di Bob James con la CTI e non solo. Chiude anche con l’esplicita presenza dei “numeri” nei titoli (fatta eccezione per Lucky Seven e 12), iniziando ad aggiungere indizi nascosti: la traccia tre è “Tappan Zee”, la sua etichetta, sussidiaria della CBS che uscirà lo stesso anno insieme al quinto disco “Heads” nel 1977. Il suo faccione, immortalato dalla fotografa di celebrità Wendie Lombardi, ritrae bene l’attitudine tranquilla e solare di Bob James e di “BJ4”, anche se rimarrà una delle copertine meno riuscite ed iconiche nell’immensa sua discografia. Da “Heads” in avanti ci sarà una vera e propria “caccia al numero”, come vedremo nella seconda parte.
Alberto Massaccesi
…continua al prossimo articolo: https://www.artovercovers.com/2016/11/01/bob-james-seconda-parte/